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Mercoledì 07 GIUGNO 2023
Pnrr. L’Italia ha il dovere di garantire un corretto utilizzo dei fondi UE

Con l'approvazione del decreto PA si esclude la Corte dei Conti dalla vigilanza in itinere del Pnrr. Prescindendo dalle ragioni di diritto che supportano le reciproche pretese, in tutta questa vicenda sono emersi due fenomeni non propriamente apprezzabili: l’inaccettabilità della politica all’esercizio dei controlli, effettuati nel mentre, e la eccessiva “familiarità” che la stessa ha consolidato con la dirigenza, di fatto “bersaglio” dei suo controlli.

È in corso di approvazione in Parlamento, ricorrendo al voto di fiducia della maggioranza sul decreto PA, l’esclusione della Corte dei conti sulla vigilanza in itinere del PNRR così come la proroga dell’esonero dei dirigenti da responsabilità erariale non dolosa nella gestione e realizzazione del relativo programma.

Questo tema ha determinato nell’ultimo mese uno scontro tra la politica e la Corte dei conti. Anche l’associazione dei magistrati contabili ha detto la sua, anche severamente appellando il comportamento del Governo come sgarbo istituzionale. Insomma, in corso di partita a basket il Parlamento finirà con il decidere come si va correttamente o meno a canestro.

Di conseguenza, con questo viene messo in discussione lo Stato di diritto, solo perché l’Esecutivo si è mostrato molto allergico ai controlli in quanto tali. Specie quando i loro esiti non sono dei migliori.

Si è arrivati ad una scelta della maggioranza a seguito di una diatriba insorta di recente tra il Collegio del controllo concomitante sul PNRR e il Governo, a fronte di due deliberazioni dello scorso 3 maggio, le nn. 17 e 18, con le quali l’organo speciale preposto al controllo in corso d’opera del Pnrr ha ammonito l’Esecutivo sui ritardi attuativi dei progetti finanziati con i quattrini europei, attribuendo una responsabilità d’opera ai dirigenti, da sanzionare ad hoc ricorrendone i presupposti. Ciò contrariamente a quanto è invece accaduto con le deliberazioni adottate dal medesimo organo nn. 9 e 19 del 20/29 marzo scorso e n. 13 del 13 aprile successivo che sollecitavano più puntualità, tra l’altro, in tema di realizzazione delle Case della comunità, di presa in carico della persona, di generazione dell’assistenza intermedia e della telemedicina, atteso che le stesse sono passate politicamente inosservate nonostante evidenziassero anche esse un cartellino giallo all’indirizzo del sistema della salute nella sua complessità.

A seguito, delle due deliberazioni del 3 maggio scorso, ne è nata di contro una guerra tra istituzioni, da considerarsi oramai conviventi in un clima di scombussolamento, ove le armi messe in campo sono - da una parte - emendamenti seriali, per lo più a decreti legge in conversione, in quanto tali dal sapore costituzionalmente sacrilego e - dall’altra - richiami diffusi ad osservare di più la Costituzione, forti anche del sostegno di voci autorevoli della Commissione europea, per cultura intransigente sui controlli.

Così, tra le dichiarazioni rese dai magistrati contabili, nel più alto rango, in un apposito incontro a Palazzo Chigi e i dicta europei espressi sull’argomento è intervenuta una nutrita nota del Governo a difesa dei suoi rilievi, sia sul piano del diritto che del merito, e a sostegno dell’emendamento votato in Parlamento.

Essere Stato membro dell’UE impone oneri.

La vicenda, non affatto bella, suscita due brutte considerazioni, non affatto positive per un Paese europeo che ha il dovere irrinunciabile di garantire la buona, corretta e tempestiva utilizzazione delle risorse generosamente percepite dall’UE per realizzare la sua crescita.

Prescindendo dalle ragioni di diritto che supportano le reciproche pretese, in tutta questa vicenda sono emersi due fenomeni non propriamente apprezzabili: l’inaccettabilità della politica all’esercizio dei controlli, effettuati nel mentre, e la eccessiva “familiarità” che la stessa ha consolidato con la dirigenza, di fatto “bersaglio” dei suo controlli.

La prima si concretizza quotidianamente attraverso un esagerato nervosismo della politica preposta ai governi, nazionale e regionale, nei confronti delle decisioni che pervengono, a suo eventuale discapito ma certamente a tutela generale, da parte della magistratura, finanche costituzionale. Sentimento, questo, di contrapposizione inaccettabile tra i rappresentanti di due poteri che rintracciano nella loro assoluta autonomia la loro utile e codificata convivenza a garanzia dello Stato di diritto.

Una intolleranza che fa sì che la politica faccia a gara con le decisioni ostative della magistratura ad ogni evento che si presenti non propriamente conforme alla Costituzione arrivando a reiterare soventemente leggi di strumentale superamento dei vizi riscontrati, confermandone tuttavia ratio e obiettivi. Una brutta abitudine, questa, assunta nell’esercizio del potere legislativo, tanto da impegnare di frequente la Corte costituzionale, soprattutto da parte di numerose Regioni ove abbondano le leggi ad personam sostitutive degli atti amministrativi, molto spesso impugnate solo incidentalmente perché facili a superare il filtro governativo dell’art. 127 della Costituzione.

La seconda, oltra ad essere caratterizzata dagli stessi limiti giuridici della prima, suscita un ingombrante imbarazzo. L’ordinamento pone una regola invalicabile (art. 4 d.lgs. 165/2001): alla politica spettano l’indirizzo politico amministrativo, la programmazione e i controlli sulla gestione. Quest’ultima affidata alla dirigenza, cui compete l’adozione degli atti relativi e l’esercizio della spesa. I primi pagano il cattivo adempimento dei doveri con la sanzione elettorale. I secondi rispondono del proprio operato generativo di danno alla istituzione dalla quale dipendono con sanzioni economiche corrispondenti, prodotto con dolo o colpa grave, un elemento soggettivo quest’ultimo recentemente sospeso sino al 2024 sul piano della attribuzione delle responsabilità risarcibili, sino al 2023 dal secondo Governo Conte.

Una decisione (dicunt) occorrente per evitare quella “paura di firma” che impedisce alla dirigenza di completare il lavoro disegnato dalla politica, determinando danni enormi agli investimenti e alla spesa del PNRR, così come degli altri fondi. Un tema specifico ben affrontato e approfondito nel recente convegno organizzato dalla Corte dei conti il 13 marzo scorso, cui si rinvia ogni ulteriore dettaglio anche sull’esigenza di pensare ad un nuovo codice dei controlli.

Ettore Jorio

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