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Gentile Direttore, Il problema è “Più che altro organizzativo, nel senso che comunque gli organici dei medici, al di là di alcune discipline che sono in difficoltà, non sono inferiori a quelli di altri Paesi. Bisogna così incentivare, economicamente, la presenza in ospedale dei professionisti per più ore”. Terreno scivoloso che ha anche fatto arrabbiare tutte le organizzazioni sindacali. I media hanno subito raccolto l'assist e il giorno dopo era tutto un parlare di liste d'attesa per singola prestazione, per regione, volendo anche per struttura. La giornalista Daniela Minerva su La Repubblica formula tre cause fondamentali del problema e si chiede se esiste ancora il Servizio sanitario nazionale. “Il progressivo de-finanziamentoche ha fatto scendere la quota PIL destinata alla sanità (2000-2021). La disparità regionale derivata dalla riforma del Titolo V della costituzione. La stupidità di chi non ha calcolato bene il fabbisogno di medici e sanitari”. Queste sono tre concause, dottoressa Minerva, dell'aggravamento dei sintomi della malattia. E' come aver dato glucosio al diabetico. La causa eziologica però è da ricercare nel “prestazionismo sanitario” introdotto negli anni '90 con la frammentazione della presa in cura del paziente. La valorizzare a fini contabili delle singole prestazioni ha determinato nel tempo il fenomeno delle liste d'attesa. La parola d'ordine era aziendalizzazione. La salute come prodotto asettico da opificio e non come percorso di presa in cura. Nell’immaginario collettivo dei pazienti ha prevalso l’idea che “più prestazioni” equivalesse a “più salute”; peccato non poterle “stoccare” per i momenti di magra! Poi considerata la concorrenza nell’accaparramento, la prestazione è diventata il vero bene primario più che lo stato di salute in quanto tale. Proprio come hanno sempre postulato gli aziendalisti: il valore delle risorse scarse determina la legge che più bassa è l’offerta più alta è la domanda. Dal 2009 poi, con l'istituzione dei Centri Unici di Prenotazione (CUP) da parte del Ministero della Salute, il cittadino poteva “acquisire il necessario”, con la prescrizione del proprio curante. Il sistema poi si è evoluto entrando nelle farmacie di prossimità, casa o direttamente sul proprio cellulare. La congiuntura è stata favorevole: il cittadino a caccia di prestazioni per compensare il naturale bisogno di salute, i sanitari incentivati anche economicamente a produrle, il sistema privato a “straprodurre”, il politico a valutare con un solo click la reattività e la performance del suo sistema. La tempesta perfetta! I medici di famiglia attanagliati dalle richieste degli assistiti. Il consumo della prestazione che però non ha prodotto benessere richiede, esige un’altra prestazione, più invasiva, più costosa nel circolo vizioso del meccanismo domanda-offerta che mal si addice al contesto sanitario. La governance sanitaria è intervenuta, con la collaborazione delle società scientifiche, adottando linee guida per l'appropriatezza. Il “perno di scarico” è sempre il medico prescrittore. L’appropriatezza ha mitigato ma non risolto il problema. Il rapporto medico paziente è stato contaminato dal bisogno di consumo più che da sinergie di presa in cura. Le aziende sanitarie si affannano a impegnare risorse aggiuntive per “mettere a CUP” prestazioni in quanto sono valutate e finanziate anche sulla base delle liste d’attesa. Prescrittore e erogatore si confrontano per lo più attraverso il referto. Intanto assistiamo alla richiesta pressante dei pazienti di essere considerati nell'unicità della propria persona e non quale ingranaggio del meccanismo produttivo dell'attuale organizzazione dell'offerta prestazionale. Pertanto il recupero delle prestazioni richieste dal Ministro avrà poca valenza nel tempo se non si cambia il paradigma affrontando le cause del problema. Nel breve periodo è necessario smaltire le prestazioni in attesa ma più che farle eseguire con l'attuale sistema si potrebbero adottare procedure più professionalizzanti che diano segnali di reale cambiamento. Le aziende sanitarie potrebbero attivare, utilizzando risorse aggiuntive, il confronto anche telematico fra medici prescrittori e erogatori, per valutare le richieste in attesa con ordine di priorità relativa alla branca (oncologia cardiologia ecc), o indicazione del curante. Nel corso della pandemia in alcune realtà è stato effettuato dai professionisti ospedalieri lo screening dei pazienti in attesa CUP.. Il più delle volte la richiesta è stata risolta telefonicamente. Per gli altri è stato organizzato l'accesso diretto. I medici sono stanchi di prolungare l'orario di lavoro per attività di scarso valore, anche remunerata. Quando c'è stata la necessità hanno anche dormito in ospedale e si sono isolati dalle famiglie per settimane. Per il lungo termine invece si può prendere in considerazione la valorizzazione “modello Drg.” anche dell'attività ambulatoriale complessa. Questa potrebbe essere erogata nei diversi setting: Nuclei della medicina generale, Case di Comunità, strutture private accreditate. Per l'attività di primo livello a basso impatto è utile promuovere la prenotazione diretta del prescrittore attraverso l'ausilio di personale amministrativo formato, sia nei nuclei di MMG o nelle farmacie a seconda della organizzazione territoriale. Questo faciliterà il rapporto con gli specialisti consulenti e soprattutto può differenziare in tempo reale l'opportunità dell'esecuzione dell'esame o della giusta attesa senza investire il paziente della responsabilità/insicurezza di attendere per l'espletamento del proprio percorso di diagnosi e cura. Nunzia Boccaforno
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Venerdì 02 DICEMBRE 2022
Il circolo vizioso della sanità vista solo come “prestazioni”
il dibattito sulla riforma sanitaria entra nel vivo. Il Ministro Schillaci inizia a far emergere le sue idee in due interviste il 30 novembre sul Corriere della Sera e su La Repubblica. Nella prima prende posizioni sulle Case di Comunità che merita un discorso ad hoc in seguito. Nella seconda esterna la sua posizione sulle liste d'attesa.
Direttore U.O. Qualità e Governo Clinico - Ausl Romagna
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