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Ho appena finito di leggere il nuovo libro del prof. Cavicchi “Sanità pubblica addio. Il cinismo delle incapacità”. Che dire? Puntuale come sempre nell’analisi. Determinato come suo solito nelle proposte ma solo perché la ricerca delle soluzioni, considerando che ormai siamo di fronte ad un “punto di non ritorno” come dice lui, non è in alcun modo mediata dall’ipocrisia e dell’eufemismo. Alcuni giorni fa ho letto che le Regioni praticamente hanno dato forfait “non ci sono i soldi. Dovremmo tagliare i servizi” (QS 7 marzo 2023). Se volessimo salvare la sanità pubblica non ci sarebbe verso e vi sarebbero soluzioni obbligate. Non possiamo salvare la sanità pubblica e non mettere le mani nella “grande marchetta”. Per citare l’espressione forte e colorita del prof. Cavicchi (QS 23 gennaio 2023). Cioè sul rapporto tra privato e pubblico. Non possiamo salvare l’articolo 32 della Costituzione senza restituire a questo articolo l’aggettivo “fondamentale”. Un aggettivo che oggi pare rubato, inattuale. Ma nel momento in cui il diritto alla salute torna ad essere fondamentale allora non possiamo non cambiare le aziende che al contrario sono state pensate per interpretare il diritto alla salute come un diritto potestativo. Se vogliamo salvare la sanità pubblica è fondamentale definire un “intervento straordinario” per rifinanziarla come propone da giorni del tutto inascoltato proprio il prof. Cavicchi. Chissà perché! Se vogliamo salvare la sanità pubblica i tetti alle assunzioni devono saltare. Ovviamente con la crisi che c’è quella recentemente descritta dall’Ocse (QS 19 febbraio 2023) temo dovrebbe toccare a noi, agli operatori perché la sanità la viviamo tutti i giorni, perché siamo la faccia esposta -il front office- del sistema davanti ai pazienti che ormai esasperati ci aggrediscono con violenza. Toccherebbe a noi, dicevo l’onere di proporre al Governo come rifinanziare la sanità. La crisi di cui parla l’Ocse c’è è reale. Non è inventata. Abbiamo speso i soldi che avevamo su delle priorità come le bollette lasciando indietro la sanità. Ma noi avremmo fatto diversamente con una guerra in corso e una inflazione che ci taglia l’erba sotto i piedi e che per fortuna sembra ora rallentare? Non saprei e non giudico, constato. Per cui non posso che essere chiaro: io vorrei, come tutti, più soldi per la sanità ma io per primo mi rendo conto che salvare la sanità in una crisi come quella attuale non è facile. Se non vogliamo prenderci in giro tutti sappiamo che per salvare la sanità bisognerebbe prendere la strada dell’intervento straordinario e mettere le mani per davvero nel rapporto privato pubblico e subito dopo “rivoltare la sanità come un calzino”: la famosa quanto snobbata “quarta riforma” del prof. Cavicchi. Mi trovo quindi d’accordo con l’analisi perentoria di Cognetti (QS 9 marzo 2023). Se la nostra sanità è finita in rianimazione essa non si salva con l’aspirina. Bisogna riformarla per davvero. Personalmente sono anche io per chiedere più soldi ma nello stesso tempo sento forte il bisogno di voltare pagina. A parte le proposte di Cavicchi, come dirò più avanti, in giro non vedo proposte concrete verso una vera riforma. Del libro straordinario di Cavicchi, che consiglio a tutti di leggersi (raramente le “incapacità” sono descritte con tanto acume), mi ha colpito una coincidenza: cioè prima dell’uscita del libro, esattamente il 4 febbraio, nel mio Ordine qui a Bologna abbiamo svolto un Convegno “SSN: È un asset importante? È un costo o una opportunità? Discussione aperta con i decisori politici” nel quale ci siamo posti sostanzialmente le stesse domande che Cavicchi si pone nel suo libro arrivando più o meno alla stessa conclusione. Non solo ma anche noi ripeto, senza aver letto l’ultimo libro di Cavicchi, siamo arrivati alla sua stessa conclusione: la stessa che noi clinici sintetizziamo con una ben nota locuzione latina: “ubi pus, ibi evacua”. Se c’è pus allora bisogna svuotare la ferita. Per chi volesse leggersi gli Atti del Convegno fornisco il link di accesso alla pagina web del nostro Ordine. Noi come Ordine di Bologna abbiamo avanzato anche una proposta concreta per “svuotare la ferita” dal pus e abbiamo deciso di suggerire l’organizzazione di un board, cioè mettere insieme un collettivo di persone esperte per davvero, che al governo riferiscano una analisi oggettiva delle criticità e da questa analisi si possa estrarre un piano di interventi riformatori da proporre con urgenza. Il tutto da fare in tempi veloci perché non possiamo permetterci di perdere tempo. Ogni giorno che passa la sanità pubblica scade e scende sempre un po’ di più. E non sono certo i malati, vittime loro malgrado del tutto indifese, a giovarsi dei suoi cedimenti. Ciò detto non mi sottraggo in nessun modo all’invito del prof. Cavicchi di prenderci la responsabilità di un giudizio politico. Per quello che mi riguarda anche io credo che la 833 sia una grande legge ma che sia una riforma fatta a metà. Anche io credo che le controriforme degli anni ‘90 siano stati errori di sicuro ma anche molto altro. Non è possibile separare la privatizzazione della sanità dagli interessi clientelari che essa ha soddisfatto. Quindi la grande speculazione finanziaria. Anche io credo che l’intra-moenia, che io non ho mai fatto per coerenza con le mie regole deontologiche, sia una vergogna da cancellare: due corsie nello stesso ospedale di cui una preferenziale per chi paga. Ma vallo a spiegare ad alcuni sindacati medici. Anche io penso che il PNRR sia un’occasione sciupata, che il regionalismo differenziato sia la peggior cosa che oggi possa capitare al SSN. Che la medicina amministrata, contro la quale il mio Ordine si è particolarmente battuto sia una mostruosità, che le competenze avanzate sono nulla di più che uno sfogo cutaneo di insensatezza. Ripeto non ho alcun problema a riconoscere come “incapacità” le “incapacità” descritte nel libro dal prof. Cavicchi. Come non ho alcun problema a suddividere equamente la loro responsabilità tra la politica e la sanità. Su questo, dopo più di 40 anni di ospedale, mi sento di dare pienamente ragione al prof. Cavicchi. Se la sanità avesse detto qualche volta “no” il “pus” che ora siamo costretti a evacuare non si sarebbe accumulato. Ma la nostra neghittosa sanità si è sempre in un modo o in un altro accomodata e ha detto sempre “sì”. Anche in questi giorni dopo, lo showdown delle Regioni, sembriamo una armata un po’ allo sbando. Del libro di Cavicchi ovviamente mi è piaciuta tutta e per intero la sua descrizione delle incapacità quelle, dice lui, che alla fine ci hanno portati al punto in cui siamo. Nel suo lavoro analitico due cose secondo me potrebbero apparire marginali senza esserlo: il capitolo dedicato alle donne medico (cap. 16 pag. 252) e quello dedicato all’anti riformismo della sanità (cap. 17 pag. 271). In particolare, il paragrafo sugli “ex” quali esempio di anti-riformismo. Nel capitolo dedicato alle donne medico l’dea politica che Cavicchi vuole spiegare è semplice e chiara: in sanità se non hai le ali non puoi volare cioè senza un vero pensiero di riforma non vai da nessuna parte. Per spiegare questo problema di “sub- riformismo”, come lo definisce, il nostro autore analizza la battaglia delle donne medico per avere il riconoscimento che toccherebbe loro essendo esse di fatto una maggioranza. Secondo il nostro Autore le donne medico per la loro battaglia hanno fatto poco per fare in modo di avere le ali. Da un a parte hanno finito per sbandare verso l’ideologia dimenticando che in medicina vale la scienza ma non l’ideologia dall’altra, dice sempre Cavicchi riferendosi alle 100 tesi redatte dalla FNOMCeO, le donne medico avrebbero sciupato l’occasione di ridefinirsi in un progetto di ripensamento del medico e della medicina. Cioè la questione delle donne medico secondo Cavicchi andrebbe inserita non separata nella più ampia questione medica. Credo che questo sia vero per tutti gli altri Ordini ma non per il mio. Infatti, Cavicchi, in una nota a piè di pagina, molto correttamente precisa che al tempo della discussione sulle 100 tesi vi fu solo una eccezione rappresentata proprio dal mio Ordine che organizzò specificatamente un convegno intitolato “Questione medica al femminile“ e di cui io stesso ho parlato su questo giornale (QS 18 maggio 2018). Infine, l’altra cosa che mi ha colpito oltre il principio “senza ali non si può volare” è quello degli “ex”, cioè l’analisi per certi versi anche divertente che Cavicchi fa sul forte anti-riformismo che esiste in sanità, sfatando il luogo comune che in sanità siamo tutti riformatori. Oggi che siamo al capolinea tutti diventano riformatori come per incanto. Anche coloro che fermi nelle loro vecchie abitudini riformatori non lo sono mai stati. Non è vero, anche in questo caso concordo con Cavicchi, che siamo un popolo di conservatori è vero il contrario. In sanità prima di tutto non siamo solo conservatori ma siamo antiriformatori. Devo riconoscere che la sua trovata degli “ex” è davvero originale anche se temo che gli “ex” avranno ovviamente da ridire. L’“ex”, spiega Cavicchi, è uno che è stato e che non è più e che per ragioni di identità è fedele a ciò che è stato e che per essere fedele a ciò che è stato non può che essere un antiriformatore. Gli “ex” sono d’accordo solo con quello che hanno fatto loro e quello che hanno fatto loro è semplicemente il massimo possibile della perfezione. Tra gli “ex” che lui cita come esempi di anti-riformismo vi sono i casi nei quali prima si dice che non bisogna riformare niente ma bisogna solo applicare le riforme fatte, poi si dice con la stessa disinvoltura che non va bene niente e bisogna fare una grande riforma, (oggi gli stessi la chiamano “rivisitazione”). In questi casi di “ex”, cioè di antiriformatori, le proposte che vengono fuori alla fine, “mutatis mutandis”, non fanno altro che riproporre le stesse idee di sempre, le stesse che hanno proposto inutilmente per anni e che in sintesi non sono nulla più che accrescere la spesa pubblica e lasciare le cose fondamentalmente come sono sempre state. Gli “ex” anche oggi risolvono tutto chiedendo al governo semplicemente più soldi perché per tutta la vita non hanno fatto altro che chiedere soldi ma senza mai dare niente in cambio, almeno all’apparenza. Loro per definizione sono dipendenti della spesa pubblica (senza la quale vanno in crisi di astinenza) e se come dice l’Ocse i soldi non ci sono perché c’è una crisi economica e una guerra: fa nulla, trovateli lo stesso, datevi da fare. Bisogna, costi quel che costi, incrementare la spesa. Su questo giornale ho letto di recente l’articolo di Polillo e Tognetti “Uscire dalla crisi del Ssn: tra politiche fiscali e regolazione del rapporto pubblico-privato” (QS 6 marzo 2023). A me pare (ma potrei sbagliarmi) che gli Autori dell’articolo sembrano ignorare l’esistenza di una crisi strutturale e ragionano come se la crisi non esistesse; si parla di rivisitazione della sanità e mai di riforma. Essi mantengono la loro dipendenza dalla spesa pubblica anche se spostano il tiro sul fisco (ma fisco e spesa pubblica in pratica sono la stessa cosa) e quando affrontano il problema del rapporto pubblico privato alla fine non fanno che riconfermare il sistema che c’è, evidentemente impossibilitati a pensare davvero a una alternativa. Loro della “grande marchetta” non sono per niente preoccupati. Viva l’integrazione e la complementarità. Di dare più forza al pubblico neanche a parlarne. La cosa che più mi ha stupito è vedere che pur di far accrescere la spesa per l’SSN si arriva a superare il confine del plausibile fino a proporre, nel pieno della crisi economica che stiamo vivendo, l’imposizione di una patrimoniale. Non aggiungo altro. Ma la proposta di imporre una patrimoniale per rifinanziare la sanità equivale politicamente alla proposta del terzo polo di chiedere un prestito al Mes (meccanismo europeo di stabilità) cioè di indebitare, per la sanità, ulteriormente il Paese nonostante il suo alto deficit. Cioè crisi o non crisi quello che conta è rifinanziare in tutti i modi il sistema che c’è, ovviamente, rigorosamente a sistema invariante. Questa proposta, a parte la sua evidente impraticabilità almeno nei confronti dell’attuale quadro politico, alla fine quindi è null’altro che l’espressione di quello che Cavicchi chiama “anti-riformismo” cioè un atteggiamento a priori contro il cambiamento che serve. Chiudo complimentandomi vivamente con il prof. Cavicchi per il bel libro che ci ha regalato. Ribadisco “ubi pus, ibi evacua”. Suggerirei al Governo di assumere questo libro come base di partenza. Propongo al Governo, come suggerito dal mio Ordine, di dare mandato ad un board per definire una vera piattaforma riformatrice con lo scopo esplicito di salvare la sanità pubblica. Giancarlo Pizza Leggi gli altri interventi al Forum: Cavicchi, L.Fassari, Palumbo, Turi, Quartini.
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Martedì 21 MARZO 2023
I Forum di QS. Sanità pubblica addio? Pizza: “La sanità bloccata dagli antiriformisti”
Oggi che siamo al capolinea tutti diventano riformatori come per incanto. Anche coloro che fermi nelle loro vecchie abitudini riformatori non lo sono mai stati
Vicepresidente Omceo Bologna
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