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Lunedì 19 SETTEMBRE 2022
Donne medico, magari bastasse chiamarle “mediche”



Gentile Direttore,
il valore delle parole è noto fin dall’antichità tanto da aver fatto nascere il proverbio latino “ multo qua ferrum lingua atrocior ferit” (la lingua ferisce molto più della spada).

Le parole ci permettono di comunicare con gli altri, di raccontare le nostre giornate, di far sentire i nostri bisogni, di ricordare il passato, di difenderci, di trasmettere sentimenti … certe  parole sono capaci di  lasciare segni profondi sulle nostre esistenze.

E così quando nuove parole entrano nel dire quotidiano non sono parole vuote ma termini nati dalla necessità di  esprimere dei cambiamenti avvenuti.

In questi giorni la Treccani ha introdotto nel suo dizionario dei nuovi vocaboli che hanno suscitato un certo interesse soprattutto là dove i linguisti si sono preoccupati per la prima volta di declinare al femminile  alcuni nomi di professioni spiegando che il nuovo vocabolario “è lo specchio  del mondo che cambia”.

Scopriamo quindi che  per quanto riguarda le professioni sanitarie, sono stati introdotti  i termini “chirurga” e “medica” oltre che per altre professioni i termini notaia, soldata, architetta.

Se da una parte è apprezzabile il tentativo di porre l’accento sul fenomeno della femminilizzazione delle professioni, dall’altro questa precipitosa azione personalmente mi lascia molto perplessa: le parole non possono essere decise o scelte dall’alto, ma in genere sono quelle che si attestano negli usi parlati e i vocabolari ne registrano semplicemente l’esistenza.

Basti pensare ad esempio  ad  alcune   parole introdotte negli ultimi anni e che prima non esistevano: da quelli entrati nell’uso comune orami da molti anni come badante, boomer, cellulare  a quelli più recenti apericena, green pass, distanziamento sociale, telemedicina….Sono tutte parole nate per indicare figure o cose nuove entrate nell’uso comune che poi sono per forza di cose  entrate nei dizionari.

Purtroppo  medica, chirurga, notaia , soldata  non sono termini di uso comune, popolare, anzi talvolta vengono  usati in senso un po' dispregiativo o ridicolo.

L’operazione compiuta dai linguisti della Treccani appare pertanto come un tentativo di anticipare i tempi, forse  di favorire  con la lingua un cambiamento culturale ancora molto lontano dal realizzarsi. Purtroppo i mutamenti della lingua non si possono imporre e per noi donne “mediche” il tutto  appare come una  operazione vuota , priva di contenuti perché nella realtà il nostro ruolo continua a non essere pienamente riconosciuto.

Bene quindi ha fatto Pina Onotri segretario nazionale dello SMI a sottolineare  che “avere semplicemente il cambio di una vocale che sancisce una declinazione al femminile non basta” perché “non è questa la parità di genere  a cui puntiamo”.

Usare i termini al femminile appare come un tentativo di concedere una parità di genere che è molto lontana dall’esistere.

Le donne ormai lavorano da molti anni e hanno raggiunto risultati notevoli in molte professioni ma è ancora lontano il riconoscimento di una parità effettiva con l’uomo specie in alcuni campi. In sanità le donne sono la maggioranza ma questo non è sufficiente per creare le condizioni di parità: continua la discriminazione negli stipendi, l’estrema difficoltà a raggiungere posizioni apicali, mancano politiche del lavoro che favoriscano le donne ( asili nidi, part-time, flessibilità…).

Ma  perché se le donne sono la maggioranza in sanità non sono in grado di creare delle condizioni di lavoro a loro favorevoli?

Purtroppo come scriveva Simone De Beauvoir “La rappresentazione del  mondo come tale è opera dell’uomo; egli lo descrive dal suo punto di vista , che confonde  con la verità assoluta” …. Finché  chi ci rappresenta là, nei livelli più alti, dove si prendono le decisioni che contano è maschio, continuerà la sua visone delle cose, una visone per forza di cose di parte, fatta della  sua verità che ritiene assoluta. Non è cattiva volontà, è che a loro sta bene  così, di certo spontaneamente non sono disponibili a cedere quote di potere.

Ornella Mancin
Medico di medicina generale

 

 

 

 

 

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