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Ho letto con grande interesse il libro di Ivan Cavicchi “Oltre la 180” e lo ringrazio per il formidabile stimolo alla riflessione che ne ho tratto. Con l’approvazione della Legge 180/78, con la quale sono stati istituiti servizi di salute mentale e sono stati definitivamente chiusi gli ospedali psichiatrici, si è diffuso un nuovo modo di trattare e interpretare il disturbo psichiatrico, basato sui seguenti principi: le persone con malattie mentale non devono essere segregate ed isolate, ma reinserite a pieno titolo nella società, riprendendosi i loro diritti di cittadinanza; la malattia mentale è una malattia come le altre e, pertanto, passibile di cura e anche di guarigione; l'assistenza, la cura e la riabilitazione devono essere offerte nel luogo di vita delle persone affette. A tali principi, del tutto condivisibili e costantemente difesi, non è corrisposto l’impegno a riempirli di indicazioni tecniche e di revisioni organizzative, entrambe ormai non più eludibili, a causa di una serie di rilevanti fenomeni, che hanno contribuito a rendere più complesso il quadro e più difficile il compito di cura: l’aumento dell’incidenza e della prevalenza del disturbo mentale nella fase adolescenziale e in giovane età, la diffusione impressionante dell’uso di sostanze, il fenomeno migratorio e la pandemia del Covid 19. Si stima che in almeno nel 50% delle persone che accedono ai servizi di salute mentale degli adulti l’esordio della malattia si sia manifestato in età adolescenziale e che il consumo problematico di sostanze psicoattive è passato da 2,5% nel 2010 a 9% nel 2021. Altra fonte di preoccupazione è il tasso di incidenza e di prevalenza della malattia mentale nelle popolazioni migranti, che sono toccate da tale problema in una percentuale che va da un terzo al 50%. La pandemia Covid 19 non ha fatto altro che agire da detonatore su ragazzi e giovani, già costituzionalmente vulnerabili, e resi ancora più vulnerabili dall’uso di sostanze, assunte il più delle volte a scopo auto-terapico. Per quanto riguarda le revisioni organizzative, esse dovrebbero basarsi sui dati scientifici provenienti dalla letteratura e non su affermazioni ideologiche o meramente di principio, come è successo finora nel settore. Oggi le evidenze ci dicono che: Le evidenze suddette richiedono un cambiamento di rotta nelle prassi e nelle organizzazioni dei servizi di salute mentale, che cercherò di descrivere nei punti seguenti, consapevole, ovviamente , che la proposta è solo abbozzata e non certo esaustiva : E infine, ma non meno importanti, sono le competenze professionali del personale. Nel settore della salute mentale, storicamente, si è sempre data poca rilevanza alla formazione di chi, per anni, ha in carico persone con gravi problemi psichiatrici e quasi mai si è tenuto il passo con il recente sviluppo delle conoscenze scientifiche. Neanche le discipline correlate a quella psichiatrica, deputate a fornire ai servizi importanti figure professionali non mediche, si sono sostanzialmente preoccupate di aumentarne le competenze operative, rivelando l’assenza di programmi di formazione sui temi di fondo della psichiatria di comunità nella maggioranza dei corsi universitari per psicologi, assistenti sociali, infermieri, educatori professionali. Alcuni motivi del disinteresse dimostrato si ritrovano: a) nella maggiore evidenza scientifica della psicofarmacoterapia e nella scarsità di studi attestanti l’efficacia delle tecniche psicosociali; b) nella convinzione che la principale causa delle malattie mentali sia di origine biologica, per cui l’esito ottimale atteso consiste, tutt’al più, nella stabilizzazione dei sintomi psicotici; 3) nella scorretta interpretazione del concetto di cronicità, considerata da sempre una conferma di inguaribilità piuttosto che la caratteristica di una malattia persistente (alternanza di periodi di remissione a periodi di riacutizzazione per l’intero corso della vita). E così la gestione di una malattia cronica, quale quella mentale, è stata affidata ad ambiti aspecifici e a personale impreparato e scarsamente supportato, che nella migliore delle ipotesi si è limitato ad una buona assistenza, intesa come soddisfacimento dei bisogni primari (sussidi, vitto, alloggio, supporti aspecifici), o all’offerta di programmi ricreativi e di intrattenimento. Si è, quindi, rinforzato nella psichiatria di comunità del nostro Paese uno sconcertante paradosso: proprio dalla grave disabilità psichiatrica, bisognevole di continui tentativi terapeutici, investimenti e risorse, si è maggiormente disinvestito sotto il profilo della rigorosità e della qualità degli interventi, relegata in un limbo, dove è richiesto il semplice possesso di una generica disponibilità, ma non di specifiche attitudini, abilità, conoscenze, basali per affrontare alcuni temi dell’assistenza psichiatrica pubblica. Oggi i nuovi bisogni richiedono nuove conoscenze, nuove abilità e nuove attitudini, per cui massima deve essere l’attenzione agli operatori che quotidianamente affrontano la sfida comportata dalla malattia mentale. È oggi quanto mai importante occuparsi della loro motivazione e del loro benessere. Non bisogna, infatti, sottovalutare quanto gli esiti di salute mentale nelle persone affette da disturbo psichiatrico dipendano in gran parte dalla motivazione e dai livelli di competenza professionale del personale, a prescindere dalla loro categoria professionale, e che i pazienti senza speranza sono frutto di operatori senza speranza perché lasciati soli e privi di strumenti . Paola Carozza
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Martedì 18 OTTOBRE 2022
Forum 180. Paola Carozza: “L’organizzazione va ripensata sulla base delle evidenze scientifiche e non solo dei principi o delle ideologie”
È ormai chiaro che l’attuale organizzazione dei servizi di salute mentale è inadeguata di fronte ai bisogni posti da nuove popolazioni di pazienti. Dobbiamo chiarirci una volta per tutte sul modello di malattia, sul modello di salute, sui modelli di intervento, nonché sulle conoscenze, abilità e attitudini da sviluppare da parte del personale, in modo che cittadini di una regione o di una provincia ricevano lo stesso trattamento anche in regioni e province diverse. Per fare questo non sono sufficienti principi e ideologie, né il solo aumento di risorse umane, ma evidenze scientifiche, prassi di comprovata efficacia, apporti di chi riceve i servizi e coraggio di eliminare i rami secchi
Direttore DAISMDP (Dipartimento Assistenziale Integrato Salute Mentale e Dipendenze Patologiche), Ferrara
Deputy Vice President Europa WAPR (World Association Psychosocial Rrehabilitation)
Leggi gli altri interventi: Fassari, Cavicchi, Angelozzi, Filippi, Ducci, Fioritti, Pizza, d'Elia, Cozza, Peloso, Favaretto, Starace
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