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In un recente articolo su QS Ivan Cavicchi ha sostenuto che la riforma del servizio sanitario non sarà mai possibile se non si risolve il problema della sostenibilità e che va affrontata la contraddizione per cui il pubblico di fatto finanzia il privato. Sempre su QS, Banchieri, Franceschetti e Vannucci hanno fatto notare che la sostenibilità o, meglio, lo sviluppo sostenibile, è interconnessa con differenti sistemi complessi, l’ambiente, l’economia e la società, di cui tecnologia, cultura e politica sono sottosettori. Questi articoli, del tutto condivisibili, colgono la questione fondamentale: se il sistema “tutela della salute” non appare al decisore pubblico sostenibile sul piano economico è facile, anche se surrettizio, che sia privilegiata la strada della privatizzazione almeno parziale del servizio, gabellando in tal modo la frana dei sacrosanti diritti per la dura legge dell’economia di mercato. Non vi è dubbio che l’equilibrio tra capitalismo e democrazia, che ha consentito le conquiste del secolo glorioso dello Stato Sociale, si è del tutto infranto sotto i colpi della finanziarizzazione del mercato. Tutta la welfare community è in crisi, e basti pensare che le lotte più aspre si combattono sul fronte pensionistico; i cittadini pensano che la sanità sia un dono del cielo anche se qualche segno di consapevolezza appare. Ma se l’analisi è corretta la domanda è: che fare? Come modificare l’assetto dell’economia e della politica globale? Tutti gli esperti avanzano proposte che riguardano l’assetto interno della sanità oppure il finanziamento, cioè la quota di PIL che si vuol dedicare alla tutela della salute, quasi fosse separata dagli assetti generali del sistema paese. Insomma le riforme interne al servizio inerenti anche la prassi professionale sono perseguibili sia pur con enormi difficoltà. Ma, tornando alle questioni generali nelle quali si colloca ogni ipotesi di sostenibilità, come agire sull’economia di mercato per piegarla al rispetto dei diritti sociali, dell’universalità della tutela della salute, dell’uguaglianza delle prestazioni, dell’equità, solidarietà e qualità? Dovremmo, secondo le Organizzazioni Internazionali, entrare a vele spiegate in piena One Health, un processo interdisciplinare e un modello di sanità per cui la salute umana si realizza nell’interazione con quella animale, nel rispetto dell'ambiente e della biodiversità, attento alla salute della collettività nonché all'utilizzo appropriato delle risorse naturali, per un ecosistema vivibile dalle future generazioni. I disastri ambientali sono all’ordine del giorno. Cosa poteva fare la sanità pubblica prima dell’alluvione dell’Emilia Romagna e cosa fare ora e nel futuro in un quadro politico diversamente orientato? Il sistema sanitario pubblico si colloca all’interno dell’evoluzione dell’ambiente e del modello economico e dei rapporti di lavoro. La sanità intesa come tutela della salute degli individui e delle comunità, rispettosa dell’ecosistema e delle future generazioni, è una delle facce fondamentali della complessiva sicurezza sociale cui ogni società umana ha diritto. Se, come sembra, il libero mercato non è affatto regolamentato né appare all’orizzonte una forza politica che si volga a farlo, la sostenibilità del servizio sanitario si scontrerà con quella generale del welfare state, a partire dalle pensioni, per giungere ai sussidi, alle politiche per la natalità e a quelle per l’abitazione. La sostenibilità intesa come equilibrio complessivo di una comunità non può nascere dalla sanità bensì, al contrario, si riverbera questa su quella. Sembra difficile riformare la sanità senza incidere sul modello di sviluppo prevalente. Insomma se il mondo va a destra come può andare a sinistra la sanità? Viviamo una sorta di novello feudalesimo fondato sull’economia finanziaria in cui la politica è assoggettata ai grandi interessi economici più che alla tutela dei diritti. Un progetto di politica sanitaria concretamente riformista non può prescindere anzi presuppone una prospettiva generale, una visione complessiva della società. In conclusione, reperire o recuperare i finanziamenti necessari per una sanità adeguata ai tempi presuppone una svolta politica che finora nessuna forza politica ha proposto, tanto meno questo Governo in tutt’altre faccende affaccendato. E’ chiaro che i medici e la sanità in genere debbono dare qualcosa in cambio, cioè non possono più trincerarsi in un passato che non risponde più alle esigenze né della gente né della corretta gestione del servizio sanitario. Allora, se da un lato è necessario proseguire con iniziative che scuotano la gente, fino allo sciopero generale di tutti i professionisti della sanità, dall’altro occorre creare un movimento dal basso coinvolgendo tutta la cittadinanza. Non è difficile spiegare la differenza tra avere o non avere un servizio di sanità pubblico, se non altro per la propria borsa. Occorre riprendere la lotta per i diritti a tutto tondo a partire da quelli legati al lavoro, che il cosiddetto welfare aziendale contraddice ottenendo l’effetto contrario, cioè indebolendo il servizio sanitario. Viviamo un’epoca di indifferenza o di acquiescenza. Se i medici, specialmente i giovani, hanno ancora un ruolo di leadership intellettuale è l’ora di mostrarlo, prima che, senza che nessuno annunci la fine del servizio sanitario, questo sia di fatto cancellato. Occorrono azioni decise, sono assolutamente d’accordo con chi le propone; se non ora quando? Antonio Panti
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Martedì 23 MAGGIO 2023
Sostenibilità della sanità pubblica a rischio
Non vi è dubbio che l’equilibrio tra capitalismo e democrazia, che ha consentito le conquiste del secolo glorioso dello Stato Sociale, si è del tutto infranto sotto i colpi della finanziarizzazione del mercato. Tutta la welfare community è in crisi, e basti pensare che le lotte più aspre si combattono sul fronte pensionistico; i cittadini pensano che la sanità sia un dono del cielo anche se qualche segno di consapevolezza appare. Ma la domanda è: che fare?
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