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L’emergenza epidemiologica causata dal COVID-19 se per un verso ha evidenziato il grande valore del Servizio sanitario nazionale, per un altro ha anche messo in evidenza alcuni limiti perlopiù strutturali e di vulnerabilità. Sono infatti emerse, in maniera generalizzata, forti criticità nell’erogazione dei servizi, soprattutto in termini di prevenzione e assistenza sul territorio, tempi di attesa e grado di integrazione tra servizi ospedalieri, servizi territoriali e servizi sociali. Criticità contrassegnate anche da significative disparità territoriali. “Superata l’emergenza della pandemia è necessario adesso costruire un sistema “integrato” di assistenza, incentrato sulle necessità di “presa in carico” della persona, spesso anziana e fragile, da sviluppare principalmente nell’ambito dei servizi territoriali, riservando all’ospedale un ruolo esclusivo nella fase delle acuzie”. E’ quanto sottolinea la Cisl in un documento programmatico presentato oggi a Roma nel quale si afferma che “è necessario superare la visione miope che non considera la sanità un investimento, facendola rientrare tra i settori strategici sui quali focalizzare l’attenzione, adottando misure e risorse significative (superiori a quelle fin qui destinate) necessarie non solo per rafforzare il sistema sanitario ma anche per garantire la copertura, l’adeguatezza e la sostenibilità dei sistemi sanitari e di protezione sociale”. “Con il Mes sanitario ci sarebbe la possibilità di saldare al Pnrr le dotazioni finanziare per rilanciare la sanità pubblica italiana”, ha detto il segretario generale della Cisl Luigi Sbarra, a margine dell'evento a Roma promosso dalla Cisl sul rilancio della sanità pubblica. “Occorre investire sulla sanità e assicurare il diritto alla salute, aiutare la crescita economia e sociale del Paese», ha sottolineato. «La sanità - ha precisato - va curata e occorre quindi stabilizzatore il precariato storico, rinnovare i contratti e puntare a forti interventi sulla medicina di prossimità e sulle cure domiciliari. E poi recuperare dall'odiosa e assurda politica dei tagli lineari”. Per la Cisl è il momento di dare vita a “un nuovo modello di welfare di comunità in grado di garantire a tutti l’accesso equo e capillare alle cure” e bisogna creare “reti di prossimità e strutture intermedie per allineare i servizi ai bisogni di cura dei pazienti in ogni area del Paese, anche attraverso l’impiego di tecnologie innovative e l’investimento in ricerca e digitalizzazione del SSN”. Ma per fare questo, spiega il sindacato , occorre “una corretta attuazione degli investimenti e delle riforme previste nel PNRR, non escludendo a priori il ricorso, in tutto o in parte, agli stanziamenti del MES sanitario in quanto le risorse messe a disposizione dal PNRR sono rivolte quasi esclusivamente a interventi strutturali e questi ultimi sarebbero poco efficaci senza l’ausilio dei professionisti che potrebbero essere giustappunto finanziati attraverso le assegnazioni della predetta linea di credito”. Ma, si legge ancora nel documento, “se vogliamo continuare a garantire a tutti i cittadini il diritto alla salute sancito nell’art. 32 della nostra Costituzione sarà necessario intervenire a partire dall’incremento delle risorse del Fondo sanitario nazionale”, anche perché, scrive il sindacato, “.dopo la drammatica emergenza pandemica ci saremmo aspettati forti investimenti per la sanità pubblica, mentre il DEF 2023 prevede una riduzione della spesa sanitaria nonostante gli elementi di complessità davanti agli occhi di tutti”. “In realtà – rimarca la Cisl - basterebbe, a nostro avviso, intervenire con una seria lotta all’evasione per adeguare il finanziamento per il SSN cercando di recuperare parte dei 100 miliardi di evasione fiscale; dagli ultimi dati del MEF nel 2019 risultano evasi circa 32 miliardi di IRPEF da lavoro autonomo e imprese e 27,7 miliardi di IVA. In totale circa 60 miliardi che potrebbero essere in parte investiti sulla sanità pubblica”. Ma “per rinforzare il SSN non servono solo più risorse – sottolinea ancora la Cisl - ma servono anche più programmazione e più organizzazione. Tra liste di attesa, rinunce alle cure e disuguaglianze il SSN è in codice rosso da tempo” e “oggi purtroppo il SSN sta velocemente lasciando il passo alla sanità privata come dimostrato dalla spesa out of pocket che ha raggiunto 40 miliardi di euro (poco meno di 1/3 del finanziamento del SSN) di cui 10 miliardi intermediata dai Fondi assicurativi”. “La sanità pubblica e privata possono e devono convivere – puntualizza il documento - con la seconda che può solo integrare e aiutare, con contratti di convenzione, il SSN ma non sostituirsi ad esso”. La governance sanitaria per la CISL dovrà continuare a rimanere saldamente sotto la sfera pubblica ed è anche per questo motivo che è necessario creare le opportunità affinché tutti i professionisti della salute del SSN possano partecipare in regime di libera professione, anche intramuraria, all’erogazione di prestazioni sanitarie rientranti nei piani sanitari delle assicurazioni integrative. Questo limiterebbe la fuga del personale verso il privato e, contemporaneamente, garantirebbe l’entrata di risorse finanziarie che potrebbero essere messe a disposizione di tutti. Le criticità maggiori da superare secondo la Cisl sono sostanzialmente quattro: insufficienza di posti letto; mancanza di coordinamento tra i diversi punti della rete; rallentamenti nella realizzazione del PNRR Missione 6 Salute e il mancato aggiornamento dei Lea. Per affrontare queste emergenze e le altre necessità della sanità il documento si conclude con una serie di proposte: Nel periodo 2013-2023 il FSN si è incrementato di poco più del 20% (del quale oltre il 13% finanziato a seguito della pandemia soltanto a partire dal 2020). Nello stesso periodo la crescita del PIL è stata di oltre il 41% (comprensivo della stima prevista per il 2023 pari all’1,2%). Nel decennio 2010-2019, la crescita media del FSN – pari allo 0,9% – è risultata inferiore anche al tasso di inflazione medio dello stesso periodo – pari al 1,15% – non garantendo così il mantenimento del potere di acquisto (dati Rapporto GIMBE 2022). A seguito della pandemia il FSN ha iniziato ad invertire il trend con una crescita media nel triennio 2020-2022 pari al 2,73%. Risultato tuttavia ancora ampiamente sottodimensionato se si considerano gli effetti dovuti al conflitto bellico in Ucraina e al conseguente aumento del costo dell’energia che hanno portato il tasso medio di inflazione nello stesso periodo ad oltre il 5%; per le stesse cause l’ISTAT ha calcolato ad aprile un tasso di inflazione annuo atteso per il 2023 pari all’8,2%. In considerazione dei dati su esposti, se non si procederà con un adeguato incremento del FSN sarà impossibile garantire su tutto il territorio nazionale il diritto alla salute sancito dall’art. 32 della Costituzione. La pandemia negli ultimi tre anni ha inoltre svelato tra l’altro, in tutta la sua drammaticità, l’assenza nel SSN di un’efficace assistenza territoriale. Per questo motivo è fondamentale la messa in opera, come su detto, della Missione 6 Componente 1 del PNRR che punta proprio al potenziamento della dimensione territoriale in termini di infrastrutture (Case e Ospedali di comunità, Centrali operative territoriali, ecc.). Questo rende conseguentemente indispensabile anche un contestuale adeguamento degli organici per poter garantire i servizi previsti dalle costituende reti di prossimità e reti di telemedicina per l’assistenza sanitaria territoriale. Questo comporta non solo la necessità di reintegrare le 17.500 unità mancanti rispetto al 2002, ma anche di adeguare i fabbisogni del personale alle reali necessità di salute e di assistenza della popolazione attraverso un ulteriore straordinario piano assunzionale che consenta alle Aziende e agli Enti del SSN, da un lato, di rendere realmente attivabili nuovi servizi territoriali e di assistenza domiciliare previsti dal PNRR e, dall’altro, di implementare la rete ospedaliera che, dal 2010, si è ridotta di oltre 100.000 posti letto e di 125 ospedali. Da considerare, inoltre, che si sta assistendo ad un nuovo fenomeno che consiste nell’abbandono del SSN, in particolare da parte del personale sanitario compresi i medici, non solo a favore della sanità privata o del lavoro all’estero, a volte meglio retribuiti o che permettono una migliore conciliazione dei tempi di vita e lavoro, ma anche verso lavori meno qualificati ma meno stressanti sotto il profilo dei carichi di lavoro e delle responsabilità. Se il trend non sarà invertito attraverso nuove assunzioni di personale sarà difficile non solo rendere operative le Case della salute e gli Ospedali di comunità ma mantenere le attuali prestazioni erogate. A scopo meramente indicativo è utile evidenziare che la stessa Agenas ha stimato, in occasione della pubblicazione del rapporto su Il personale del Servizio sanitario nazionale di marzo 2023, una carenza complessiva rispetto alla media europea di 148.366 infermieri dovuta alla presenza in Italia di soli 6,2 infermieri/1.000 abitanti contro gli 8,8 della media europea. Relativamente ai medici, all’appello ne mancano circa 20 mila per lo più nei reparti di medicina d’urgenza e pronto soccorso, anestesia e nella medicina territoriale soprattutto nelle zone rurali e di montagna. Per la CISL è quindi necessario prevedere una programmazione universitaria non parlando più di numero chiuso ma programmato, che risponda in tempo reale anche al fabbisogno nazionale di medici. Stesso discorso per l’accesso alle scuole di specializzazione e al corso di formazione di medicina generale; quest’ultimo deve a nostro avviso diventare una specializzazione come tutte le altre anche nell’ottica di attuazione del DM 77. Tuttavia, per poter portare a compimento questo piano assunzionale straordinario occorre, in primis, procedere alle stabilizzazioni del personale precario e poi: Per la sanità pubblica l’ultimo CCNL del comparto sottoscritto il 2 novembre 2022 – relativo al triennio 2019-2021 – è scaduto il 31/12/2021 e la sua vigenza perdura solo grazie alla prevista ultrattività delle norme contrattuali. Mentre per la dirigenza medica, sanitaria, professionale, tecnica e amministrativa il contratto attualmente in essere è ancora quello riferito al triennio 2016-2018 e non si è ancora raggiunto il rinnovo al triennio 2019-2021. Occorre pertanto introdurre, per il futuro, meccanismi che consentano il tempestivo rinnovo dei contratti pubblici durante il periodo della loro vigenza: Per la sanità privata l’ultimo CCNL sottoscritto per il settore, rinnovato dopo ben 14 anni nell’ottobre 2020, è quello relativo alla vigenza contrattuale 2016-2018 scaduto anch’esso il 31/12/2018 e in attesa di rinnovo. Per il settore delle RSA e dei centri di riabilitazione invece, dopo oltre 10 anni dall’ultimo rinnovo, siamo ancora in attesa che parta il tavolo per il rinnovo contrattuale. Per questo chiediamo al Governo un intervento a sostegno dell’avvio del tavolo negoziale anche attraverso apposite clausole di garanzia da inserire negli accreditamenti regionali in grado di evitare il “dumping contrattuale”. Vanno potenziate le strumentazioni tecnologiche e le dotazioni nelle nuove strutture previste dal DM 77 favorendo così la riduzione della pressione sugli ospedali con particolare riferimento ai pronto soccorso. Creando una sinergia tra specialisti e MMG si avrà una risposta sanitaria attrattiva per l’utenza e alternativa all’ospedale che permetterebbe di effettuare nel territorio gran parte delle prestazioni diagnostiche e terapeutiche. Non ultimo, l’innovazione tecnologica delle dotazioni informatiche consentirebbe un reale avvio della telemedicina. Una medicina proattiva, di prossimità, in rete che consenta di governare in maniera efficiente e rapida le liste di attesa, fenomeno che colpisce maggiormente le fasce più deboli della popolazione. Per il meccanismo dei fabbisogni, occorre una reale visione del “fabbisogno del personale” per ridurre e rendere sostenibili i carichi di lavoro. Quelli attuali sono frutto di algoritmi discutibili e non rispondenti al soddisfacimento dei LEA. Le riforme e gli investimenti avviati anche grazie al PNRR, sia in campo sanitario sia sociale (Missioni 5/6), vanno nella direzione auspicata dalla CISL delineando un quadro di riferimento nazionale che promuova l’infrastrutturazione degli ambiti territoriali sociali (ATS) e la gestione associata dei servizi, garantisca congiuntamente i LEA e i LEPS, favorisca la collaborazione tra Comuni e ASL, sostenga lo sviluppo di una omogenea organizzazione della rete di servizi integrati di accesso e presa in carico e percorsi assistenziali sociosanitari orientati alla domiciliarità e alla continuità della cura. Processi complessi che vanno implementati a tutti i livelli istituzionali, maggiormente sostenuti finanziariamente e accompagnati da adeguate dotazioni di personale sia dell’area sanitaria che sociale, anche superando i vincoli assunzionali. In questo contesto fondamentali saranno i decreti applicativi della legge 33/2023 (Deleghe al Governo in materia di politiche a favore delle persone anziane) che introduce, in particolare, innovazioni finalizzate a garantire e potenziare un sistema unitario nazionale per la popolazione anziana non autosufficiente. Lo sviluppo di tutti i setting assistenziali con un nuovo modello di domiciliarità e la qualificazione della residenzialità, la valorizzazione del lavoro di cura, attraverso adeguati percorsi formativi (anche utilizzando gli Enti bilaterali) e l’applicazione dei CCNL siglati dalle Organizzazioni comparativamente maggiormente rappresentative, la realizzazione della prestazione universale come opportunità di maggiore garanzia di assistenza offerta a coloro che hanno bisogni più elevati, sono i punti su cui chiediamo un confronto per dare un contributo ad una riforma da noi fortemente voluta e sostenuta. 14. Incentivare le iscrizioni verso alcune specializzazioni che evidenziano carenze di richieste, come: emergenza e urgenza, anestesia, radiologia, medicina legale, geriatria, ecc. L’insieme di questi fattori condiziona significativamente la qualità dei servizi erogati. La stessa Corte dei conti - conclude la Cisl - in un recente report, ha evidenziato che la maggiore o minore attrattività dipende principalmente dalla qualità e quantità dei servizi erogati oltre ad altri fattori come la presenza di centri universitari d’eccellenza. È urgente, quindi, lavorare per garantire servizi uniformi e omogenei in tutte le regioni ponendo fine ai cosiddetti “viaggi della speranza”.
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Venerdì 14 LUGLIO 2023
La Cisl presenta la sua “piattaforma” sanità con 16 proposte per il rilancio del Ssn e denuncia la deriva verso una pericolosa privatizzazione
Per la Cisl è il momento di dare vita a “un nuovo modello di welfare di comunità in grado di garantire a tutti l’accesso equo e capillare alle cure”. Ma “oggi purtroppo il SSN sta velocemente lasciando il passo alla sanità privata come dimostrato dalla spesa out of pocket che ha raggiunto 40 miliardi di euro di cui 10 miliardi intermediata dai Fondi assicurativi”. “La sanità pubblica e privata possono e devono convivere ma la seconda può solo integrare e aiutare, con contratti di convenzione, il SSN e non sostituirsi ad esso”. IL DOCUMENTO.
1. Assicurare sostegno economico alla crescita del FSN per rafforzare il Servizio sanitario nazionale
A partire dal 2010 la stagione dei tagli dovuti alla crisi economico-finanziaria si stima abbia portato ad un definanziamento del FSN quantificabile in circa 37 miliardi di euro (fonte Rapporto GIMBE 2022).
2. Intervenire sulle carenze degli organici per garantire servizi di qualità alle persone
Dal 2002 al 2021 (fonte Conto annuale della RGS-MEF), considerando il solo comparto, il Servizio sanitario nazionale ha registrato una contrazione di personale di oltre 17.500 unità che ha portato, come conseguenza, al contestuale incremento del precariato (nel 2021 il precariato nel SSN conta 62.637 unità di personale) e ad un ricorso massivo alle esternalizzazioni di servizi, anche sanitari.
3. Rinnovare i contratti nazionali di lavoro sia per il settore della sanità pubblica che per quello della sanità privata
È necessario giungere a rinnovi contrattuali che assicurino stessi diritti e retribuzioni a fronte dello stesso lavoro, questo anche alla luce del fatto che lo stesso Ministero della Salute certifica che, per l’assistenza sanitaria alla popolazione, lo Stato si avvale per il 51,4% di istituti di cura pubblici e per il 48,6% di strutture private accreditate (fonte Annuario 2021).
4. Risorse PNRR e medicina territoriale
Non è più eludibile il principio di rinforzare la medicina territoriale con l’aumento delle ore di specialistica ambulatoriale sul territorio oltre alla corretta valorizzazione dei medici del sistema 118 e della continuità assistenziale che, insieme ai medici di famiglia, dovranno essere fondamentali attori della medicina territoriale del XXI secolo.
5. Adeguamento delle retribuzioni alla media di altri Paesi europei
C’è una distanza ormai abissale tra noi e gli altri Paesi e questo è uno dei principali motivi di esodo dei professionisti italiani. Una fuga che ormai coinvolge non solo i giovani ma anche coloro che lavorano nel SSN da oltre 15 anni. Per contenere tale fenomeno, occorre trovare risorse extracontrattuali per le voci professionalizzanti, come le indennità specifiche: incrementi a costi sostenibili. È necessario applicare la defiscalizzazione della tredicesima mensilità e del salario accessorio oltre a garantire la liquidazione del TFR/TFS nei tempi previsti per le categorie del privato dando seguito alla recente sentenza della Corte costituzionale.
6. Ripristino del tavolo tecnico Agenas
7. Ristabilire un corretto rapporto tra i posti letto pubblici e privati
Se il sistema deve essere universale e accessibile a tutti, gli standard assistenziali dei servizi devono essere uguali per entrambi i settori; stesso discorso per quanto riguarda l’applicazione dei contratti di lavoro che devono essere rinnovati con le stesse vigenze contrattuali e negli stessi tempi evitando ciò a cui assistiamo da moltissimi anni con ritardi decennali dei rinnovi del privato oltre al dumping salariale che viene fatto in strutture private convenzionate di alto profilo.
8. Depenalizzazione dell’atto medico
Si tratta, ormai, di un’anomalia giuridica vera e propria rimasta in pochissimi Paesi al mondo, questo è il principale motivo del fenomeno della medicina difensiva che ha un costo di circa 15 miliardi annui e insieme al superlavoro è causa del burnout del personale. Ha ancora senso continuare su questa strada quando il 95% delle cause viene archiviato e del restante solo una piccola parte dimostra una parziale responsabilità del medico?
9. Sicurezza nei posti di lavoro
Ancora oggi molte sedi di erogazione di prestazioni sanitarie sono facile obiettivo di atti vandalici e gli operatori oggetto di aggressioni verbali e fisiche. Qualcosa è stato fatto ma serve ancora più impegno per rendere sicure le postazioni. Da non sottovalutare il problema culturale: anni di attacchi denigratori verso i dipendenti pubblici hanno portato, in una percentuale seppur residuale di cittadini/utenti, al convincimento che tutte le criticità del sistema sono riconducibili ai lavoratori; anche su questo è necessario cambiare paradigma.
10. Rafforzamento della formazione del personale sanitario
Al fine di garantire l’organizzazione delle strutture di prossimità, di cui al DM 77 (Case e Ospedali della salute e COT), è necessario adeguare le strutture sanitarie in base alle reali necessità del territorio.
11. Revisione dei criteri di cui al DM 70
È un atto normativo che risale al 2015 e ha portato ad un’eccessiva contrazione di posti letto e strutture sanitarie pubbliche che debbono essere compensate.
12. Incremento delle risorse per l’assistenza intermedia post acuzie
Come in particolare l’assistenza domiciliare con la diffusione dell’utilizzo della telemedicina e la sua integrazione con il SAD (che pure dovrà essere adeguatamente finanziato).
13. Integrazione sociosanitaria e riforma della non autosufficienza
È uno dei punti fondamentali per lo sviluppo del sistema di promozione e tutela della salute centrata sulla persona.
15. Integrare i LEA sanitari con i nuovi LEPS da completare
16. Affrontare il problema della mobilità sanitaria interregionale che fra il 2012 e il 2021 presenta un saldo negativo per ben 13 regioni su 21, per un importo di quasi 14 miliardi di euro, le cui cause vanno individuate nella riduzione del personale sanitario, del numero delle strutture e di posti letto, oltre che nella carenza di servizi territoriali. A questo va ad aggiungersi anche il problema dei commissariamenti: sono ben 8 le regioni in cui risulta in carica in almeno un’azienda ospedaliera o sanitaria un commissario.
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