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I processi di attuazione del disegno previsto dal DM 77 in corso nelle diverse Regioni rappresentano un inevitabile terreno di confronto e competizione tra diverse famiglie professionali, che legittimamente aspirano a occupare posizioni di rilievo e visibilità nella nuova sanità del territorio. Un cambio di paradigma è imposto dalla necessità di dare coerenza all’esistente con azioni che possano rispondere in modo flessibile e dinamico ai mutamenti del contesto. La capacità di supportare processi di interoperabilità e interprofessionalità potrà generare traiettorie evolutive che, oltre a rispondere ai bisogni espressi dal cittadino, metteranno in luce nuove aree di imprenditorialità per le professioni.
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Lunedì 25 SETTEMBRE 2023
Le nuove dinamiche sanitarie in ambito territoriale, un momento di riflessione
Le comunità professionali e le loro leadership dovrebbero riflettere sui sentieri di sviluppo possibili e mettere in discussione alcuni assunti. In particolare, due aree meriterebbero attente considerazioni per definire un posizionamento opportuno. La prima riguarda la modalità di “presidio del territorio” che sarebbe meglio perseguire; la seconda è quale terreno sia meglio presidiare
Per molte famiglie professionali le tradizionali strategie di posizionamento basate su una “occupazione estensiva”, in cui venivano reclamati spazi esclusivi in virtù dell’infungibilità delle proprie competenze, rischiano di non essere praticabili anche perché altre professioni, storicamente meglio posizionate sul terreno dell’assistenza, sono state più veloci ad assicurarsi posizioni di rilievo e ruoli di maggiore visibilità. Tutto ciò impone a molte professioni di interrogarsi in maniera innovativa sulle possibili direttrici di sviluppo in un contesto che, nelle sue criticità, apre nuove opportunità.
Se si guarda ai cambiamenti in atto nel contesto, cioè a ciò che sta succedendo sul terreno di gioco nel quale avvengono le dinamiche di competizione/collaborazione tra le professioni, alcuni fenomeni devono essere considerati con attenzione per le loro implicazioni.
Il primo è l’emergere di shortage rilevanti in segmenti importanti delle professioni sanitarie, shortage destinati a protrarsi nel tempo considerata la scarsa attrattività delle professioni in questione rispetto alla platea dei diplomati. Gli squilibri mettono in discussione i tradizionali confini (i silos) e possono spingere alla ricerca delle matrici comuni rispetto agli elementi esclusivi e differenzianti di ciascuna professione sanitaria.
A rafforzare la spinta verso una riconsiderazione interviene poi l’espansione prevista dei servizi in ambito territoriale, sinteticamente riassumibile nella diffusione di presidi come le case della comunità. I nuovi presidi fisici del territorio dovranno essere infatti popolati, le “postazioni” che si andranno a creare dovranno essere coperte nella logica del migliorare l’accessibilità, la fruibilità e la sostenibilità dei servizi. La carenza di specifiche professionalità potrebbe, di fronte alle necessità, non rappresentare più un ostacolo insormontabile.
In questa prospettiva non bisogna sottovalutare la positiva tensione verso la multidisciplinarietà e multiprofessionalità che la presa in carico della cronicità impone. Non si tratta solo di un insieme diversificato di competenze e saperi diversi da mettere astrattamente al servizio dei bisogni di salute dei pazienti, ma della loro interazione in luoghi fisici (setting) che non rispecchiano più la tradizionale separazione delle competenze, tipica dei contesti ospedalieri (le divisioni e i reparti definiti su base disciplinare). La vicinanza fisica potrebbe essere un vettore rilevante di disgregazione di artificiosi confini disciplinari.
Paradossalmente, infine, una dinamica apparentemente opposta come quella rappresentata dalla digitalizzazione potrebbe rappresentare un’ulteriore spinta nella medesima direzione. Le opportunità di collaborazione e di contaminazione che la digitalizzazione offre potrebbero produrre frutti analoghi a quelli generati dalla fisicità.
In questo contesto, le comunità professionali e le loro leadership dovrebbero riflettere sui sentieri di sviluppo possibili e mettere in discussione alcuni assunti, spesso impliciti, che hanno fin qui guidato le strategie professionali. In particolare, due aree meriterebbero attente considerazioni per definire un posizionamento opportuno.
La prima riguarda la modalità di “presidio del territorio” che sarebbe meglio perseguire: essere più numerosamente rappresentati (la maggioranza), essere rappresentati in più setting possibili (l’omnipresenza), essere valorizzati perché insostituibili (l’infungibilità) o essere la risposta funzionalmente più efficace (l’utilità)?
La seconda è quale terreno sia meglio presidiare. Da una parte abbiamo quello tradizionale delle prestazioni, sorretto e difeso da un “monopolio” più o meno robusto, ma comunque facilmente definibile. Dall’altra c’è la sfida della risposta ad un certo bisogno assistenziale, il reclamare un’area di bisogni come il terreno di elezione per la professione. In questo caso, il monopolio è meno definibile e difendibile e si apre l’orizzonte di una contendibilità in ragione delle risposte che le professioni sono in grado di fornire.
Quanto finora descritto lascia delle questioni aperte che riassumo brevemente e che saranno oggetto di un importante dibattito: la collocazione dell’offerta di continuità nella rete regionale esistente; il piano dei fabbisogni del personale con l’analisi di impatto sulla pianificazione ed acquisizione delle risorse; la costituzione di cabine di regia che assicurino la necessaria omogeneità di impianto; i progetti di digitalizzazione che dovranno fare da volano per innescare l’evoluzione dei modelli di sanità territoriale; gli strumenti di governance ancora da definire a livello nazionale e regionale riguardo a cartelle cliniche, flussi e tariffe e per ultimo la formazione che dovrà seguire anche la necessità di sperimentare nuove soluzioni organizzative attraverso un linguaggio comune e condiviso.
Renzo Ricci
FNO TSRM-PSTRP Gruppo Dirigenti
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