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Martedì 25 LUGLIO 2023
È tempo di intervenire per rimediare all’attuale fragilità della relazione medico-paziente



Gentile Direttore,
nella calda estate 2023 si susseguono senza sosta, da un punto all’altro del Paese (Calabria, Sardegna, Lombardia), le aggressioni al personale medico negli ospedali, a dispetto di leggi, appelli e presìdi di polizia.

Da “dio in camice bianco” dei tempi che furono, il medico si scopre facile bersaglio di aggressioni, verbali e fisiche, capro espiatorio di tutte le disfunzioni della sanità pubblica, dagli ospedali sovraffollati da cittadini in attesa di risposte o di un posto letto, che semplicemente non c’è, ai tempi di attesa cresciuti a dismisura, fino a ri-proporre il dilemma pagare o aspettare, alle ambulanze in coda davanti al PS come in un parcheggio.

Il “medico “di una volta non esiste più, ma nemmeno il “paziente” di una volta, divenuto utente-consumatore, esigente e diffidente, spesso in conflitto con il medico, consapevole titolare di diritti, tra i quali annovera la scelta delle cure.

Colpa della fine della dominanza professionale, cioè della “libertà medicaintesa come potere, quasi sacrale, di assumere ogni decisione per il bene del paziente? Colpa del peggioramento delle condizioni di lavoro dei medici e della carenza di organico, che qualche dotto economista giudica una fake new? Colpa dei social e del paziente internauta che pretende certezze nei tempi e negli esiti delle cure fino a percepirne l’assenza come la negazione di un diritto? Colpa di chi ha lasciato i medici soli in prima linea a rispondere della distanza tra domanda di salute crescente e risorse, anche psicofisiche, decrescenti?

Ognuno scelga la risposta che preferisce, ma la crisi del rapporto medico paziente viene da lontano, non è fenomeno solo italiano (vedi USA, UK, Francia) e non finirà presto.

In preda alla retrotopia di Bauman, una sorta di utopia inversa che colora di nostalgica bellezza il passato, per definizione ritenuto migliore del presente, molti sognano il ritorno ai bei tempi andati senza cogliere la portata delle trasformazioni intervenute nel mondo della medicina che "è una cartina di tornasole di quel che accade nella società” (Geraldine Strathdee, Responsabile del Centro Salute Mentale NHS). La deriva aziendalistica, ed economicistica, della sanità italiana ha profondamente alterato il rapporto tra i due agenti della cura, medico e paziente. La compressione del tempo di cura, dai tempari fino all’overbooking delle visite specialistiche, e il primato assegnato alla forza dei conti a scapito di quella dei diritti e dei valori professionali, hanno ridotto il medico a operaio specializzato, puro esecutore di decisioni altrui, mentre la rivoluzione tecnologica introduce il computer come terzo incomodo nella sua relazione con il paziente. Ulteriormente mortificata dall’esplosione della “medicina di carta”, un carico di incombenze burocratiche che sottrae spazio alla clinica, e al malato, alla faccia di tutti gli inviti all’umanizzazione delle cure e delle leggi che recitano “il tempo di relazione è tempo di cura”. Introducendo sanzioni, multe, processi, controlli ex ante, nel trionfo di inutili indicatori per inutili obiettivi.

In una sanità in cui “Al posto degli uomini abbiamo sostituito numeri e alla compassione nei confronti delle sofferenze umane abbiamo sostituito l'assillo dei riequilibri contabili” (Federico Caffè), i medici si sentono in crisi perché spogliati della loro competenza e della loro autorità a decidere delle sorti del malato, e soli di fronte al rischio civile, penale, patrimoniale, disciplinare insito in ogni loro atto. D’altra parte, i pazienti, non più persone con problemi sanitari ma lavoro medico, ovvero cartelle cliniche e prestazioni da smaltire, oscillano tra la vecchia considerazione dei medici quali "divinità in camice bianco" e quella nuova, di meri esecutori di algoritmi, superpagati e incapaci di prestare ascolto alle sofferenze rispetto alle quali rimangono indifferenti.

Oltre il 50% dei medici ospedalieri soffre di burn out, per motivi comuni a molti paesi industriali tra i quali un ruolo centrale rivestono la difficoltà della relazione per scarsità di tempo, e di organico, e il paradigma della “centralità del paziente al posto di quella del medico, o almeno della relazione di cura” (Panti).
La cosiddetta "centralità del paziente", invocata come panacea di tutti i mali della sanità, apre il privatissimo spazio del rapporto tra medico e paziente a mille stakeholder che modificano le dinamiche relazionali fino all’esposizione a logiche risarcitorie e all’affermarsi della tendenza alla demonizzazione e colpevolizzazione del medico e delle strutture. A prescindere.

Una inchiesta del NEJM di qualche anno fa concludeva che “occorre aiutare i medici a reclamare la loro posizione di leader nella cura del paziente rendendo liberi i dottori di focalizzare il loro tempo, che di per sé non ha prezzo, sulla cura” e sull’ascolto delle storie dei pazienti. E restituire autorità al loro lavoro come elemento centrale di un nuovo paradigma che li aiuti ad affrontare una realtà così differente da quella in cui hanno deciso di essere medici.

È tempo di intervenire per rimediare all’attuale fragilità della relazione medico-paziente, troppo spesso simile a una contrattazione, e gestire, attraverso strumenti nuovi, il conflitto tra responsabilità delle scelte e domanda di salute. Ma questo richiede l’investimento a piene mani di una merce rara, per quanto poco costosa, come la volontà politica di salvare il Ssn a partire dal suo capitale umano, che ne rappresenta il valore fondante, come le organizzazioni sindacali da tempo chiedono, senza ancora ricevere risposte chiare e univoche.

Keynes diceva che “non è impossibile avere idee nuove, difficile è disfarsi delle vecchie”. Ma se non lo si fa presto e bene, la crisi della “arte lunga”, anche nella sua relazione con il paziente, rischia di diventare irreversibile. Come la domanda dei medici ospedalieri a ogni nuovo giorno di lavoro: “a chi toccherà oggi?”

Costantino Troise
Responsabile Centro Studi e Formazione Anaao Assomed

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