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In Italia si stima che circa il 10% della popolazione (circa 6 milioni), sia affetta dalla malattia renale cronica, una condizione grave e progressiva che, nonostante l’elevata prevalenza rimane significativamente sotto-diagnosticata soprattutto nei suoi stadi iniziali, anche in pazienti che presentano fattori di rischio noti come diabete, obesità, ipertensione o problemi cardiovascolari. Troppo spesso, però, la sua natura di patologia silente e la conseguente assenza di sintomi ne ritardano fortemente la diagnosi, fondamentale per evitare il progressivo declino della funzionalità renale e la progressione al suo stadio terminale che può portare i pazienti a dialisi o morte prematura. Ora AIFA ha approvato la rimborsabilità di dapagliflozin per il trattamento della malattia renale cronica nei pazienti adulti indipendentemente dalla presenza di diabete di tipo 2 (DT2) e di scompenso cardiaco con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale attesa in questi giorni. “Lo studio DAPA-CKD ha dimostrato che, in aggiunta allo standard di cura, dapagliflozin ha ridotto, rispetto allo standard di cura, del 31% il rischio di mortalità da tutte le cause e del 39% il rischio relativo di peggioramento della funzionalità renale, l’insorgenza di malattia renale allo stadio terminale, o il rischio di morte cardiovascolare e renale in pazienti affetti da malattia renale cronica allo stadio 2-4 con albuminuria“ – afferma Loreto Gesualdo, Ordinario di Nefrologia all’Università Aldo Moro di Bari e Past President Fondazione Italiana del Rene –. L’approvazione di dapagliflozin rappresenta una svolta epocale nel trattamento della malattia renale cronica, patologia con alto tasso di mortalità che per il paziente in dialisi è del 50% a 5 anni, superiore a quella dei linfomi, cancro della prostata e della mammella. Questo farmaco è in grado di modificare la progressiva evoluzione del danno renale e cardiovascolare, con una semplice assunzione orale quotidiana”. “È fondamentale ricordare l’importanza della diagnosi precoce – continua il Prof. Gesualdo - a partire dal medico di medicina generale, nell’individuare i pazienti a rischio di sviluppare la patologia (obesi, diabetici, ipertesi e cardiopatici) e sottoporli ai test (GFR e ACR). Si tratta di esami semplici, analisi del sangue e delle urine, che permettono di diagnosticare la malattia e intervenire precocemente, con riduzione della necessità di trattamenti complessi e ad alto impatto sulla qualità di vita quali dialisi e trapianto. Il nostro obiettivo è riuscire a intercettare i possibili pazienti direttamente dalle cartelle cliniche, attraverso innovativi software e algoritmi di sanità digitale”. L’approvazione posiziona dapagliflozin come il primo trattamento ad avere un’indicazione specifica per la malattia renale cronica e l’unica opzione terapeutica, insieme alla diagnosi precoce, che consente di rallentare la progressione della malattia e l’entrata in dialisi. “È stato dimostrato che dapagliflozin presenti efficacia nefro e cardio protettiva in pazienti con e senza diabete – sottolinea Luca De Nicola, Ordinario di Nefrologia all’Università Luigi Vanvitelli di Napoli –. È in grado di rallentare l’entrata in dialisi anche di 10 anni, perché agisce antagonizzando il principale meccanismo di peggioramento della patologia renale, ossia l’iperfiltrazione glomerulare, presente sia nelle persone diabetiche che nei pazienti con funzione renale ridotta con e senza diabete”. In aggiunta ai bisogni clinici non soddisfatti e all’elevata prevalenza, i costi sanitari associati alla Malattia Renale Cronica sono molto significativi, soprattutto quando progredisce ai suoi stadi terminali. “La malattia renale cronica – afferma Francesco Saverio Mennini, Professore di Microeconomia e Economia Sanitaria, Università di Roma Tor Vergata, Presidente della Società italiana di Health Technology Assessment (Sihta) - oltre all’incremento della mortalità è associata a un consumo di risorse sanitare, costi sanitari diretti e indiretti, che aumenta in relazione alla gravità della malattia. Nel 2021, in Italia, la spesa per la Malattia Renale Cronica ha rappresentato il 3,2% della spesa sanitaria complessiva a carico del Ssn, per un totale di circa 4 miliardi di euro e, sulla base dei risultati dello Studio INSIDE CKD, entro il 2026 è stato stimato un aumento dei costi annuali per questa patologia del 10,8% dei quali il 53% imputabile alla terapia renale sostitutiva. Da questi dati emerge quanto un intervento sulla diagnosi precoce, l’utilizzo di nuove terapie specifiche e il trattamento degli stadi iniziali della patologia possano contribuire, avendo un impatto sugli esiti clinici del paziente prevenendo e/o ritardando la progressione verso il suo stadio terminale a un rilevante risparmio di risorse e di costi per il Ssn e il sistema di welfare nel suo complesso”. “Dapagliflozin – aggiunge De Nicola - ha un significativo impatto anche sulla spesa sanitaria: riduce le complicanze cardiovascolari e la necessità di dialisi (terapia ad alto costo) e, di conseguenza, le ospedalizzazioni. Una proiezione di dati presentata dalla Società Italiana di Nefrologia ha dimostrato che, a 3 anni, è possibile risparmiare circa 200 milioni di dollari, 182 in dialisi e 14 in ospedalizzazioni da scompenso cardiaco”. “L’approvazione di dapagliflozin, basata sui risultati senza precedenti dello Studio DAPA-CKD rappresenta un’opportunità rivoluzionaria per i pazienti affetti da malattia renale cronica, che hanno ora a disposizione un trattamento specifico in grado di rallentare la progressione della malattia, prolungare e migliorare la sopravvivenza e ridurre l’accesso in dialisi, aspetti per cui dapagliflozin, soprattutto se associato a una diagnosi precoce, rappresenta l’unica opzione realmente valida per i pazienti” conclude Raffaela Fede, Direttore Medico AstraZeneca Italia.
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Martedì 17 GENNAIO 2023
Malattia renale cronica. Aifa approva la rimborsabilità di dapagliflozin: riduce l’ingresso in dialisi e la mortalità del 31%
Sono 6 milioni gli italiani colpiti e l’approvazione del farmaco rappresenta una svolta nel trattamento della malattia renale cronica per la quale da oltre 20 anni non sono disponibili terapie specifiche e che nel 2021, in Italia ha rappresentato il 3,2% della spesa sanitaria complessiva a carico del Ssn, per un totale di circa 4 miliardi di euro
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