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Mercoledì 19 SETTEMBRE 2012
Scompensi cardiaci. A innescarli è la troponina, fino ad oggi considerata solo marker diagnostico 

E' una proteina del muscolo cardiaco, usata spesso come biomarker per gli attacchi cardiaci. Ma una ricerca svela che potrebbe avere anche un ruolo attivo negli scompensi e nelle insufficienza cardiache. Da qui l'idea che da "semplice" marker potrebbe trasformarsi anche in terapia.

La troponina I, una proteina che si trova solo nel muscolo cardiaco, è uno strumento diagnostico importante come marker per l’infarto, visto che i suoi livelli nel sangue si alzano dopo circa 4-8 ore dall'attacco cardiaco per raggiungere il picco dopo uno o due giorni. Tuttavia, da oggi potrebbe essere ritenuta dalla comunità scientifica ancora più importante, visto che alcuni scienziati della Johns Hopkins School of Medicine hanno scoperto che oltre a funzionare da indicatore ha anche un ruolo attivo nello sviluppo di scompensi e insufficienza cardiaca. La scoperta è stata pubblicata su Circulation, e potrebbe portare a un nuovo strumento diagnostico e terapeutico, indispensabile per la cura di queste condizioni.
 
La troponina agisce come un interruttore nella regolazione di rilassamento e contrazioni del cuore, nonché in risposta all’adrenalina come attivatore della risposta fight or flight - “combatti o fuggi” - che si innesca davanti a un pericolo o in situazioni di stress (una condizione caratterizzata ad esempio da sviluppo di tremore e sudorazione, o da aumento della frequenza cardiaca e dell’intensità del respiro). Ma secondo lo studio, quando questa non funziona bene sarebbe anche responsabile di una riduzione della capacità cardiaca di pompare il sangue in maniera efficiente.
 
Per dimostrarlo gli scienziati hanno analizzato dei tessuti prelevati dal cuore di pazienti con patologie cardiache terminali e da persone decedute che avevano dato il consenso alla donazione di organi. Usando un metodo innovativo chiamato multiple-reaction monitoring (MRM), hanno così individuato nelle molecole di troponina prelevate dai campioni 14 punti critici, 14 siti lungo la proteina che potessero contenere ‘errori’ – come ad esempio legami con altre molecole che non sarebbero dovuti esistere – capaci di accendere o spegnere enzimi e in questo modo innescare problemi cardiaci. Sei di questi erano precedentemente sconosciuti, e secondo gli scienziati potrebbero essere usati sia come marker diagnostici che come bersagli di terapie capaci di ripristinare la funzione cardiaca corretta.
“Prima di oggi non potevamo sapere quali pazienti che hanno subito un attacco cardiaco svilupperanno ulteriori scompensi, ipertrofie cardiache, attività insufficiente del cuore, e quali invece recupereranno una normale funzione muscolare”, ha commentato Anne Murphy, cardiologa al Johns Hopkins Children's Center. “Monitorare questi siti nello specifico potrebbe essere un modo per aiutarci a predire e magari prevenire questo tipo di complicazione, su ogni paziente che ci si presenterà”.

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