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Giovedì 30 AGOSTO 2012
Decreto Balduzzi. Un provvedimento “senza anima”. Si poteva e si può fare di più
Permane il dubbio sull’effettiva necessità e urgenza delle norme ma il vero problema è la mancanza di una visione strategica su dove condurre la sanità pubblica e sul modo di renderla un reale fattore di sviluppo per il Paese. Come indicato dal titolo del provvedimento (ma non dall’attuale contenuto)
L’esame del decreto sanità del ministro Balduzzi è rinviato a mercoledì prossimo. Da quanto si apprende i tecnici del ministero sono impegnatissimi nella stesura di una nuova versione del testo per superare le obiezioni del pre consiglio dei Ministri del 28 agosto e recepire le indicazioni emerse dal vertice delle Regioni svoltosi ieri a Roma.
Balduzzi continua ad essere ottimista e anche questa mattina a Uno Mattina su Rai1 è apparso fiducioso sull’iter favorevole del suo provvedimento. Vedremo.
In attesa di sapere come andrà a finire vale però la pena di guardare un po’ più da vicino il decreto, almeno nella sua bozza originale.
Partiamo dal titolo che suona così: “Decreto legge recante disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del paese mediante un più alto livello di tutela della salute”.
Bellissimo. E lo dico senza alcuna ironia. Sono anni che cerchiamo di affermare il valore della sanità come fattore di sviluppo per il Paese in senso lato e vedere ora questo concetto scritto nero su bianco sul titolo di quella che potrebbe diventare una legge nazionale, non può far che piacere.
Purtroppo l’entusiasmo si spegne quando si passa ad esaminare il testo che si rivela molto poco affine a quel titolo. Chi si aspettasse di trovarvi un piano straordinario di rilancio del sistema sanitario attraverso nuovi investimenti per l’ammodernamento strutturale e tecnologico del nostro patrimonio sanitario, si dovrà infatti accontentare di un cauto rilancio delle partnership pubblico privato per l’edilizia sanitaria già esistenti. Sulle quali registriamo semmai una certa benevolenza verso il privato con concessioni di autonomie sull’uso delle strutture sanitarie oggi non previste.
Chi si aspettasse poi di trovarvi un grande rilancio del management e dell’organizzazione della sanità pubblica basata sul merito si dovrà accontentare di una versione ridotta dell’inconcludente dibattito parlamentare sul governo clinico con tanti “vorrei ma non posso”, in materia di valorizzazione delle competenze nelle nomine di direttori generali e primari.
Anche sulla molto pubblicizzata riforma delle cure primarie, che ha portato molti quotidiani a titolare sulla fine del medico di famiglia e l’inizio di una nuova era con ambulatori di base aperti tutto l’anno per 24 ore al giorno festivi compresi, se vogliamo essere sinceri dobbiamo riconoscere che nel testo del decreto tutto questo non c’è. Al massimo lo si può immaginare ancora un volta in divenire, qualora Regioni e sindacati si dovessero mettere d’accordo sul serio per realizzare quell’obiettivo di riforma della medicina territoriale inseguito da anni (senza successo, salvo eccezioni) e farlo subito, qui e ora, senza un Euro in più di investimento.
Ma andiamo a vedere le soluzioni prospettate per risolvere la farsa delle proroghe infinite della cosiddetta “intramoenia allargata”. In realtà il decreto non fa che legittimare una nuova proroga per quelle situazioni fuori legge, fortunatamente minoritarie, frutto di inerzia regionale e complicità sindacali che hanno consentito una libera professione senza regole. Non solo, superata la nuova proroga, lo stesso decreto, di fatto, sancisce che l’intramoenia si può fare anche negli sudi privati. Alla faccia di chi vi ha rinunciato (la maggioranza delle Regioni e dei medici) per rispettare la legge.
E vogliamo parlare dei Livelli essenziali di assistenza? Chi si attendesse nel decreto un bell’allegato con i nuovi Lea attesi da anni, si dovrà accontentare di una data, quella del prossimo 31 dicembre, indicata come limite entro il quale il Governo dovrà presentare la nuova lista. Serve un decreto legge per dire che entro l’anno si rispetterà un impegno già preso da tempo, come quello di rinnovare i Lea fermi dal 2001 dopo l’annullamento di quelli varati da Livia Turco nel 2008?
Anche la novità del Piano sulla non autosufficienza lascia l’amaro in bocca perché in realtà si ribadisce che va fatto un Piano, se ne individuano le linee portanti e le finalità ma si rimanda tutto a un’intesa Stato Regioni. E anche in questo caso senza alcun investimento. Serve un decreto legge per dire che si dovrà fare un’intesa Stato Regioni su un atto programmatico?
Ma torniamo allo sviluppo. La sanità è un comparto ricco di soggetti e fattori produttivi di tutto rispetto. Dall’industria del farmaco a quella bio-medicale. Ebbene, se si vuole parlare di sviluppo in sanità si dovrebbe cominciare proprio da qui, lanciando un grande Piano di investimenti e incentivi per la ricerca e l’innovazione coinvolgendo le aziende del settore in nuove partnership con il Ssn e più in generale immettendo queste linee di sviluppo nell’agenda del rilancio economico dell’Italia per attrarre saperi e finanziamenti esteri. Di tutto ciò non c’è traccia e le norme relative al farmaco appaiono del tutto estranee a questi obiettivi se non addirittura contrastanti con essi.
Sulle farmacie, le poche novità sembrano essere volte più a rafforzare ulteriormente il delirio liberalizzatore che a fornire una nuova visione del comparto, ormai stremato da un tira e molla estenuante tra una visione pura di mercato e un assetto di pubblico servizio delle farmacie.
Tralasciamo gli altri numerosi aspetti, tra i quali quelli dibattutissimi delle tasse sulle bevande gassate. E’ questo un fattore di sviluppo per il Paese? Si risponde di sì perché si disincentiverebbe il consumo di bevande ricche di zuccheri e quindi potenzialmente dannose per la salute. Ma, a parte il fatto che allora dovremmo tassare di tutto (dal burro, agli alcolici, agli insaccati e via dicendo), siamo veramente convinti che sia materia da decreto legge per lo sviluppo? Ho forti dubbi in proposito.
Sul resto, come dicevo, non vale la pena entrare nel merito perché quando si leggono norme che spaziano dalla Sanità marittima all’Onaosi, passando per la dirigenza sanitaria del Ministero della Salute, c’è il forte sospetto che ci si trovi di fronte ad un “omnibus” frutto di tanti dossier rimasti in sospeso e che ora si vuole risolvere agganciandoli al primo “treno” legislativo utile, senza alcun presupposto di necessità e urgenza plausibile.
Che questo omnibus non abbia poi le caratteristiche di un decreto legge lo abbiamo detto e scritto più volte ma, ovviamente, non sta a noi stabilirlo. Resta il fatto che il vero problema di questo provvedimento dal bellissimo titolo è che esso appare del tutto privo di anima e coerenza strategica.
Non se ne intuisce il vero obiettivo (e ciò porta a chiedersi se esista) e manca di qualsiasi visione futura su cosa dovrebbe o potrebbe essere la sanità pubblica di questo Paese. Elementi non indispensabili in una legge ma della cui assenza non possiamo che dolercene, pensando che ciò rappresenterebbe un’occasione mancata per questo bravo ministro della Salute.
A mercoledì mancano cinque giorni. Pochi ma sufficienti per invertire la rotta e presentare un provvedimento realmente in linea con lo sviluppo del settore e del Paese.
Cesare Fassari
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