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Le persone affette da malattie polmonari interstiziali fibrotiche vanno più facilmente incontro a un aggravamento della patologia e a morte precoce se i pazienti vivono in zone con elevati livelli di inquinanti dell’aria dovuti alla presenza di industrie e al traffico. A evidenziarlo è uno studio condotto dall’Università di Pittsburgh e pubblicato da JAMA Internal Medicine. I ricercatori americani hanno raccolto dati da un bacino di 6.683 pazienti con malattie polmonari interstiziali fibrotiche e hanno collegato gli indirizzi di residenza dei pazienti con gli strumenti satellitare e a terra che misuravano l’inquinamento dell’aria, con l’obiettivo di determinare la composizione degli inquinanti a distanza di mezzo miglio. I ricercatori hanno valutato, in particolare, i livelli del particolato PM2,5, un componente talmente piccolo che può infiltrare in profondità nel polmone ed entrare nel circolo sanguigno. Dai risultati è emerso che i livelli di PM2,5 erano collegati a una malattia più grave alla diagnosi, a una più rapida progressione della malattia misurata dal declino della funzionalità polmonare e a una più alta probabilità di morte precoce. Anche un inquinamento con elevati livelli di zolfo, nitrati e ammonio è stato associato ad outcome di salute peggiori, mentre la formazione del particolato con sostanze quali sali e polveri non ha portato ad un’associazione così evidente. Fonte: JAMA Internal Medicine 2022
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Mercoledì 19 OTTOBRE 2022
Malattie polmonari interstiziali fibrotiche: traffico e inquinamento industriale peggiorano il quadro
La presenza nell’aria del particolato PM 2,5 e di elevati livelli di zolfo, nitrati e ammonio possono peggiora gli outocome di salute di chi soffre di malattie polmonari interstiziali fibrotiche. A evidenziarlo è uno studio condotto dall’Università di Pittsburgh e pubblicato da JAMA Internal Medicine.
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