quotidianosanità.it

stampa | chiudi


Martedì 14 FEBBRAIO 2023
Il lento percorso di incorporazione dei metodi dell’analisi costo-efficacia nelle gare di aggiudicazione dei dispositivi medici di alta tecnologia



Gentile direttore,
ormai da molti anni, il procurement dei dispositivi medici (DM) di alta tecnologia viene eseguito attraverso i bandi di gara. E’ un’attività che un tempo rientrava nelle competenze dei cosiddetti Provveditorati e che in anni più recenti è stata attribuita a strutture specificamente deputate agli acquisiti, le quali sono variamente collocate nel nostro SSN.

La legislazione in materia di acquisti e di gare (es. il ben noto codice degli appalti) è un elemento che ha fortemente condizionato lo sviluppo di queste attività; si tratta di una legislazione ormai accuratissima, basata su norme di natura prevalentemente nazionale ma anche europea, le quali rappresentano un riferimento operativo inderogabile.

Qual è il problema principale? Esiste una metodologia scientifica di ambito nazionale e soprattutto internazionale (generalmente denominata “analisi costo-efficacia”) che stabilisce i percorsi di calcolo per eseguire correttamente le valutazioni che riguardano i prezzi nonché tutte le valutazioni economiche sui prodotti che hanno finalità mediche/terapeutiche. L’analisi costo-efficacia comprende una componente clinica riguardante l’efficacia (la quale è riconducibile alla evidence-based medicine ed ai relativi percorsi di valutazione statistica) e una componente economica riguardante i costi, i prezzi, la spesa, le tariffe di rimborso, etc.

Ciò premesso, il problema principale è che la legislazione si è paradossalmente sviluppata con eccessiva velocità e, purtroppo, in questo suo veloce sviluppo non ha tenuto conto dell’esistenza della “scienza”, e cioè del fatto che esiste da anni un metodo scientifico che governa le modalità di analisi economica riguardante i costi, i prezzi, la spesa, le tariffe di rimborso, etc. Tale metodo scientifico trova denominazioni variegate (quali analisi costo-efficacia -certamente il termine da preferire-, farmacoeconomia quando l’applicazione riguarda i farmaci, HTA quando viene collocata in un contesto decisionale molto ampio, etc). A prescindere dai nomi, ciò che afferisce a questo contenitore è identificato da decenni in tutte le banche dati scientifiche internazionali. Molti sono i paesi che costantemente vi fanno esplicito riferimento (Regno Unito, Canada, Belgio, Paesi Scandinavi, Stati Uniti pur con la loro complessità legata all’assenza di un SSN, Giappone, etc). Come tutte le discipline scientifiche, l’analisi costo-efficacia, anno dopo anno, si espande, si perfeziona e produce via via miglioramenti della sua stessa metodologia.

Purtroppo, il dato di fatto è che la legislazione italiana in materia si è sviluppata senza tener conto dell’analisi costo-efficacia. Pur se a posteriori, appare adesso necessario e inderogabile introdurre alcuni rimedi a questa lacuna, almeno quelli principali. D’altro lato, l’identificazione dei migliori rimedi non è un processo facile. Per inciso, va sottolineato che il principale settore in cui servono questi “rimedi” sono le gare di aggiudicazione dei DM ad uso ospedaliero.

Quali sono le criticità della situazione attuale? La principale riguarda il presupposto stesso del metodo scientifico, che -fino dai tempi di Galileo- consiste nella riproducibilità dei risultati. Utile un esempio: se si desidera un’analisi delle evidenze di efficacia e di costo riguardanti una terapia innovativa (ad es. le immunoterapie nel melanoma), il presupposto del metodo scientifico è che i risultati di tale analisi siano sostanzialmente gli stessi a prescindere da chi siano gli autori che hanno eseguito l’analisi stessa. Il fatto stesso che i metodi di elaborazione dei dati siano “cogenti” e condivisi in anticipo sulla base della “scienza” garantisce il risultato per cui, a parità dei dati di partenza, si ottengono orientativamente gli stessi risultati.

Oggi, nelle gare sui DM accade esattamente l’opposto: se due Collegi Tecnici (ad esempio in regioni diverse) sono chiamati a esprimersi sulle medesime classi di DM, i due Capitolati di gara redatti dai due Collegi Tecnici all’insaputa l’uno dell’altro sono sempre diversissimi l’uno dall’altro, sia nell’impostazione generale sia nei particolari, peraltro decisivi ai fini pratici, quali i valori dei punteggi di qualità e di prezzo ed i valori delle basi d’asta. Quindi, la riproducibilità scientifica adesso proprio non c’è, e ciò dipende dal fatto che a monte non esiste un metodo scientifico riconosciuto legislativamente per eseguire le elaborazioni che determinano i risultati.

Un’altra criticità importante ma più specifica riguarda le scale di punteggio su qualità e prezzo. Il Codice degli Appalti impone di gestire queste due scale in totale separazione l’una dall’altra, ad esempio per quanto riguarda i micro-punteggi da attribuire ai singoli prodotti (i quali si sommano secondo due sommatorie separate all’interno delle due scale, e determinano i due punteggi finali su qualità e su prezzo). Su questo punto, il problema metodologico è notevole perché la “scienza” suggerisce invece di pesare l’impatto dei prezzi sui risultati clinici e sulla qualità valutando prezzi e qualità tramite una valutazione congiunta, mentre invece la legge prescrive di gestire le due scale in totale separazione.

Veniamo ai possibili rimedi. Se al momento i metodi “corretti” o “migliori” non possono trovare alcun riconoscimento legislativo, l’unica soluzione è quella di identificare alcuni rimedi per consenso multi-istituzionale e cioè volontaristicamente.

Per dare una qualche concretezza al presente contributo, vengono qui proposti tre rimedi metodologici, i quali possono essere ritenuti prioritari a giudizio dello scrivente. Vanno intesi come il presupposto per cominciare. Si tratta ovviamente di una lista preliminare, la adesione ai quali può essere solo volontaristica.

Sono i tre seguenti:

- Obbligo di usare la ripartizione di punteggio “70 per la qualità vs 30 per il prezzo”: se da un lato la legislazione consente anche ripartizioni diverse (es.80-20), l’obiettivo della riproducibilità consiglia fortemente di lavorare sempre allo stesso modo (cioè 70-30) per quanto concerne questa scelta.

- Riguardo alla soglia willingness to pay, con cui la società riconosce un controvalore economico alla unità di beneficio clinico: poiché metodologicamente una scelta in questo campo va fatta e poiché è importante avere un valore mentre è meno importante se quel valore è un po’ più alto oppure un po’ più basso, si tratta di accettare la soglia di 60mila euro/QALY guadagnato, la quale è un valore frequentemente utilizzato in ambito europeo ed è pure il valore che la Toscana ha accettato nella delibera N 1038 del 11/10/2021.

- Riguardo alla base d’asta di ciascun lotto: a prescindere dai criteri per definirla (che appaiono ad oggi impossibili da standardizzare), una volta che essa è stata definita, è utile calcolare la cosiddetta Unità Monetaria Virtuale o UMV, che è facilmente calcolabile secondo la equazione UMV= (base d’asta)/30. Servirà tempo, familiarità, pratica ed esercizio per comprendere i vantaggi del nuovo parametro. Posto che si rimanda a fonti metodologiche ad hoc per le necessarie spiegazioni (non essendo questa la sede), basti dire che la UMV andrebbe assunta come la unità di misura di tutti i fattori che vengono valutati sulla scala 0-70 della qualità; tecnicamente facile (anziché ragionare in euro, si ragiona in UMV; è semplicemente come se usassimo un’altra valuta), concettualmente più difficile.

In conclusione, al di là delle proposte specifiche qui ipotizzate, la questione principale è quella di sottolineare l’opportunità di intraprendere una ampia discussione su queste tematiche.

Andrea Messori
Centro Operativo
DGDCS Regione Toscana

Nota: anche se l’Autore opera in Toscana nella struttura regionale del Centro Operativo, le opinioni qui espresse sono a titolo personale.

© RIPRODUZIONE RISERVATA