quotidianosanità.it

stampa | chiudi


Martedì 23 MAGGIO 2023
Psichiatri di Napoli e provincia insorgono: “Troppa confusione su salute mentale, violenza e responsabilità”

Oltre 80 psichiatri campani intervengono sui dibattiti scaturiti dalla cronaca per esprimere “frustrazione” e chiarire che “malattia mentale non è sinonimo di violenza” e “non spetta agli psichiatri ‘curare’ la violenza” o “proteggere i cittadini da essa”. Per questo ci sono “le Forze dell’Ordine, la magistratura e luoghi deputati alla custodia di autori di reati, che sono gli istituti penitenziari e non gli SPDC o i Centri di Salute Mentale”. Per gli psichiatri campani affiancare salute mentale e violenza ha il solo risultato di “aumentare lo stigma sui pazienti psichiatrici veri”. LA LETTERA APERTA

“Siamo frustrati perché costretti non solo a confrontarci quotidianamente con la violenza (spesso non agita da veri pazienti psichiatrici ma da persone che usano la psichiatria come rifugio da sanzioni penali), ma veniamo anche ritenuti penalmente responsabili dei reati che queste persone compiono”. A dirlo è Anna Formato, psichiatra in servizio presso l'UOSM di Pozzuoli, in una lettera aperta sottoscritta da altri (per ora) 82 psichiatri di Napoli e Provincia. Una lettera per intervenire, uniti e concordi, sui dibattiti scaturiti dai fatti di cronaca, tra cui la morte della psichiatra Barbara Capovani, ed esprimere la “rabbia infinita” e la “frustrazione devastante” derivante dalle dichiarazioni rilasciate da “una marea di intervistati (magistrati, giornalisti, criminologi, passanti e psichiatri televisivi che frequentano più i salotti che i Centri di Salute Mentale)” che “danno le loro illuminanti interpretazioni e propongono soluzioni". Con “una costante: delegare agli operatori della Salute Mentale (in particolare ai medici) il compito di rendere più sicura e protetta da atti violenti la vita dei cittadini italiani”.

Nella lettera Formato e i colleghi sottolineano, piuttosto, come “non abbiamo deciso quando ci siamo laureati e specializzati di fare i poliziotti: NOI, in quanto medici, dobbiamo essere protetti dalla violenza. Non abbiamo scelto lavorare nel Ssn perché volevamo esibirci nelle arti marziali. Volevamo lavorare nel SSN come medici perché la salute è un diritto dei cittadini garantito dalla costituzione e eravamo fieri di lavorare nel Servizio Pubblico”.

Ma gli psichiatri campani spiegano anche di essere arrabbiati perché le parole che spesso si sentono quando si parla di aggressioni e violenze richiamano spesso a “un sillogismo tanto automatico quanto falso: malattia mentale sinonimo di violenza e violenza sinonimo di malattia mentale. Non esiste alcun dato scientifico a riprova di questa equivalenza . La violenza esiste e è sempre esistita e non è una prerogativa di un paziente psichiatrico”, scrivono gli psichiatri campani che, per chiarire ancora meglio il concetto, spiegano come la violenza “non è una malattia ma un comportamento umano e non essendo una malattia non può essere curata. Altrimenti dovremmo curare “obbligatoriamente” i mafiosi, i camorristi responsabili di stragi e quotidiani atti di violenza; i terroristi di qualunque ideologia; i politici e capi di Stato che dichiarano e fanno guerre. L’unico caso in cui questi personaggi vengono inseriti nel circuito psichiatrico è quando lo chiedono essi stessi tramite i loro avvocati per evitare le sanzioni penali corrispondenti ai loro reati”.

Gli psichiatri campani sottolineano come, allora, “non spetta agli psichiatri in quanto medici “curare” la violenza né proteggere i cittadini da essa. Ci sono le Forze dell’Ordine, la magistratura e luoghi deputati alla custodia di autori di reati: sono gli istituti penitenziari e non gli SPDC (reparti psichiatrici di cura); non i Centri di Salute Mentale né le strutture riabilitative. A noi medici si chiede invece non solo di curare qualcosa che non è una malattia, ma di mantenere il controllo dell’ordine sociale e provvedere a custodire gli autori di atti violenti. Si aumenta così lo stigma sui pazienti psichiatrici veri, vissuti dagli altri come violenti solo perché malati”.

E a chi invoca i TSO rispondono: “Da quando ha cessato di essere uno strumento di cura a beneficio della salute di un cittadino ammalato per diventare una misura di sicurezza a beneficio della sicurezza sociale? Hanno già cambiato la legge 180? Non ce ne siamo accorti. Nei criteri per avviare un TSO non c’è alcun cenno alla pericolosità sociale (dalla 180 in poi) ma solo criteri clinici relativi alla situazione di quel dato momento e all’impossibilità di cure in luogo alternativo all’ospedale. Se scrivessimo su una richiesta di TSO adducendo tra i motivi la pericolosità sociale qualsiasi giudice la rifiuterebbe definendola illegale”.

Mentre a chi chiede la riapertura dei manicomi e modifiche della 180 “gettando alle ortiche anni di civiltà e di dignità”, gli psicologi chiedono: “Perché non si parla invece della improvvida, demagogica chiusura degli OPG? E perché in questo clamore non c’è un accenno alla situazione incivile delle carceri, all’edilizia carceraria, alla impossibilità di curare in carcere (come previsto dalla legge) le patologie psichiatriche di persone autrici di reato vista la disastrosa assenza di spazi e operatori? La soluzione attuale è “affidare ai Centri di Salute Mentale” queste persone. Affidare che cosa significa? Fargli da guardiano? Impedire che compia reati? Per tutta la vita?”.

E osservando come “questo Ssn di cui eravamo orgogliosi ce lo stanno smantellando sotto i piedi, trasformando inoltre la Psichiatria nello sversatoio di tutto quello che a livello sociale e economico non trova altra risposta”, gli psichiatri campani concludono chiedendo: “Questo SSN e questo Paese di quante Barbara hanno ancora bisogno per proteggere e ridare dignità ai loro operatori?”,

© RIPRODUZIONE RISERVATA