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L’infezione da Sars-CoV-2 può persistere significativamente più a lungo di quanto suggerito dai risultati negativi dei Test PCR, con segni evidenti d’infezione in specifici tipi di cellule nel polmone. A rilevarlo lo studio di un gruppo di ricercatori dell’Università di Trieste, del King’s College of London e dell’International Centre for Genetic Engineering and Biotechnology (ICGEB) di Trieste, pubblicato sul Journal of Pathology che ha analizzato il tessuto polmonare di una particolare categoria di pazienti, ossia quelli apparentemente negativizzati dal virus, ma le cui condizioni cliniche si sono progressivamente aggravate fino a condurli alla morte con sintomi del tutto sovrapponibili a quelli di un’infezione acuta da Sars-CoV-2, Lo studio è stato coordinato da Mauro Giacca, docente di biologia molecolare dell’Università di Trieste, direttore della Scuola di Medicina Cardiovascolare al King's College di Londra e Group Leader del laboratorio di Medicina molecolare in ICGEB, ha tratto vantaggio della pluriennale esperienza di Rossana Bussani dell’Istituto di Anatomia Patologica di ASUGI e docente di Anatomia Patologica dell’Università di Trieste, nell’esame autoptico dei pazienti deceduti all’ospedale del capoluogo giuliano. Il team di ricercatori ha incluso Chiara Collesi, docente di Biologia Molecolare dell’Università di Trieste, e Serena Zacchigna, docente di Biologia Molecolare dell’Università di Trieste e Group Leader del laboratorio di Biologia cardiovascolare in ICGEB. Assolutamente inattesi, evidenzia una nota, alcuni aspetti significativi dal punto di vista patologico: nonostante l’apparente remissione virologica, la patologia polmonare si è rivelata molto simile a quella osservata negli individui con infezione acuta, con frequenti anomalie citologiche, sincizi e la presenza di caratteristiche dismorfiche nella cartilagine bronchiale. Il secondo aspetto, forse ancora più inquietante, è legato all’assenza di tracce virali nell’epitelio respiratorio (coerente con la negatività del test molecolare), mentre sono state individuate nella cartilagine bronchiale e nell’epitelio ghiandolare parabronchiale la proteina Spike e quella del Nucleocapside virale, indispensabili rispettivamente all’infezione e alla replicazione del virus. Il distretto cartilagineo appare come un “santuario” che rende il virus non identificabile con alcuna delle metodiche di cui si dispone al momento. Insieme, questi i risultati indicano che l’infezione da Sars-CoV-2 può persistere significativamente più a lungo di quanto suggerito dai risultati negativi dei Test PCR, ma quale sia il ruolo effettivo di questa latente infezione a lungo termine nel quadro clinico della cosiddetta “sindrome del Covid lungo”, resta ancora da esplorare.
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Giovedì 19 GENNAIO 2023
Covid. Il virus persiste nel tempo in specifici tipi di cellule nel polmone anche nei pazienti apparentemente guariti
Uno studio dell’Università di Trieste, del King’s College of London e dell’“International Centre for Genetic Engineering and Biotechnology” di Trieste, pubblicato su Journal of Pathology, ha svelato aspetti inattesi dell’infezione da Covid-19 mostrando segni evidenti d’infezione in specifici tipi di cellule nel polmone anche dopo i risultati negativi dei Test PCR
La coorte dei pazienti analizzati, nonostante la ripetuta negatività virale fino a 300 giorni consecutivi, ha rivelato evidenza di polmonite interstiziale focale o diffusa, accompagnata da estesa sostituzione fibrotica nella metà dei casi.
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