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Mercoledì 03 OTTOBRE 2012
Programma esiti. Ecco i dati su mortalità e qualità cure negli ospedali. Da Aosta a Palermo

I nuovi risultati presentati da Agenas e Ministero. Coinvolti 1.483 ospedali pubblici e privati. Dati molto diversi tra una struttura e l'altra, anche della stessa area geografica. Al Sud record di cesarei ma buone performance sull'infarto. Nelle fratture al femore il meridione resta il peggiore e per l'ictus attento a dove vai

Stavolta si fa sul serio. Affinati indicatori e metodologie, Ministero della Salute e Agenas (titolare del sistema di valutazione) hanno presentato stamattina i nuovi risultati del Programma nazionale di valutazione degli esiti (Pne) con i dati su mortalità, tempi di intervento e altri indicatori per 42 prestazioni erogate negli ospedali pubblici e privati italiani. 
 
"Il Programma esiti - ha detto il ministro della Salute Renato Balduzzi - da adesso in poi cessa di essere un'attività sperimentale e diventa sistematico. E' un ulteriore modo per coniugare salute e sviluppo. L'edizione 2012 è stata presentata con anticipo rispetto al previsto e questo è il frutto del miglioramento del sistema informativo e si rivolge innanzitutto agli addetti ai lavori, anche se l'obiettivo finale è riuscire ad arrivare già nei primi mesi del 2013 ad un vero e proprio portale web per i cittadini, dove chiunque, oltre ad avere una mappatura delle strutture sanitarie italiane, avrà a disposizione i dati aggiornati sul rendimento delle strutture". "Un lavoro - ha concluso Balduzzi - che vedrà coinvolti in primo luogo i medici di famiglia che potranno diventare 'consiglieri informati'".
 
La nuova edizione del Pne presenta quindi diverse novità rispetto ai primi risultati presentati nel marzo scorso, come ha spiegato Carlo Perucci, direttore scientifico del Programma. Intanto sono stati considerati i volumi di attività delle strutture e inseriti nuovi indicatori, poi sono stati aggiornati la metodologia statistica e i protocolli per la determinazione degli indicatori, e i dati dei decessi sono ora basati sui numeri estrapolati dall’anagrafe tributaria. 
 
Sotto la lente sono finite 1.483 strutture sanitarie (sono state considerate quelle che realizzano almeno 10 interventi) e oltre 10 milioni e mezzo di degenze ospedaliere per 7 milioni di pazienti. 

Il Programma, sottolinea l’Agenas, esclude assolutamente l’utilizzazione dei risultati come una sorta di “pagelle, giudizi” degli ospedali, dei servizi, dei professionisti o come la pubblicazione di una loro classifica, ma punta invece a promuovere un’attività di auditing clinico e organizzativo per valorizzare l’eccellenza, individuare le criticità per promuovere il miglioramento dell’efficacia e dell’equità del Ssn.

Al di là degli intenti, è indubbio però che il Pne, grazie ai dati dettagliati e valutati con tutte le accortezze e le compensazioni del caso, offre una preziosa analisi delle performance ospedaliere italiane che consente di valutare effettivamente gli esiti delle cure e quindi di farsi un'idea concreta di dove si viene assistiti meglio.

Per questo, Quotidiano Sanità, dipanando la matassa di indicatori e variabili statistiche, al momento accessibili solo agli operatori e alla stampa, ha scattato un’istantanea sugli esiti relativi a 8 indicatori (quelli più siognificativi) sui 42 valutati in questa nuova versione del Pne (erano 32 nella precedente rilevazione) e riferiti a 11 mesi del 2011.

I dati emersi delineano una situazione fortemente variegata. Infatti, se anche continua a rimanere molto ampio il gap tra le aree del Paese, con un Nord più performante e un Sud che spesso inciampa su molti esiti, alcuni indicatori, essenziali per misurare l’appropriatezza delle cure, ci raccontano di eccellenze concentrate anche al Centro Sud, a fronte di risultati lontani dalle medie nazionali anche nelle strutture del Nord Italia.
 
Cominciamo dall’indicatore della mortalità a 30 giorni dopo il primo ricovero per infarto. Riserva grandi sorprese, almeno per quanto riguarda gli esiti favorevoli rispetto alla media nazionale (la media esiti nazionale è di 11,61% di mortalità). Chi si aspettava di vedere i migliori outcome concentrati nelle strutture del Nord rimarrà deluso: tra le prime dieci strutture con performance degne di nota, ben otto sono concentrate al Centro e al Sud Italia (l’esito più favorevole lo conquista l’ospedale marchigiano Madonna del Corso a San Benedetto del Tronto con l’1,5%). Ma guai ad abbassare la guardia, perché nel Centro Sud troviamo anche sette delle dieci strutture con esiti decisamente da allarme rosso. Nel Lazio ben due ospedali presentano dati di mortalità addirittura doppi rispetto alla media nazionale: il San Giovanni Evangelista di Tivoli (il più lontano dalla media nazionale è con una percentuale di mortalità del 24,6%) e la clinica S. Anna di Pomezia. Stesso trend in Campania: le medie nazionali si raddoppiano al S. Giuseppe e Melorio di Santa Maria Capua a Vetere e al San Paolo Napoli.
 
Per quanto riguarda invece gli esiti dell’indicatore relativo all’intervento chirurgico entro 48 ore dal ricovero per frattura del collo del femore nell’anziano, i numeri ci descrivono una media nazionale molto bassa: solo il 33,11 % dei ricoverati riesce infatti ad essere operato nei tempi previsti. Dati preoccupanti appunto, soprattutto se consideriamo che il processo assistenziale in questo caso è fortemente influenzato dalla capacità organizzativa della struttura, che può incidere fortemente sulla puntualità dell’intervento o sui ritardi nel processo di cura: basterebbe, infatti, riorganizzare la sala operatoria rendendola sempre disponibile, o considerare questo intervento sugli anziani come un codice rosso. Comunque, andando a spulciare tra i numeri scopriamo che per un anziano abitare al Nord o al Sud Italia può fare veramente la differenza: nelle regioni del Nord più di sette anziani su dieci entrano in camera operatoria nei tempi previsti. Un trattamento che non ricevono quelli del Sud: la possibilità di essere operati entro le 48 ore è residuale. Un esempio su tutti l’ospedale Loreto Mare di Napoli, dove troviamo la peggiore performance valutata: appena lo 0,5% dei ricoverati conquista la camera operatoria nei tempi ottimali. Una percentuale lontanissima dai comportamenti virtuosi raggiunti dalla clinica accreditata Poliambulanza di Brescia dove ben il 94,4% dei pazienti sale sul lettino operatorio in tempo.
Insomma uno scenario allarmante, anche perché i miglioramenti in Italia sono possibili - ha detto Perucci - come ha dimostrato, ad esempio, il salto di qualità avvenuto al Policlinico Gemelli di Roma passato dal 15% di pazienti operati in 48 ore nel 2008 all’attuale 72,2%. O l’Ospedale Versilia di Camaiore che continua nel tempo a migliorare le proprie performance arrivando ora a quasi l’87 % dei pazienti operati nei tempi previsti.
 
Il dato di mortalità a 30 giorni per intervento Bypass Aortocoronarico (media esiti Italia 2,45%) rileva uno scenario variegato sorprendente: ben cinque strutture concentrate al Centro Nord (l’AO Civile S. Antonio e Biagio di Alessandria, l’IrccsPr Monzino di Milano, l’ospedale Poma di Mantova, l’AoUu di Udine e il Careggi di Firenze) hanno lavorato così bene da azzerare la mortalità. Ma anche le strutture di tre regioni del Sud (Abruzzo, Sicilia e Calabria) brillano in appropriatezza. E se gli esiti sono sfavorevoli in ben quattro strutture della Campania, capitanate dall’Azienda ospedaliera S. Anna e S. Sebastiano di Caserta con un dato ben otto volte sopra la media (16%), anche due strutture della virtuosa Lombardia hanno esiti sfavorevoli superiori alla media.
 
L’analisi delle performance delle strutture sulla mortalità a 30 giorni per ictus conferma molta variabilità nei risultati (la media esiti nazionale è dell’11,61%). Le migliori performance sono state raggiunte dall’ospedale Eustacchio a San Severino Marche con un dato di mortalità dell’1,50%, quelle più sfavorevoli all’Ospedale Venere di Bari con il 37,40% di mortalità). Ma le strutture che hanno registrato esiti sfavorevoli si trovano comunque quasi tutte nelle Regioni del Centro Sud sottoposte a Piano di rientro, mentre quelli favorevoli (anche se con qualche eccezione) si osservano nelle Regioni del Centro Nord considerate più virtuose con le dieci migliori performance concentrate in Lombardia, Veneto e Friuli Venezia Giulia.
 
Il dato di mortalità a 30 giorni dopo un intervento di valvuloplastica e/o sostituzione di valvola isolata (la media esiti italiana è del  3,15%), considerato come un buon indicatore della qualità dell’attività delle strutture di cardiochirurgia, indica come vincente la Lombardia: le prime quattro strutture in Italia con le performance migliori si trovaAno proprio in questa Regione (all’ospedale A. Manzoni di Lecco, la mortalità è pari a zero). Se si analizzano invece gli esiti sfavorevoli, performance non ottimali, le troviamo un po' in tutta Italia: dal Sud (a partire dagli out come più sfavorevole registrati nell'Azienda ospedaliera San Giovanni Moscati di Avellino, dove  il dato  di  mortalità  raggiunge l'8,1% dei casi valutati), fino al Nord, ci sono esiti che si discostano dal dato medio nazionale.
 
Anche la proporzione di colecistectomie laparoscopiche con degenza post operatoria entro 3 giorni che consente di verificare la buona performance delle strutture, evidenzia risultati (in positivo e in negativo) eterogenei su tutto il territorio nazionale (la media esiti nazionale è del 59,31%). Dalla Sicilia, in testa agli esiti più favorevoli con la Clinica S. Anna di Agrigento (con un dato del 98,70%) passando per la Toscana fino alla Lombardia, le strutture brillano per efficacia delle cure.
Osservando invece gli esiti più sfavorevoli la ‘maglia nera’ va all’ospedale Maggiore di Lodi con l’1,5%, stessa performance anche per l’ospedale S. Filippo e Nicola di Avezzano. Risultati più di 50 volte inferiori alla media italiana.
 
L’indicatore della mortalità a 30 giorni per tumore gastrico maligno fotografa risultati più o meno omogenei sul territorio, ma soprattutto rivela in alcuni casi differenze tra le varie strutture della stessa Regione (la media esiti è del 5,88%, l’esito più favorevole lo ha registrato l’ospedale Morgagni Pierantoni di Forlì con lo 0,9% di decessi a 30 giorni mentre la “maglia nera” va all’AO Riuniti di Foggia con il 21,8%). E così in Puglia rispetto ad una struttura con performance ottimali (l’Azienda ospedaliero universitaria di Bari), ne troviamo due con esiti sfavorevoli (l’Azienda ospedaliera di Foggia, appunto, e l’Irccs de Bellis a Castellana Grotte). E nella virtuosa Toscana, mentre Il San Giovanni di Dio sfodera buone performance in altre due strutture (all’ospedale Misericodia e Dolce di Prato e al Santa Aria Annunziata di Bagno a Ripoli) gli scenari sono a tinte fosche.
 
Infine i parti cesarei (la media nazionale esiti è del 27,42%): su questo fronte lo stivale è spaccato in maniera netta. Senza se e senza ma, le migliori performance si concentrano in tre Regioni tutte del Nord (Lombardia, Veneto e Friuli Venezia Giulia), le peggiori in altre tre Regioni del Centro e del Sud (Lazio, Campania e Sicilia).
Due dati su tutti: all’ospedale V. Emanuele II di Carate Brianza i parti con taglio cesareo primario sono solo il 4%, alla clinica Mater Dei di Roma sono la quasi totalità (il 91,9%).
 
Legenda
Per facilitare la lettura abbiamo selezionato le prime dieci e le ultime dieci strutture a livello nazionale con esiti favorevoli e sfavorevoli rispetto alla media nazionale. Le diverse strutture sono state collocate, così come realizzato dagli epidemiologi dell’Agenas, in tre fasce: quella blu, i cui dati aggiustati (ossia quei dati per i quali sono state considerate le possibili disomogeneità tra le popolazioni come l’età, il genere, presenza di comorbità croniche, etc..) e favorevoli, sono statisticamente certi; quella rossa in cui dati aggiustati sfavorevoli non presentano margini di errore statistico; quella grigia dove invece c’è un rischio relativo di errore di un risultato (quello che i tecnici chiamano fattore “p”).
 
A cura di Luciano Fassari ed Ester Maragò
 
 

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