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Martedì 28 GIUGNO 2022
Carcinoma colon-retto. Bene la qualità delle colonscopie, ma tante carenze e discrepanze tra i Centri di screening. L’indagine Sige

Sotto la lente della Società Italiana di Gastroenterologia ed Endoscopia digestiva 64 ospedali in 17 regioni. Analizzata la aderenza alle linee guida internazionali. Nel Nord il numero di colonscopie di screening è più alto (6.500) rispetto ai Centri centro-meridionali (rispettivamente 4mila e 3mila). Anche il numero degli endoscopisti diverge: sono mediamente 6,5 per Centro al nord e 5 e 3,5 al centro e al Sud

Se complessivamente i risultati sono positivi, al contempo numerose sono le carenze e le discrepanze tra i diversi centri dove si effettua lo screening endoscopico del carcinoma del colon-retto.

Questa la “diagnosi” emersa da uno studio condotto dalla Società Italiana di Gastroenterologia ed Endoscopia digestiva (SIGE) - realizzato su un campione di 64 ospedali in 17 regioni e appena pubblicato on line sulla rivista scientifica Digestive and Liver Disease, - che ha valutato per la prima volta la qualità della colonscopia in Italia.

La SIGE lancia quindi un appello affinché le istituzioni pongano maggiore attenzione nel sovvenzionare e monitorare le attività di screening di secondo livello, come la colonscopia e tutti fattori che ne determinano la sua qualità.

Il cancro del colon-retto è un grave problema sanitario in tutto il mondo. Basti pensare che rappresenta la terza neoplasia per incidenza e la seconda per mortalità, Sono infatti quasi 50mila i nuovi casi in un anno in Italia, circa 500mila in Europa e quasi 2 milioni nel mondo.  A fare la differenza nella storia clinica dei pazienti è lo screening, che consente una diagnosi precoce e una riduzione della mortalità.

“In Italia, lo screening utilizzato è il test del sangue occulto nelle feci, eseguito ogni 2 anni nelle persone tra 50 e 69 anni, ad eccezione della regione Piemonte dove viene eseguita la rettosigmoidoscopia –  spiega Marcello Maida, dirigente medico dell’Unità Operativa Complessa di Gastroenterologia degli ospedali Riuniti Sant Elia-Raimondi di Caltanissetta e membro del consiglio direttivo nazionale della Società Italiana di Gastroenterologia ed Endoscopia Digestiva (SIGE) – se il test di primo livello risulta positivo, il programma di screening prevede l’esecuzione di una colonscopia come esame di secondo livello. La qualità di questo esame è perciò determinante nel garantire l’efficacia dell’intero programma di prevenzione”.

L’obiettivo è infatti quello di rimuovere eventuali lesioni pre-cancerose, come ad esempio i polipi, in una fase precoce ed asintomatica. In questo modo si interviene in maniera meno aggressiva e aumentano le possibilità di cure efficaci, meno impattanti per il paziente e con una maggiore probabilità di guarigione.

Ecco perché la SIGE ha condotto una indagine volta a valutare la qualità della colonscopia eseguite per questo scopo.

Sono così stati analizzati i dati di 64 ospedali in ben 17 regioni italiane: circa il 50 per cento proveniente dal nord, quasi il 20 (18,75) per cento dal centro e poco più del 30 per cento (31,25%) dal sud Italia.

Ogni Centro risulta dotato di una media di circa 5 endoscopisti coinvolti nello screening e di questi circa 3 su 4 (il 71,4%) sono gastroenterologi. Se la maggior parte dei centri (93,8%) programma una colonscopia in tempi brevi e comunque entro 3 mesi, a colpire è il dato discrepante nelle varie regioni italiane. Infatti, si registra mediamente in un anno un numero significativamente più alto di colonscopie di screening (6.500) eseguiti al nord rispetto ai centri centro-meridionali (rispettivamente 4mila e 3mila). Stessa discrasia si rileva nel numero degli endoscopisti, che sono mediamente 6,5 per centro al nord e 5 e 3,5 al centro e al Sud.

“Come SIGE abbiamo deciso di eseguire uno studio ad hoc per valutare la qualità della colonscopia di screening in Italia, delle tecnologie con cui viene eseguita e quale è l’aderenza alle linee guida internazionali nella pratica clinica. Se da una parte possiamo ritenerci soddisfatti dalla qualità offerta ai pazienti in Italia – continua Maida - dall’altra non possiamo non registrare una grande eterogeneità tra tutti i centri partecipanti, con una notevole difformità di comportamento nell’esecuzione dello screening endoscopico del tumore del colon-retto. Questi aspetti andrebbero adeguati e uniformati a livello nazionale mediante un monitoraggio costante dell’attività dei centri screening”.

Lo studio - unico nel suo genere, perché ha analizzato per la prima volta l’attività dei centri screening in Italia su un vasto campione e basandosi su un’analisi dei dati per ospedale - è anche il primo ad aver verificato l’aderenza dei singoli centri alle linee guida internazionali.

“Lo screening del carcinoma del colon ha un grande impatto sulla storia naturale di questo tumore e contribuisce a ridurne la mortalità – conclude Maida – pertanto, le istituzioni dovrebbero porre maggiore attenzione nell’implementare queste attività. Innanzitutto, con una linea di indirizzo nazionale al fine di garantire una maggiore uniformità di comportamento tra tutti i centri ma anche attraverso un maggiore investimento per garantire personale sufficiente e strumentazione tecnologica adeguata e costantemente aggiornata. In questa ottica, le società scientifiche nazionali potranno avere un ruolo importante nel supportare il processo di uniformità e la crescita dei singoli centri in tutto il territorio nazionale”.

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