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Lunedì 22 MAGGIO 2023
L’affidamento degli incarichi da parte dell’Azienda Sanitaria. Gli orientamenti della Corte dei conti

È una fattispecie che merita la dovuta attenzione per i costi che ne derivano sui bilanci degli enti. I giudici contabili hanno ribadito la necessità di individuare criteri prudenziali certi, chiari ed obiettivi, tesi ad evitare un uso distorto ed arbitrario. E questo non solo prevedendo la fissazione a monte dei presupposti legittimanti il conferimento, ma anche nella previsione di verificare la congruenza dell’incarico, la sua specificità e che esso sia avvenuto con le medesime finalità indicate negli atti di conferimento

In materia di incarichi esterni, la giurisprudenza contabile ha fissato condizioni piuttosto vincolanti, ammettendoli:

  1. per lo svolgimento di attività rispondenti agli obiettivi dell'amministrazione;
  2. per compiti che esorbitino dalle conoscenze e dalle mansioni delle strutture interne e per i quali la P.A. non abbia organizzato appositi uffici o, in caso di sussistenza degli stessi, non vi abbia destinato una adeguata dotazione di mezzi e di personale;
  3. previa indicazione specifica dei contenuti e dei criteri per lo svolgimento e della durata dell'incarico;
  4. ove sussista proporzione tra il compenso corrisposto all'incaricato e l'utilità conseguita dall'amministrazione.

Ha, altresì, chiarito che le P.A. hanno l'obbligo di far fronte alle competenze istituzionali mediante il più proficuo utilizzo di risorse umane e professionali esistenti nell'ambito delle proprie strutture e il ricorso a incarichi professionali esterni, avendo natura eccezionale, può avvenire solo nei casi di necessità e urgenza, nell'impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse umane, ovvero vi sia carenza di figure interne aventi professionalità e/o idoneità specifica.

La materia del conferimento di incarichi esterni è aspetto di non poco momento che merita la dovuta attenzione per i costi che ne derivano sui bilanci degli enti che li conferiscono.

Ecco perché i giudici contabili hanno ribadito la necessità di individuare criteri prudenziali certi, chiari ed obiettivi, tesi ad evitare un uso distorto ed arbitrario di tale utile strumento, consistenti non solo nella fissazione a monte dei presupposti legittimanti il conferimento, ma anche nella previsione – durante e al termine della prestazione resa – di verificare la congruenza dell’incarico, la sua specificità, che sia avvenuto con le medesime finalità indicate negli atti di conferimento.

Tanto premesso, allora, se all’Amministrazione è riservata la discrezionalità nel concederli, al giudice, invece, è riservato il compito di verificarne la congruità e la ragionevolezza, desumibili:

  1. dalla idonea qualificazione professionale di chi riceve l’incarico,
  2. dalla rispondenza dell’incarico agli obiettivi istituzionali dell’Amministrazione,
  3. dalla inesistenza di idonee figure professionali all’interno di essa,
  4. dalla precisazione e determinatezza dell’oggetto,
  5. dalla durata e dai contenuti dell’incarico, ovvero dalla proporzione tra l’incarico espletato e il compenso pattuito,
  6. dalla possibilità oggettiva di poter verificare il risultato dell’incarico conferito e dalla sua effettiva verifica finalizzata al pagamento del compenso, dall’acquisizione di una concreta utilità per il soggetto pubblico committente.

Orbene, tutto ciò premesso, se lo stesso Direttore Amministrativo e lo stesso Direttore Sanitario conseguono, per ben tre volte in primo grado, una condanna al risarcimento del danno nei confronti dell’Azienda per aver affidato incarichi a professionisti ed in appello, in un caso, ricevono un ribaltamento della sentenza (e, quindi, una condanna) ed in altri due una conferma (quindi, un’assoluzione), ad un osservatore esterno sorge legittimamente il sospetto che qualcosa non quadri.

Ma ad una corretta ed attenta lettura delle tre sentenze di riferimento, si nota che le fattispecie di cui si sono occupate i diversi giudici, pur avendo il comune denominatore della tipologia generale dell’affidamento degli incarichi, di fatto, si differenziano tra di loro per aspetti specifici di non poco momento.

E così, si è verificato che in un caso si è trattato di affidamento di incarico ex novo e non di proroga; in un altro di proroghe per completamento di progettualità esistenti; nell’altro di proroghe di contratti (peraltro, già illegittimi in origine) per attività generiche da svolgere sine die e senza alcun programma stabilito, ovvero sforniti della prescritta progettualità.

Ciò detto, l’iniziale legittimazione al sospetto, perde quota.

Il differente orientamento assunto dai giudici è supportato dalla lettura della normativa primaria e secondaria posta a disciplina della fattispecie di cui stiamo parlando e, soprattutto della sua vigenza, atteso che le diverse fattispecie, oltre che una diversità ontologica ne presentano anche una temporale per essersi verificate in periodi di differente vigenza della normativa.

E, quindi, esaminando partitamente le ipotesi, la situazione che si avrà sarà la seguente.

Affidamento di incarico ex novo e non di proroga
Correva l’anno 2020 quando i giudici d’appello nel ribaltare il disposto di primo grado – in applicazione della normativa primaria e secondaria a disciplina della fattispecie – decretavano l’assoluzione dei due Direttori, sanitario ed amministrativo, osservando come dall’esame della documentazione emergesse in modo inequivocabile che gli incarichi in questione[1] erano riferiti a progetti finalizzati e rappresentanti nuovi incarichi, non proroghe di precedenti.

I giudici d’appello hanno, cioè valutato che la disciplina in materia sanitaria dettata dal d. lgs. n. 502/1992, all’art. 15-octies dispone che per l'attuazione di progetti finalizzati non sostitutivi dell'attività ordinaria, le ASL e le AO possono – nei limiti delle risorse di cui alla legge n. 662/1996, n. 662, a tal fine disponibili – assumere con contratti di diritto privato a tempo determinato soggetti in possesso di diploma di laurea ovvero di diploma universitario, di diploma di scuola secondaria di secondo grado o di titolo di abilitazione professionale, nonché di abilitazione all'esercizio della professione, ove prevista.

Senza entrare in tecnicismi giuridici va, sinteticamente detto, che detto articolo non risultando esplicitamente abrogato dall’entrata in vigore dall’art. 7, co.6, del d. lgs. n. 165/2001, è stato ritenuto ancora applicabile, altrimenti si sarebbe giunti a conclusioni differenti, se non altro per la necessità di richiedere per tutti gli operatori di essere “esperti di particolare e comprovata specializzazione anche universitaria”.

L’art. 7, co. 6, del d. lgs. n. 165/2001, invece, è stata oggetto di molteplici modifiche, fino a quella operata dall’art. 1, co. 147, della l. n. 228/2012, non contemplando espressamente l’ipotesi del rinnovo.

La modifica è consistita nell’aggiungere una lettera al suddetto co. 6 , così formulato: “non è ammesso il rinnovo; l’eventuale proroga dell’incarico originario è consentita, in via eccezionale, al solo fine di completare il progetto e per ritardi non imputabili al collaboratore, ferma restando la misura del compenso pattuito in sede di affidamento dell’incarico” e, per quanto successiva alle proroghe degli incarichi in contestazione (perché entrambe del 2011), esprime una regola di carattere generale, per cui le proroghe sono consentite per completare il progetto e con invarianza della misura del compenso.

Dopo la modifica operata dalla legge n. 228/20122, allora, l’art. 7, co. 6, del d.lgs. 165/2001, è esplicito nel prescrivere che le proroghe degli incarichi sono possibili:

1) per il completamento di progetti già avviati, purché in via eccezionale e per ritardi non imputabili ai collaboratori;

2) ove non venga modificata la misura del compenso pattuito in sede di affidamento dell’incarico.

La fattispecie di proroga consiste nella posticipazione della scadenza degli effetti dell’atto che deve intervenire – a differenza del rinnovo – prima della scadenza del termine in origine fissato, senza necessità di una rinnovata valutazione degli elementi istruttori posti a base del precedente atto.

Nessuna rilevanza, quindi, ai fini dell’esatta individuazione dell’istituto giuridico, può assumere la circostanza che le proroghe in questione contemplino un’ulteriore durata di efficacia degli originali contratti identica a quelle in precedenza pattuite, atteso che la durata delle stesse è rimessa alla discrezionale valutazione delle parti contraenti in ragione dei tempi occorrenti per il compimento dell’opera.

Sono, quindi, situazioni di fatto che non rivestono rilevanza alcuna ai fini dell’individuazione della fattispecie legale.

La proroga può assumere valore solo se riguarda il termine di efficacia del contratto e non di adempimento e quindi sia prevista una retribuzione aggiuntiva nei confronti del prestatore d’opera, da rapportare al compenso in origine stabilito.

Con riguardo al requisito di eccezionalità richiesto dal legislatore al fine di completare l’opera, onde giustificare la proroga degli incarichi originari, l’urgenza di provvedere è legata alle fasi di realizzazione dei relativi progetti.

A giocare un ruolo in merito anche la normativa secondaria – e precisamente il Regolamento interno per il conferimento degli incarichi, approvato con deliberazione del Direttore Generale che disciplinava la materia, non escludendo la possibilità di accordare proroghe agli incarichi in essere[2] – che ha guidato il giudice nel ritenere che le contestazioni mosse andassero inserite nel contesto amministrativo che aveva dato luogo alle proroghe in contestazione.

Il delicato e difficile contesto storico in cui versava l’Azienda Sanitaria per effetto del raggiungimento di obiettivi strategici connessi al miglioramento dei L.E.A. che era tenuta a garantire nonostante l’eccezionale esigenza derivante dalla profonda trasformazione dell’assetto organizzativo del S.S.R. dovuto alla riunificazione delle quattro A.S.L. preesistenti e dall'assoggettamento della stessa Regione al piano di rientro dal deficit sanitario, con il blocco del turn over e conseguenti nuovi scenari normativo-organizzativi a livello regionale in materia di tutela della salute, sono state tutte le motivazioni che hanno condotto, nel caso di specie, al ribaltamento della pronuncia di condanna di primo grado.

Proroghe per completamento di progettualità esistenti
Il medesimo supporto normativo, parimenti richiamato da altro giudice, lo ha indotto ad identica determinazione nel valutare altra fattispecie, sempre riguardante i medesimi Direttori Amministrativo e Sanitario, ma per proroghe di incarichi per portare a completamento progettualità esistenti e non nuovi affidamenti, che hanno avuto il pregio di non consentire il rinvenimento della colpa grave nel caso di specie a carico dei due soggetti chiamati in giudizio.

A fare da ulteriore sostegno, gli elementi ravvisati nel caso di specie dai giudici:

  1. il delicato e difficile contesto storico in cui versava l’azienda sanitaria (menzionato da ultimo nella precedente fattispecie a motivazione del ribaltamento della pronuncia di primo grado);
  2. l’oggetto delle prestazioni rispondeva ad obiettivi specifici e determinati ed era coerente con le esigenze di funzionalità e progettualità dell’amministrazione conferente;
  3. la loro preventiva determinazione in durata, luogo, oggetto e compenso degli incarichi;
  4. l’oggetto delle collaborazioni individuato nell’espletamento di progetti finalizzati;
  5. la sussistenza del parere reso da un legale esterno sulla durata dei contratti di collaborazione ad avviso del quale il legislatore non aveva fissato in maniera diretta un limite temporale massimo alla durata degli incarichi di lavoro autonomo con il medesimo collaboratore, pur nel rispetto della natura temporanea del rapporto;
  6. la circolare della Funzione Pubblica che confermava la non applicabilità del limite triennale (previsto per il lavoro flessibile) alla durata degli incarichi di lavoro autonomo.

Con riferimento alla chiamata in giudizio di entrambi i Direttori, i giudici si sono premurati di precisare che il Direttore Sanitario – per quanto istintivamente creduto meno coinvolto nelle questioni più propriamente amministrativo/burocratiche – è stato ritenuto al pari di quello Amministrativo, perché non solo assume la diretta responsabilità delle funzioni sanitarie attribuite alla propria competenza, ma concorre, con il Direttore Amministrativo, mediante la formulazione di proposte e di pareri, alla formazione delle decisioni del Direttore Generale, responsabile quest’ultimo della direzione e gestione complessiva dell’Azienda.

Proroghe di contratti (peraltro, già illegittimi in origine) per attività generiche da svolgere sine die e senza alcun programma stabilito, ovvero sforniti della prescritta progettualità
Venendo, invece, al caso che ha confermato la condanna dei due Direttori, la vicenda – pur a fronte della medesima normativa che ha fatto da cornice allo svolgersi degli eventi – è stata caratterizzata da particolarità fattuali differenti, per l’appunto la reale natura dei contratti per avere ad oggetto la proroga di attività generiche da svolgere sine die e senza alcun programma stabilito, ovvero sforniti della prescritta progettualità.

Senza contare la rilevata illegittimità ab origine dei contratti che, già di per sé, era un’anomalia che poco spazio lasciava ad ulteriori considerazioni che ha portato all’affermazione della carenza dei presupposti stabiliti dall’art. 7 del d.lgs. n. 165/2001 per il conferimento degli incarichi di collaborazione, quali la previa procedura selettiva, la ricognizione di professionalità interne idonee all’espletamento delle funzioni richieste, la particolare specializzazione dei collaboratori, gli obiettivi “specifici e determinati”, il carattere non ordinario delle mansioni affidate.

Un’illegittimità derivata, quindi, ma non solo perché un ulteriore profilo di illegittimità propria derivante dal mancato rispetto della norma appositamente dettata per le proroghe, rendeva la prosecuzione degli incarichi non giustificabile con l’esigenza di “completare il progetto” (come invece necessario a norma dello stesso regolamento aziendale di cui al provvedimento del Direttore Generale), per il semplice fatto che non si era in presenza di alcun progetto – temporaneo, specifico, specialistico – da completare, emergendo dagli atti il carattere ordinario delle mansioni svolte, teoricamente reiterabili sine die e non certo destinate a esaurirsi con il completamento di un programma prestabilito o con il raggiungimento di un determinato risultato.

La mancata osservanza del disposto dell’art. 7 del d.lgs. n. 165/2001 relativo alla gestione delle risorse umane, ha portato sia i giudici di primo che di secondo grado, a ritenere che alcuna valenza potessero avere le discipline speciali richiamate nei provvedimenti di proroga, poiché riferite a contratti di lavoro subordinato e non di collaborazione (art. 1, co. 400, della l. n. 228/2012), oppure volte a “garantire i livelli essenziali di assistenza e lo sviluppo dei programmi di ricerca in sanità” (di cui al protocollo di intesa), ovvero ambiti per lo più non interessati dai contratti in esame; ovvero perché relative a “progetti finalizzati, non sostitutivi dell’attività ordinaria” finanziati con l’apposito procedimento di cui all’art. 1, co. 34-bis, della l. n. 662/1996, al quale gli incarichi di cui trattasi sono rimasti del tutto estranei (art. 15-octies del d.lgs. n. 502/1992).

Naturalmente, a sussistere l’elemento psicologico qualificato, essendo stato riconosciuto che “l’adozione di provvedimenti di proroga di incarichi di collaborazione, in sé già connotati da palesi illegittimità, determinando ulteriori spese in un contesto di grave compromissione degli equilibri finanziari della sanità regionale, integra un comportamento connotato, sul piano soggettivo, da colpa grave derivante da negligenza non giustificabile”.

In questo differenziandosi dalle altre due fattispecie per le quali si sono registrate delle assoluzioni, in quanto i Direttori sono stati riconosciuti consapevoli di adottare una condotta che la normativa e la situazione finanziaria dell'azienda non potevano in alcun modo consentire, profondendo, così, un elevato grado di negligenza e la violazione di elementari regole di prudenza, contravvenendo anche alle chiare indicazioni fornite dalla Sezione regionale di controllo della Corte dei conti al riguardo.

Quest’ultimo aspetto, infatti, non è da sottovalutare, atteso che tutte e tre le tipologie in commento presentano in comune di originare, in sede giurisdizionale, da una nota con cui la Sezione Regionale di controllo della Corte dei conti trasmetteva copia della deliberazione adottata in esito al controllo ex art. 1, co. 173, l. n. 266/2005, in ordine agli atti di spesa di importo superiore ai 5.000 euro, concernenti, tra l'altro, gli incarichi di collaborazione, di studio, di ricerca e di consulenza conferiti dall'Azienda nel periodo di riferimento, venendo, in particolare, in evidenza n. 12 provvedimenti, emessi dal Direttore Generale, che concernevano proroghe di incarichi conferiti a soggetti esterni per l’espletamento di attività rientranti nell’ambito di progetti precedentemente approvati.

Entrambi i Direttori erano ben edotti dell’esistenza di tali deliberazioni che avevano ripetutamente sottolineato le molteplici violazioni della normativa sulle collaborazioni poste in essere dall’Azienda, anche con specifico riferimento al tema della loro proroga.

In particolare, una di esse era stata emessa poco prima del provvedimento e si era occupata addirittura di una precedente proroga di buona parte dei contratti oggetto di questo giudizio, e che aveva chiaramente prospettato un’ipotesi di responsabilità amministrativa.

Le rilevate condotte illegittime, seppur riconosciute come causative di danno erariale, non hanno, però, impedito ai giudici di riconoscere la c.d. compensatio, ovvero di applicare la regola dei vantaggi.

Essa ha sia valorizzato che in due casi specifici gli incarichi prorogati hanno riguardo lo svolgimento di attività inquadrabili tra le prestazioni funzionali all'erogazione e al miglioramento dei LEA che il sistema sanitario regionale è tenuto a garantire, sia il fatto che le attività specifiche svolte da due collaboratrici prorogate sono risultate tali da poter essere computate al fine di una importante riduzione del danno già riconosciuto.

Esattamente come le prestazioni lavorative rese dai collaboratori esterni presenti presso le varie articolazioni amministrative dell'Azienda e le cui attività sono proseguite in forza delle proroghe illegittime.

Al contrario, invece, di altri elementi pure fatti valere in appello ai fini della riduzione dell’addebito – quali l’unificazione delle Aziende sanitarie locali, il Piano di rientro, il blocco del turn over – che, per essere risultati generici e non direttamente correlati alla condotta illecita tenuta dagli appellanti, sono stati ritenuti non idonei a giustificare una valutazione meno rigorosa della stessa.

In questo, il Collegio ha ritenuto di condividere le argomentazioni svolte al riguardo dal primo giudice.

Fernanda Fraioli
Consigliere della Corte dei conti

Note:

[1] quattro incarichi afferenti al "Progetto Salute senza frontiere", finalizzato all'obiettivo di "Realizzare una mediazione linguistico-culturale per rispondere ai bisogni socio-sanitari degli S.T.P. (Stranieri Temporaneamente Presenti); - cinque incarichi afferenti al "Progetto Tutela della fragilità" finalizzato alla promozione di interventi nei confronti di minori vulnerabili o diversamente abili; - quattro incarichi afferenti al "Progetto Dalla parte dell'utente", finalizzato a "supportare le attività di carattere amministrativo e tecnico" per l’introduzione di nuove modalità di semplificazione degli' adempimenti dei cittadini e utenti soprattutto in quei settori nei quali esistono situazioni particolarmente negative, arretrate e comunque gravose.

[2] Si è accertato che l’art. 8 disponeva che “di regola non è ammesso il rinnovo del contratto di collaborazione e che l’Azienda, qualora ravvisi un motivato interesse, può prorogare alla scadenza, nei limiti della normativa vigente, previa richiesta motivata della struttura che utilizza il collaboratore e con il consenso dell’interessato, la durata del contratto al solo fine di completare i progetti e per ritardi non imputabili al collaboratore, fermo restando il compenso pattuito per i progetti individuati. È stabilito, altresì, che in caso di rinnovo dell’incarico non è previsto l’espletamento di una nuova procedura comparativa”.

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