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Venerdì 07 SETTEMBRE 2012
Palagiano risponde alla lettera di un nostro lettore: “Cure palliative, la legge da sola non basta”

Nonostante questa legge sia un fiore all’occhiello del nostro sistema sanitario, il suo riscontro sul territorio, mostra, come nel caso denunciato dal signor Vozza a Quotidiano Sanità, un panorama fatto di assistenza negata ai malati in fase terminale e di falle vergognose, che nascono da numerosi problemi, più volte sottolineati, a cui il Governo ancora deve dare risposte

La legge 38 che garantisce l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore da parte del malato, nasce nel 2010, proprio per difendere la dignità della persona nei momenti più difficili di una patologia, ovvero quando sopravviene il dolore, che accompagna la maggior parte delle malattie acute e croniche, nonché gli interventi chirurgici, le neoplasie e le fasi terminali dell’esistenza umana.

Purtroppo, nonostante questa legge sia un fiore all’occhiello del nostro sistema sanitario, il suo riscontro sul territorio, mostra, come nel caso denunciato dal signor Vozza a Quotidiano Sanità, un panorama fatto di assistenza negata ai malati in fase terminale e di falle vergognose, che nascono da numerosi problemi, più volte sottolineati, a cui il Governo ancora deve dare risposte.

In primo luogo l’inadeguatezza dei fondi economici destinati, ed i Lea, che ancora consentono differenze intollerabili tra le Regioni. Gli hospice, che rappresentano il luogo deputato ad accompagnare il paziente e la sua famiglia verso la fine della vita, sono 53 in Lombardia e solo uno (inaugurato a giugno di quest’anno) in Abruzzo. Questo dato sottolinea la diseguaglianza tra i cittadini, la disomogeneità territoriale, il divario tra le Regioni, l’inesistente integrazione con le cure domiciliari.

In definitiva, la noncuranza con cui il Governo lascia gli addetti ai lavori a combattere con una legge che c’è, ma che, troppo spesso, non prevede mezzi per essere operativa e la perversione con cui si continua a tagliare inopinatamente la sanità e quindi il diritto alla salute dei cittadini. Quel diritto che, tra l’altro, dovrebbe consentire ad ogni cittadino la dignità della morte.

Ed invece il paziente che soffre, che ha dolore, che si trova a combattere con una neoplasia in fase terminale è costretto a rivolgersi al pronto soccorso, già intasato da emergenze da arginare con pochi mezzi e scarso personale, situazione da cui derivano consulenze improprie e terapie di scarsa efficacia, rapporti umani frettolosi. In modo particolare nel Mezzogiorno assistiamo ad una completa assenza di assistenza domiciliare, per cui il malato dimesso dagli ospedali resta abbandonato a se stesso. Il 50% degli ospedali del Sud non ha applicato la legge 38, e il restante 50% la fa in maniera inadeguata. Il sistema sanitario e politico hanno il dovere di rispondere a questo stato di cose per combattere quella che è una vera e propria ingiustizia sociale.

Non è accettabile che nella maggior parte degli ospedali italiani non ci siano reparti con posti letto dedicati alle cure palliative, che oltre il 50% dei medici di medicina generale non ascolti i problemi legati al dolore e che il 30% dei malati terminali non abbia accesso a terapie adeguate. Non è pensabile che una società civile permetta che i malati terminali trascorrano gli ultimi mesi della propria vita abbandonati al proprio destino, insieme alle famiglie, anch’esse lasciate sole, che spesso spendono tutto il loro denaro per affrontare le sofferenze dei propri cari. Non, infine, è immaginabile che, nel nostro Paese la situazione ancora più tragica, da questo punto di vista, la vivano i bambini, per i quali in Italia il trattamento del dolore non ha nessuna diffusione, mentre i tumori sono in aumento del 40% ed ancora si muore in casa.

Le cure palliative sostengono il tentativo di una vita migliore, non alimentano l’illusione della guarigione. Ma la legge da sola non basta, i medici non possono fare gli artigiani. Bisogna riorganizzare il sistema con una vera rete, attuare politiche reali di sostegno per i pazienti e le famiglie, con relativa copertura economica, nonché istituire sistemi efficaci di controllo.

La 38/2010 non ha cambiato di fatto la realtà italiana, ma ha dato una speranza che non deve rimanere tale, deve anzi diventare una garanzia per i cittadini. Per questo bisogna prevedere fondi, formazione specifica ed un riconoscimento reale della disciplina. Più della metà dei pazienti in fase terminale non è consapevole della diagnosi, perciò noi dobbiamo formare i professionisti della salute anche a parlare di terapia del dolore, di diagnosi e di prognosi, di malattie inguaribili, per aiutare il paziente e la sua famiglia a gestire il senso di impotenza che talora li pervade.

Quello che invece risulta sempre più indispensabile è una revisione immediata dei Livelli Essenziali di Assistenza, così come una revisione dei percorsi di formazione professionale, la riorganizzazione del sistema e del governo clinico in modo da garantire standard uniformi. Questo per fare in modo che mai più il diritto alla salute venga calpestato in modo così orribile, che mai più possa ripetersi il calvario che ci ha descritto il signor Domenico Vozza nella sua accorata lettera. Potremmo così dire che quella famiglia, e tante altre che si trovano ora nella stessa situazione, non hanno sofferto invano.

Antonio Palagiano
Presidente Commissione parlamentare d'Inchiesta sugli errori e disavanzi sanitari regionali

 

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