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Venerdì 15 SETTEMBRE 2023
Ricchi o Poveri?
Gentile Direttore,
alcuni telegiornali di questi giorni confermano i dati del rapporto annuale dell’Inps: in particolare vale più di 100 euro in busta paga il taglio del cuneo contributivo per oltre la metà dei lavoratori con reddito sotto 35.000 euro; il c.d. “esonero parziale” sulla quota dei contributi previdenziali a carico dei lavoratori dipendenti è in vigore per i periodi di paga dal 1° luglio al 31 dicembre 2023, con esclusione della tredicesima mensilità.
Far pervenire una quota netta da 45 a 100 euro al mese in busta paga a favore dei lavoratori dipendenti afferenti a redditi c.d. “medio-bassi” risulta essere il più saliente risultato del Decreto “Lavoro” del 1° maggio 2023.
Ciò sembrerebbe inserirsi in una identità di intenti tracciata dal qui già diffusamente discusso art. 13 della legge 56/2023 – Decreto “Bollette/Energia” dello scorso mese di marzo: far pervenire una quota aggiuntiva di reddito nelle tasche dei professionisti sanitari non medici, estendendo la deroga al vincolo di esclusività avviata con le misure sanitarie per fronteggiare l’emergenza Coronavirus con l’art. 3-quater della legge 165/2021.
Al di là della applicabilità di una norma cui ancora le aziende sanitarie pubbliche, malgrado l’ulteriore intervento della Conferenza Stato Regioni dello scorso mese di luglio, non facciano corrispondere alcun provvedimento concreto, restando tale deroga tutt’ora ancorata alle norme che caratterizzano i c.d. “incarichi extra istituzionali” a norma dell’art. 54 del d. lgs. 30 marzo 2001, n. 165 (testo unico sul pubblico impiego), un altro dettaglio cui pochi hanno fatto cenno è la successiva gestione al livello amministrativo di tali possibili emolumenti aggiuntivi.
Sempre dall’attuale legislatura pervengono i provvedimenti denominati delle “tre flat tax”, che in vero sta riseminando un solco tracciato già alla fine del 2014 dal governo Renzi, ove particolare attenzione va posta ad una delle cause ostative all’applicazione del regime c.d. forfettario: La lettera d-ter del comma 57 dell’art. 1 della L. n. 190 del 2014, prevede che non possono avvalersi del regime forfettario «i soggetti che nell’anno precedente hanno percepito redditi di lavoro dipendente e redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente, di cui rispettivamente agli articoli 49 e 50 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, eccedenti l’importo di 30.000 euro; la verifica di tale soglia è irrilevante se il rapporto di lavoro è cessato».
Pertanto, salvo l’ipotesi di dimissioni volontarie, fenomeno peraltro in forte aumento segnatamente nel settore sanitario, dato di cui non poter affatto non tener debito conto, un’analisi incrociata degli elementi sopra esposti sembra disegnare un quadro di limiti forse irrisolvibili alla applicazione dell’art. 13 della legge 56/2023, perché anche nel caso un dipendente pubblico possa accedere alla gestione di una partita iva, ipotizzando una deroga anche all’art. 53 del medesimo d. lgs. 30 marzo 2001, n. 165, per temporaneità ed occasionalità dell’incarico, si applicherebbero tassazioni di tipo ordinario che di fatto vanificherebbero i vantaggi economici derivanti dalla possibilità di un assai limitato esercizio professionale aggiuntivo.
Probabilmente ciò cui né il Governo, né la Conferenza Stato Regioni abbiano pensato, è di far convogliare, secondo un semplice meccanismo di segnalazioni incrociate tra differenti datori di lavoro, gli emolumenti aggiuntivi nel medesimo prospetto paga del dipendente; forse una soluzione da “uovo di Colombo” certamente più semplice – oltreché efficace – dell’ipotizzato «monitoraggio» introdotto nel DL 34, perché quello che si farebbe “in più” andrebbe immediatamente ed indelebilmente nero su bianco …
Una ultima considerazione va fatta proprio su tale soglia dei 30mila euro, frequentemente superata dai non medici: risulta assai controverso che per uno stesso limite da una parte si venga considerati all’interno dei redditi medio-bassi, mentre dall’altra risulti essere uno “sbarramento” di ricchezza, però computata all’anno 1986, ove 30mila euro nemmeno esistevano, alla apertura di una pur temporanea partita iva a regime agevolato.
In ultima analisi non si capisce se i non medici siano ricchi sulla base di vecchi coni, conti e principi normativi… o poveri secondo i nuovi.
Dott. Calogero Spada
TSRM – Dottore Magistrale
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