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Lunedì 05 SETTEMBRE 2022
Chiunque ha diritto di dire quello che vuole ma il medico deve stare dentro la medicina



Gentile Direttore,
debbo ringraziare il Prof. Luigi Vero Tarca per avermi chiamato quasi ad un certame filosofico cui mi debbo sottrarre per mancanza di competenza, ma cui non voglio rinunciare. Anch’io sono convinto della pressante necessità di trovare uno spazio di discussione interdisciplinare, anzi tra mondi diversi, per un linguaggio o almeno un glossario comune affatto indispensabile.

Assicuro il Prof. Varca che nella mia molteplice attività (sono stato anche segretario nazionale del maggior sindacato medico) ho sempre evitato i giochi win lose. Il vero politico trova sempre un di più di senso che superi la somma zero.

Il terreno su cui si muove il Prof. Varca è quello del dialogo per definire una visione comune sulla quale poter fondare concetti di positivo o negativo o di verità, ammesso che questa esista. Ma vi sono altre aree in cui si muovono gli uomini. Forse il terreno comune è il principio di realtà di cui si può discutere in astratto ma non al letto del malato. Tento quindi, in sintesi, di “chiarire i punti valoriali controversi”.

Se il Prof. Varca avesse la responsabilità civile penale di un qualsiasi nosocomio pubblico o privato invierebbe in corsia personale non vaccinato? Prima discutere o prima garantire i pazienti? E cosa direbbe al magistrato che, perizia alla mano, lo accusasse del rischio o delle sequele del suo agire? Esiste un mondo del diritto con le sue leggi deterministiche fondate sulla ricerca delle cause delle azioni e delle omissioni.

Il che pone un’altra questione: tutelare gli altri può porre limiti alla libertà? Riprendiamo il problema vaccini. Chi scrive ha passato la vita a occuparsi di dare risposte razionali alle domande, le cosiddette FAQ, alle quali qualsiasi medico dovrebbe saper dare al cittadino le doverose e comprovate rassicurazioni scientifiche, oggi rigorosamente certe.

Nello stesso tempo conosco bene le obiezioni morali ai modi e agli strumenti della produzione capitalistica. Nel mentre che cerchiamo, ahimè con poche speranze, di recuperare un minimo di socialdemocrazia dobbiamo rinunciare alle cure? Non usiamo più lo smartphone per non arricchire la Samsung? Il confine tra il vantaggio di chi vende e quello di chi compra lo si stabilisce caso per caso (in senso benthamiano?), comunque secondo il rapporto costi benefici e il principio di riduzione del danno.

Ho l’impressione che talora nel confronto si faccia prevalere la retorica sull’etica, le procedure della dialettica sui valori. La discussione sul libero mercato impegna l’umanità da Aristotele a Smith a Marx a Keynes e oggi è vivissima. Quando, dall’empireo dei premi Nobel, scendiamo alla cruda realtà, dovremmo essere d’accordo che vendere bigiotteria o grano o farmaci o armi da combattimento non è la stesa cosa. Trovare sotto casa il fornaio, il tabaccaio, l’ortolano e il negozio di bazooka ci scandalizzerebbe in Europa ma non negli USA.

Il fatto è che per poterci capire bisogna ordinare i valori in gioco, non scrivere uno, due e tre, ma primo, secondo e terzo. Ritengo che in tal modo i diversi mondi possano colloquiare, avendo prima definito i piani della reciproca narrazione.

Allora, nel mondo della deontologia professionale, cioè di ciò che si può e ciò che si deve fare nell’interesse del paziente, al di là e oltre le leges artis, un medico può sconsigliare di vaccinarsi senza un ovvio motivo clinico?

Chiunque ha diritto di dire quello che vuole ma il medico deve stare dentro la medicina. Altrimenti inganna chi gli si affida. Un siffatto medico non può essere tollerato, non più di un ingegnere che sostenesse che un tetto di tegole o di stracci è la stessa cosa.

Infine se la medicina, come sostiene Giorgio Cosmacini, è “un’arte che si avvale di molteplici scienze e agisce in un mondo di valori”, oggi la sanità è uno dei pilastri dell’economia dei paesi i: ampia i propri orizzonti di senso e usa (o è usata?) una tecnologia sempre più potente e sofisticata che la condiziona attraverso il ricorso dell’I. A.

Ciò introduce nella dialettica delle vicende mediche, comprese i vaccini, il vasto mondo dell’economia che condiziona la relazione tra medico e paziente nella misura in cui chi paga vuol spendere bene i suoi soldi.

La medicina è politica (lo ha già detto Virchow), altissima politica, perché è lavoro che si occupa del bene altrui. Pensare che l’arte medica stia al di sopra della politica, al di fuori di ogni condizionamento sociale, fa parte di quell’ideologia da anime belle che nascondono il conflitto di interesse insito in una prassi che usa strumenti privati per usi pubblici. 

Detto con parole semplici, in questo mondo complicato e complesso ogni preposizione è discutibile e, se lo è, forse possiede un po' di verità, ma non ha lo stesso valore. Il principio di realtà ci richiama a mettere ordine nei valori in campo (esempio tutelare la salute dei singoli e dell’umanità) e a trovare le regole per conseguire questo scopo nell’ambito della tolleranza tra gli attori e dell’uguaglianza dei fruitori.

Se ciascun valore è tale nel contesto in cui si colloca e il fine è di raggiungere un accordo, una volta chiariti i termini del dissenso, resta il fatto che una cosa è perseguire il confronto altra ciò che ne consegue. Concordo davvero con Lei, caro Professore, sull’utilità del ritorno allo studio della filosofia nella medicina in un periodo di così travolgente transizione. Se questo nostro colloquio potrà essere un piccolo seme la ringrazio ancora.

Antonio Panti

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