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“Presa Diretta” della scorsa settimana ha acceso i fari sulla precarietà della sanità pubblica. Invero, l’ha fatto un po’ intempestivamente. E’ tuttavia servita a sottolineare quanto in tanti abbiamo fatto da tempo immemore. Per quanto mi riguarda, lo scrissi per la prima volta nel 2002 criticando aspramente il prevedibile flop della salute aziendalizzata e auspicando una sanità agenzificata. Lo scrissi ancora ripetutamente negli anni successivi sulla stampa nazionale che mi sopporta da oltre 25 anni, sottolineando, più recentemente (per modo di dire, perché l’ho cominciato nel 2011), l’incuria della politica a non mettere a terra la metodologia di finanziamento basata su costi/fabbisogni standard e perequazione in luogo di quella della spesa pro capite. Una metodologia, quella ancora attuale, fondata su quella storica che ha ucciso più di altrove la sanità nel Mezzogiorno. Ebbene, nessuno si è preoccupato di rimediare a ciò. I Governi che si sono succeduti: tutti a fregarsene. Quindi, ben vengano trasmissioni di denuncia, ma che non si limitino però a fare inventari di puro sadismo, senza suggerire vie d’uscita. Necessitano le ricette Occorre dirlo, la sanità è stata da decenni una gallina grassa che è stata spennata nella generalità e degustata da una disonestà diffusa nonché erogata ai cittadini in uno spessore quali-quantitativo a dir poco vergognoso. La cura deve partire dalla fotografia della realtà Un sistema ospedaliero accreditato, pubblico e privato, che è troppo diversificato: un segmento accettabile messo a confronto con un altro che fa invece pena, o quasi. Un territorio senza assistenza tanto da lasciare le persone a bocca asciutta persino in quella cosiddetta di famiglia, anch’essa vuota di organico. Cosa vuole pretendere da una simile fotografia della realtà? Quanto ha fatto vedere Riccardo Iacona è solo una piccola parte della sofferenza sociale, oramai alle stelle. Ovunque è un disastro, per non parlare del sud del Paese con una Nazione stremata, ad attendere ciò che non avrà mai. Il Mezzogiorno è da sempre, in tema di assistenza alla persona, il brutto anatroccolo. Lo è per scelta. Per avere optato per l’assistenzialismo puro, quello che gli ha impedito di crescere e di pensare alla grande. Quello che ha inculcato nei giovani una mentalità da sconfitti, in cerca di gloria altrove. Tutto questo ha generato una sanità della spesa, non già degli investimenti e della buona amministrazione, e una sanità senza programmazione, aiutata in questo processo demolitivo da uno Stato che non elabora un Piano sanitario nazionale da 27 anni, dal 2006. In una siffatta logica si è andati avanti navigando a vista, senza il necessario coraggio politico votato al cambiamento radicale, il rigore verso l’inquinamento della “mafia” prodotto nelle istituzioni e nella società civile, il promuovere la formazione della burocrazia, abbandonata a se stessa. Dunque, nessuna rilevazione dei fabbisogni epidemiologici e dei rischi epidemici, propedeutica ad una corretta programmazione integrata con il sociale, alla quale nessuno ancora pensa. Si è pensato a lavorare contro il pubblico costruendo la nascita di un nuovo genere “umano”: quello dei collezionisti di accreditamenti. Quanto alle nomine dei manager, si è andato ben oltre: al posto dei bravi chef occorrenti si sono spesso privilegiati cucinieri buoni solo per le trattorie, purché strumentali alle esigenze della politica. Assenza di programmazione e disattenzione ai conti sono state le grandi vere cause di questo fallimento, generatore di una sanità improvvisata e che non c’è, nonché di deficit patrimoniali plurimiliardari e disavanzi economici paurosi. Basti pensare a ciò che è in procinto di vivere la Regione Lazio prossima ad essere commissariata, con 22 miliardi di debito consolidato (10 in più di quanto fu rendicontato da Marrazzo!) e con un disavanzo stimato per il 2023 di quasi 700 milioni. Cosa fare, è il vero problema da risolvere. Tanti soldi in più. Ne occorre una qualche decina di miliardi, sia cash che di disponibilità differite nel medio e lungo termine per consentire alle Regioni di rientrare dal loro debito pregresso. Quanto ai conti economici piangono già oggi, immaginiamo cosa accadrà con la prossima entrata in funzione delle case e ospedali di comunità (max agosto 2026), già in riduzione numerica per incapienza dei fondi PNRR, e con l’assistenza che dovrà incrementare certamente di livello, anche a garanzia del long Covid. Al riguardo, necessiterà tanto personale per farle divenire strutture funzionanti e godibili dalla collettività. Così come occorreranno tanti quattrini per coprire i vuoti di organico che fanno apparire i luoghi di cura desertificati, tali da assicurare quella prevenzione la cui assenza è divenuta nella pratica una attività omicidiaria. Il tutto ovviamente preceduto da una ragionata programmazione, non fatta a caso così come avviene da vent’anni bensì condizionata dagli anzidetti fabbisogni epidemiologici e dagli indici di deprivazione socio-economica rilevati. Quanto al lavoro del nuovo Governo, mi trovano d’accordo le critiche sindacali relative al “Decreto bollette”. Un lavoro parziale e di modesto impatto sull’intento di ridare fiato alla sanità pubblica, di convincere i medici a rimanere nel sistema Paese. Non è questo che occorre, necessita pensare ad una riforma strutturale, la quater, magari agezificando il SSN.
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Venerdì 31 MARZO 2023
La cura per la sanità malata deve partire dalla fotografia della realtà, senza banalizzazioni
Dire che ci vogliono più soldi per la sanità, è quanto di più banale si possa auspicare. Dire che mancano i medici, gli infermieri, i tecnici e così via è dimostrativo di una politica della salute che non c’è mai stata. Occorre dirlo, la sanità è stata da decenni una gallina grassa che è stata spennata nella generalità e degustata da una disonestà diffusa nonché erogata ai cittadini in uno spessore quali-quantitativo a dir poco vergognoso.
La rincorsa alla sola denuncia mi ha infatti invero stancato, perché è servita a poco. Dire che ci vogliono più soldi per la sanità, è quanto di più banale si possa auspicare. Dire che mancano i medici, gli infermieri, i tecnici e così via è dimostrativo di una politica della salute che non c’è mai stata.
Proviamo a partire da una corretta descrizione, seppure grossolana del SSN. Un sistema ospedaliero gestito dagli IRCCS (21 pubblici e 30 privati, massimamente insediati nel centro-nord con il primato lombardo che ne conta 14) che funziona a meraviglia, con politiche occupazionali curate e erogazione dei Lea della spedalità ad alto valore qualitativo.
Ettore Jorio
Università della Calabria
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