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Giovedì 06 LUGLIO 2023
Le bugie dei sindacati
Gentile Direttore,
La mia personale avversione per i sindacati, è una lunga storia e merita di essere raccontata. Io sono nato in Svizzera, a Solothurn, dove mio padre lavorava come operaio alla Sultzer, fabbrica di macchine tessili e mia madre, alla Delta, fabbrica di micromeccaniche di precisione, come cuoca. I miei genitori, provenivano dal meridione d’Italia e, con meraviglia, guardarono il contenuto della prima busta paga: una cifra enorme. Con tutto quel denaro, poterono permettersi l’acquisto della loro prima casa e dare una mano ai tanti parenti in Italia. Altra meraviglia per i miei genitori, era la totale assenza di sindacati e scioperi in Svizzera, parole sconosciute per la confederazione elvetica perché la religione calvinista rende il lavoro una religione. Reciproco profondo rispetto tra datore di lavoro e lavoratore, entrambi con il camice verde e qualifica sul petto: la fabbrica è un insieme di ingranaggi dove ogni rotella è importante ed è un bene di tutti. Se c’è un problema, ci sediamo al tavolo e risolviamo subito, senza scontri o scioperi.
Quando sono nato, nel novembre del 1961, la fabbrica inviò a mia madre un pacco regalo con tutto il necessario per la cura del neonato, comprese le tutine. Per le prime tre settimane abbiamo avuto la nurse a domicilio perché mia madre imparasse la gestione del neonato.
Questa era la Svizzera tedesca nel 1961. Altra storia in Italia: il mio nonno paterno, lavorava come fattore per una delle tante famiglie benestanti e latifondiste in Puglia. Era l’uomo di fiducia dei vicerè di quel meridione spaccato socialmente in due: i proprietari latifondisti con migliaia di ettari ricevuti in dono dalla baronia borbonica e i braccianti che venivano assunti a giornata da mio nonno, all’alba nella piazza del paese: mio nonno sceglieva chi avrebbe lavorato quel giorno e chi non avrebbe avuto salario.
In quegli anni sessanta del secolo scorso, una realtà sociale di grande tutela del lavoro e della persona al nord e una realtà di sfruttamento al limite dello schiavismo al sud. La lotta sindacale era necessaria e vitale in una realtà priva di cultura dei diritti sociali ed era, comunque il segno di una grande spaccatura tra privilegiati e le vittime della povertà: un conflitto. Il sindacato è figlio di un conflitto. Se il conflitto non c’è, il sindacato non serve. Ma è necessaria una cultura sociale evoluta che tuteli i lavoratori e l’etica del lavoro, in una società come quella italiana che culturalmente ha sempre tutelato solo i privilegi. E’ la differenza tra lo Stato di Diritto e quello mafioso, dei privilegi.
Da oltre quaranta anni, i sindacati medici di categoria avrebbero dovuto tutelare il lavoro e la dignità della categoria dei medici di base ed è talmente fallimentare questo mandato considerando solo i risultati: dal 1978 ad oggi, il medico di base non è inquadrato in alcun ruolo, tanto da non sapere nemmeno come definirlo e le definizioni si sprecano: condotto, di famiglia, di base, di fiducia, di cure primarie, di comunità. Costruisce il suo reddito a prestazione, pagato da mercenario, un tanto al chilo. Si paga le proprie ferie, non ha diritto a malattia, non esiste una scuola accademica di formazione, impara il lavoro sul campo, sulla propria e l’altrui pelle. Non ha direttive da nessuno e prende ordini da tutti, pazienti compresi.
Un lavoro oscuro, non valorizzato, malpagato, carico di compiti burocratici da piccolo scrivano fiorentino e tirato in ballo solo quando le cose vanno male: infatti, è alla ribalta della cronaca solo da quando la gente ha scoperto che non c’è più. E’ scappato. All’estero, nel privato, in pensione anticipata, o nelle visite su appuntamento anche per autodifesa.
Bisogna fare qualcosa e, a quanto pare, il Ministro Schillaci si è messo all’opera per risolvere la questione perché i nodi sono arrivati al pettine. Ma non dimentichiamo il peccato originale: siamo ancora il paese dei privilegi e il maggior sindacato medico a voce del suo presidente, dice no alla vera rivoluzione copernicana della medicina di base, la dipendenza dal SSN.
Il presidente medico ha lunga esperienza in fatto di assistenza medica e quando afferma che il contratto di convenzione è garante del rapporto di fiducia tra medico e paziente, potrebbe essere in malafede a tutela dello status quo e dei soliti privilegi da sindacalista, perché tale affermazione è talmente errata da essere imbarazzante e difficilmente credibile da chi conosce la materia. Francamente, sono fortemente pessimista sul destino della medicina generale perché consapevole del peso politico dei gruppi privilegiati di potere che, anche nell’evidenza fallimentare, continuano a tutelare i propri interessi di casta e mai di categoria professionale. Cambierà tutto, per non cambiare nulla, come al solito. Noi del sud lo sappiamo.
Enzo Bozza
Medico di base a Vodo e Borca di Cadore (BL)
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