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Mercoledì 29 MARZO 2023
Crescita e sfide dell’editoria scientifica biomedica: il fenomeno delle mega-riviste

Open access, ma anche aperte a ogni tipo di lavoro scientifico, rischiano di minare il rigoroso processo di selezione e verifica del lavoro degli scienziati. Se nel 2015 solo il 6% della letteratura biomedica era pubblicato in una mega-rivista, nel 2022 lo era un quarto degli articoli. Un editoriale sulla rivista JAMA si interroga sul futuro delle pubblicazioni scientifiche

A lanciare l’allarme sulle sorti dell’editoria e della ricerca scientifica mondiale tout court è un editoriale pubblicato su JAMA. Due degli autori dell'articolo, Stefania Boccia e Angelo Maria Pezzullone della Cattolica di Roma, ne illustrano i contenuti in esclusiva per Quotidiano Sanità.

La crescita dell’editoria scientifica accademica è stata implacabile negli ultimi anni. Il numero di articoli pubblicati e indicizzati nel 2022 su Web of Science, uno dei principali database multidisciplinari della ricerca scientifica, supera agevolmente i due milioni e mezzo (erano duecentomila nel 1970 e ottocentomila nel 2000).

Questo aumento esponenziale nella prolificità degli autori, che si accompagna ad un aumento del numero stesso degli autori, è stato dirompente per la ricerca scientifica, il mezzo più proficuo attraverso cui gli uomini aumentano la propria conoscenza collettiva del mondo.

Infatti, l’aumento del numero di pubblicazioni e del numero di pubblicazioni open-access, ovvero disponibili a tutti, senza pagare un abbonamento alla rivista perché il pagamento per la pubblicazione dell’articolo scientifico viene sostenuto dal ricercatore stesso che lo scrive, insieme alla loro disponibilità su piattaforme digitali ha reso facilmente accessibili a ricercatori, docenti e decisori politici una quantità di informazioni senza precedenti. Inoltre, l’aumento indiscriminato delle pubblicazioni scientifiche ha portato ulteriori profitti nell’editoria scientifica, un’industria globale da 30 miliardi di euro di fatturato annuo.

Gli articoli scientifici seguono un processo tipico prima di approdare in una rivista scientifica. Tale processo inizia generalmente con dei ricercatori che conducono una ricerca e scrivono i propri risultati in un manoscritto. Tale manoscritto viene poi inviato all’editore di una rivista, il quale determina se tale manoscritto sia appropriato per l’ambito della rivista e se ne soddisfi gli standard per originalità e qualità.

Se il manoscritto è considerato adatto, è mandato ad un gruppo di esperti nello stesso campo, i cosiddetti peer reviewer, o in italiano revisori paritetici, che valutano il manoscritto per accuratezza, metodologia e importanza. Sulla base del riscontro dei peer reviewer, l’editore della rivista rigetterà il manoscritto o richiederà revisioni o lo accetterà per la pubblicazione.

Una volta accettato, il manoscritto verrà poi formattato secondo le norme editoriali della rivista di riferimento prima di essere pubblicato nelle versioni digitale e cartacea della rivista. Questo processo può richiedere da alcuni mesi a un anno e più ed è rimasto più o meno invariato dall’inizio degli anni settanta, quando le peer review hanno incominciato ad essere introdotte nel campo biomedico.

Tradizionalmente, le migliori riviste scientifiche internazionali avevano una loro specificità disciplinare e si potevano avvalere dei migliori esperti per le peer review. Tuttavia, questo processo non è esente da criticità. Lentezza, talvolta inadeguatezza nella valutazione dei metodi usati per condurre la ricerca, e mancanza di oggettività e coerenza nelle peer review sono solo alcune di queste.

Inoltre, siccome vi è una pressione oggettiva a pubblicare risultati che siano innovativi ed originali, esiste il rischio che ricerche metodologicamente impeccabili, ma dai risultati inconcludenti, possano essere tenute nel cassetto o rigettate dagli editori dando luogo al cosiddetto bias di pubblicazione, cioè la tendenza per la ricerca con risultati positivi o statisticamente significativi ad essere più probabilmente pubblicata rispetto a studi con risultati negativi o inconcludenti.

Per questo motivo sono state fondate PLOS One e Scientific Reports, riviste multidisciplinari con lo scopo programmatico di pubblicare risultati di ricerca esclusivamente sulla base del proprio rigore metodologico, senza dare troppo peso all’originalità o all’importanza dei risultati. Queste riviste, per via dell’alto numero di contenuti pubblicati, sono state definite mega-riviste.

Parallelamente all’aumento del numero di articoli pubblicati, il mondo scientifico ha vissuto negli ultimi sette anni un rapido aumento di queste riviste estremamente prolifiche.

Se nel 2015 solo il 6% della letteratura biomedica era pubblicato in una mega-rivista, nel 2022 lo era un quarto degli articoli. Se le riviste che pubblicavano più di 3.500 articoli scientifici nel 2015 erano solo le due precedentemente menzionate, nel 2022 sono state ventisei. La novità è data dal fatto che queste altre ventiquattro riviste hanno generalmente ambiti di pubblicazione sempre più specifici e acquisiscono sempre più ampie quote di mercato in questi settori.

Queste riviste hanno invariabilmente un modello che prevede il pagamento di una tariffa per la pubblicazione da parte dell’autore. In cambio promettono l’open access (cosa che molte riviste tradizionali non fanno) e inoltre un rapidissimo processo di peer-review, percepito quasi universalmente dagli autori come meno severo se confrontato con le riviste tradizionali.

Questo modello ha fatto la fortuna di tanti accademici e multinazionali dell’editoria scientifica. I primi, grazie a una logica meramente quantitativa di valutazione della produzione scientifica, hanno fatto carriera, pur pubblicando articoli scientifici irrilevanti e talvolta affetti da debolezze metodologiche. Le seconde hanno riempito le casse di denaro destinato alla ricerca, spesso pubblico, chiedendo agli autori il pagamento di tasse per la pubblicazione mediamente elevate (2000 euro per articolo). I costi in cui incorrono le società che operano le mega-riviste sono invece molto limitati, legati principalmente al mantenimento dei siti internet e al personale necessario per la corrispondenza con gli autori e la correzione di bozze.

Questo anche perché le mega-riviste non producono materiale in house, non hanno edizioni cartacee e, così come anche le riviste tradizionali, si avvalgono per le loro decisioni di ore e ore di lavoro gratuito gentilmente offerto dai peer reviewer. In effetti, alcuni pensano che l'ascesa delle mega-riviste sia uno dei segni che la peer review, per come la conosciamo, stia per finire presto.

Va infatti notato come sia sempre più difficile trovare revisori, da cui discende che le peer review sono sempre più svolte da ricercatori inesperti, e come i peer reviewer siano sempre più frustrati dall’offrire il proprio tempo per un lavoro completamente non retribuito a profitto di ricche multinazionali. Queste sfide hanno portato alcuni a suggerire che il processo di peer review potrebbe dover essere reinventato o sostituito in futuro anche da metodi automatici di intelligenza artificiale che sappiano riconoscere i maggiori elementi delle metodologia adotatta.

Una preoccupazione diffusa è che le mega-riviste siano più vulnerabili alla cattiva condotta scientifica (vale a dire, la violazione dei codici standard di condotta accademica e comportamento etico nella pubblicazione di ricerche scientifiche professionali). Anche se i casi deliberati e più gravi di falsificazione o manipolazione dei dati di ricerca sono rari, molto più comuni sono le pratiche di ricerca discutibili che, seppur meno gravi, possono influenzare in forma sostanziale i risultati di una ricerca.

Anche se pure le riviste scientifiche accademiche con una più attenta peer review hanno dimostrato di essere a rischio di non rilevare queste pratiche, si crede che le mega-riviste potrebbero avere ancora meno strumenti per rilevarli ed essere quindi più a rischio di pubblicare articoli scientifici ingannevoli.

In questo senso, ha fatto scalpore la decisione di alcuni giorni fa da parte di Web of Science di rimuovere l’International Journal of Environmental Research and Public Health (IJERPH) edito dalla svizzera MDPI, dalla propria lista madre delle riviste. Con 16.889 articoli pubblicati nel solo 2022, questa rivista è la seconda più prolifica nell’intera area delle scienze biomediche. La decisione è stata presa sulla base dei parametri di qualità di Web of Science ed è particolarmente dolorosa per una rivista scientifica.

Infatti, l’inclusione nella lista di Web of Science dà diritto ad avere un impact factor (in italiano fattore di impatto) il principale parametro su cui si basa la valutazione di una rivista scientifica. Senza impact factor, le riviste tendono a decadere perché non vengono più scelte dai ricercatori per pubblicare i propri lavori. La caduta di un colosso come IJERPH potrebbe dimostrare come questo sia uno spazio in rapida evoluzione.

Nonostante queste preoccupazioni, sarebbe semplicistico e fondamentalmente ingiusto considerare le mega-riviste solo come una cosa negativa. In realtà, se le mega-riviste s’impegnassero ad abbinare all’open access anche la facilitazione delle sempre più necessarie pratiche di open science come la condivisione di dati, codici di programmazione, protocolli e piani di analisi statistica, questo potrebbe avere un grande impatto sulle scienze biomediche, dato la grande mole di articoli che pubblicano.

PLOS One e Royal Society Open Science, tra le prime mega-riviste ad essere fondate, hanno già fatto da apripista in questo senso, ed altre potrebbero seguire. È fondamentale che scienziati, istituzioni mediche e di ricerca e finanziatori diano credito e premino le riviste e mega-riviste che promuovono una ricerca più trasparente e pratiche di ricerca più rigorose. Gli scienziati potrebbero dare la priorità alla presentazione e alla citazione dei lavori e le istituzioni e i finanziatori potrebbero offrire incentivi per preferire la pubblicazione in queste riviste.

Le mega-riviste si pongono in competizione con l’editoria scientifica tradizionale con un potenziale trasformativo, ma quello che conta in verità è che le riviste che pubblicano la maggior parte della letteratura scientifica diano priorità alla solidità scientifica, alla trasparenza e a pratiche di ricerca rigorose. Solo così possiamo garantire che la letteratura scientifica continui a fornire informazioni accurate e affidabili per informare la pratica clinica e la politica sanitaria.

Stefania Boccia 1,2 e Angelo Maria Pezzullo1
1Sezione di Igiene, Dipartimento di Scienze della Vita e Sanità Pubblica, Università Cattolica del Sacro Cuore
2Dipartimento di Scienze della Salute della Donna e del Bambino e di Sanità Pubblica, Fondazione Policlinico "A. Gemelli” IRCCS

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