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Gentile Direttore, In uno degli ultimi numeri di JAMA, Allan S. Detsky (1) esprime il suo punto di vista su come imparare l’Arte e la Scienza della Diagnosi. Mi sono trovato assolutamente d’accordo e voglio condividere con tutti voi una serie di considerazioni. Durante la mia vita universitaria ho sempre osteggiato la riduzione dell’insegnamento di questa arte, sottolineando come nessuno strumento o tool di intelligenza artificiale poteva sostituire l’accuratezza nella raccolta della storia clinica e il colloquio attento e stimolante l’evidenziazione di sintomi di ogni tipo e la loro cronistoria di comparsa. Non dobbiamo mai ridurre il tempo dedicato a questo aspetto della “visita” prima di passare all’esame obiettivo. Il paziente va guardato e ogni particolare osservato può favorire una diagnosi piu’ corretta. L’osservazione del paziente deve prevedere anche di utilizzare le mani per percepire il calore, la secchezza della cute o delle mucose ispezionabili. Va insegnato ad auscultare il ritmo cardiaco, ispezionare i polsi e così via, controllando sempre la reazione del paziente alle nostre manovre. E’ chiaro che da specialisti potremmo essere portati a considerare alcuni sintomi piu’ rilevanti di altri. Così come potremmo essere molto condizionati dai dati di laboratorio. Anche in questo ambito dobbiamo finalizzare le nostre richieste al chiarimento dei sospetti e dobbiamo anche, in particolare noi endocrinologi, essere molto precisi nell’invitare il paziente a sottoporsi ai prelievi in orario o nel giorno più congruo. Analoga precisione va utilizzata nel richiedere le indagini morfologiche. Lo step successivo è quello di mettere insieme tutti i risultati e confrontarli con i profili delle malattie che abbiamo studiato. Fondamentale dovrebbe essere nell’insegnamento delle vari forme patologiche far conoscere la percentuale di presenza di alcuni sintomi e segni così come di alterazioni degli analiti testati e degli esami di imaging. Forse in questo step l’uso di algoritmi ben costruiti potrebbe essere di aiuto soprattutto nei casi più dubbi. Fondamentale in questa fase è anche la valutazione in team dei dati, nel senso che parlare con il radiologo o l’anatomo patologo che ha valutato l’eventuale campione bioptico è molto più utile che leggere le singole risposte. Lo scambio di idee è fondamentale e in ogni ambiente dovrebbe essere lasciato lo spazio temporale e fisico perché i medici possano incontrarsi e discutere i casi più complessi. Formulata la diagnosi dobbiamo comunicarla. Questo è un altro aspetto che richiede abilità tale da essere ben compresi e umana empatia soprattutto nel comunicare diagnosi che prevedono possibili epiloghi mortali. Spesso i pazienti presentano acuzie che necessitano di diagnosi rapide e decisioni terapeutiche altrettanto veloci per poter evitarne il decesso. Anche questo aspetto deve essere formato e mantenuto aggiornato nel tempo. E’ chiaro che la medicina si va evolvendo e lo sviluppo di algoritmi fornirà strumenti di intelligenza artificiale che specialmente nelle acuzie potranno evitarci errori che possono mettere a repentaglio la vita dei nostri pazienti! Per cui ben vengano le App, ma è fondamentale il nostro supporto nella costruzione e nella validazione. Risulta pertanto fondamentale la creazione di figure professionali intermedie e/o l’inserimento nel corso di studio di conoscenze tecnologiche avanzate. Un guaio serio dello sviluppo tecnologico è però legato all’accesso dei pazienti alla massa di dati presenti in rete che spesso portano i pazienti a riferire una serie di sintomi che caratterizzano la malattia che si sono diagnosticati! Questo è un altro aspetto su cui dobbiamo preparare i nostri studenti. L’eccellenza della capacità diagnostica comprende sicuramente una buona conoscenza della fisiopatologia e delle diverse malattie e la capacità di mettere insieme i dati. Non di minore importanza è poi la capacità di comunicare la diagnosi e l’abilità nel decidere se si può riflettere con calma o se c’è necessità di agire con rapidità. Una “ricetta” per poter acquisire una eccellente capacità diagnostica è prendersi cura dei malati, essere curiosi, non stancarsi di fare pratica quotidiana al letto del malato e acquisire i feedback del malato e dei colleghi e questo per tutta la nostra vita professionale, se vogliamo veramente gioire e essere soddisfatti di svolgere l’attività di medici. Una nota di tristezza viene dal fatto che, sempre di più con il passare degli anni, tutto questo lavoro e questa maturità nella capacità diagnostica viene sempre meno valutata e valorizzata e vorrei aggiungere, mal retribuita. Basta pensare a quanto poco vengono valorizzati i DRG di area medica! Vincenzo Toscano
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Lunedì 27 GIUGNO 2022
L’arte di fare diagnosi
la possiamo chiamare arte di fare diagnosi o occhio clinico, comunque sia, è, è stato e, sempre sarà la qualità fondamentale di un bravo medico. Una qualità irrinunciabile che prevede una capacità di ragionamento ferrea, induttiva e deduttiva all’unisono. Una capacità che va potenziata, se presente, durante il percorso universitario oppure va costruita per chi si dimostra esserne meno dotato.
Past President Ame e Responsabile editoria Ame
Professore endrocrinologia f.r. “Sapienza” Univesità di Roma
1. Detsky AS. Learning the Art and Science of Diagnosis. JAMA. 2022 Apr 18. doi: 10.1001/jama.2022.4650. Epub ahead of print. PMID: 35435931.
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