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Gentile direttore, Nel 1978, la Legge 833, concede ad ogni Italiano ed italiana, al di là di censo, reddito, stato sociale, un medico di fiducia. Ovvero 1 Italiano, 1 Medico. Adesso la mirabolante riforma offre nientepopodimeno che 1 Poliambulatorio ogni 50.000 italiani. Poi siccome in effetti così è troppo grossa, allora ce la caviamo con Hub e Spoke. Che ammischiano un po’. Ma, in carenza di personale, chi ci mandiamo? Facciamo lo spezzatino del medico di scelta, che così come il Visconte Dimezzato di Italo Calvino diventa ½ medico per italiano e ½ medico per poliambulatorio, altresì definito per decenza Casa di Comunità. A questo, in nome della prossimità si sommano Ospedali di nome, di Comunità di cognome che non si capisce bene cosa c’entrino con l’Ospedale originale. E vabbé generichiamo pure il termine Ospedale. Poi, vista la nebulosità del progetto si rende opportuna la regolamentazione per decreto di tale riforma. Scandita nella tempistica dettata dall’arrivo dei fondi del salvifico PNRR: il cosoddetto DM 71. E così stiamo a posto. Chiusa la pratica. E poi? Non è dato prevedere il futuro. Ma intanto si può vedere cosa questa “slalomistica” impostazione ha determinato nei riformandi, i MMG. Quelli che sono in veneranda età sono già pronti con le valigie, i giovani invece la valigia preparata per intraprendere il viaggio da medico di famiglia la disfano. Alcuni politici, invece di capire la causa del problema, lo alimentano con proposte da caterpillar nel negozio di cristalli, facendo calare la già scarsa motivazione, sia professionale che economica, dei medici, già pochi rispetto alle necessità. Insomma una cosa da tempesta perfetta. C’è un principio in giurisprudenza che definisce sbagliata una norma che va contro la logica. In questa vicenda la logica non trova spazio. Siamo in un periodo di pandemia, (la WHO, a me risulta non abbia dichiarato la fine dello stato pandemico) e in un momento di profonda incertezza determinato dalla guerra Russia-Ucraina, con un fosco scenario economico autunnale. Abbiamo un sistema sanitario pubblico, sottolineo “pubblico”, termine desueto, che nonostante anni di draconiani tagli e una devastante pandemia ha retto. Sia pur sui nervi e sulla pelle degli operatori pubblici, che sono morti a decine. Un sistema mutuato da quello inglese che era nato durante la seconda guerra mondiale, per dare la possibilità di curarsi a tutti. Perfetto per il momento attuale. E noi che facciamo? Lo smontiamo. Dopo decenni di convegni sull’Ospedale per intensità di cure, che era il modello giustificativo dei tagli dei posti letto, ma che non è stato mai supportato dal potenziamento della rete dei servizi territoriali, che anzi è stata impoverita nel nome della cronicità, ci accorgiamo che il modello Ospedale per intensità di cure senza una rete territoriale efficiente non funziona. Allora cosa fare? Intanto se si vuole, ripeto, se si vuole, mantenere l’attuale sistema pubblico, si scelga una strategia di approccio di sistema e non di settore. Non si può fare una riforma per l’ospedale ed una per il territorio senza capire che uno senza l’altro e vice versa non può funzionare. Se il medico di medicina generale è così importante oltre allo spezzatino orario proposto che strumento ha per interagire con il resto del sistema? Il CUP? Oggi vero mediatore tramite malato dei rapporti con l’offerta specialistica ed ospedaliera? Serve un LEA della medicina generale e non un LEA che è un medico di medicina generale. Se il MMG è la porta d’accesso al sistema pubblico, il mastro di chiavi, qualche porta da aprire dategliela. Il servizio reso ai cittadini, che è l’accesso, che equivale ad equità, che equivale a possibilità di avere le cure migliori nei tempi più idonei deve essere uguale in tutto il Paese. Serve un medico capace di dare risposte, di poter fare diagnosi, non biffare crocette con lettere UBPD, in grado di poter interloquire con l’Ospedale, con la Specialistica, e che tali possibilità siano rendicontate in termini di efficienza e non in termini di mera spesa. La tecnocrazia senza professionalità, senza clinica rende cinico un sistema, quello sanitario, dove invece serve umanità e rapporto personale, poi tutte le mirabilie tecnologiche sono un rafforzativo del rapporto medico-paziente e non certo un sostitutivo ed i dati un supporto di orientamento, di verifica ed indirizzo. Invece qui in questa bolla che sa di bufala ci raccontano di un futuro che viene declinato dai medici come fosco e dai cittadini come incerto. Siamo contrari al cambiamento? No, magari siamo contrari a qualcosa che interpretata con la logica e la realtà quotidiana delle persone che vediamo nei nostri studi, non riusciamo a capire. Pier Luigi Bartoletti
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Venerdì 10 GIUGNO 2022
Bartoletti (Fimmg): “Con il Dm 71 si sta smantellando la sanità pubblica. Ecco come”
In questa bolla che sa di bufala ci raccontano di un futuro che viene declinato dai medici come fosco e dai cittadini come incerto. Siamo contrari al cambiamento? No, magari siamo contrari a qualcosa che interpretata con la logica e la realtà quotidiana delle persone che vediamo nei nostri studi, non riusciamo a capire. Se, invece si vuole privatizzare, cosa che sta accadendo a velocità pazzesca, lo si dica, senza mezzucci o sotterfugi, così ognuno può fare delle scelte e delle valutazioni e qualcun altro, come è giusto che sia, si prenda le proprie responsabilità
da molto tempo si affastellano proposte, più o meno strampalate, sull’assoluta necessità di riforma del sistema territoriale. Basta con una sanità territoriale inefficiente. Ci vuole un sistema più organizzato. Bene. Come? Ci rifilano la panzana della prossimità. Ma è stupefacente come tale panzana sia così grossa che, sfuggendo dal campo visivo, nessuno la veda.
Se, invece si vuole privatizzare, cosa che sta accadendo a velocità pazzesca, lo si dica, senza mezzucci o sotterfugi, così ognuno può fare delle scelte e delle valutazioni e qualcun altro, come è giusto che sia, si prenda le proprie responsabilità.
Vice Segretario nazionale vicario FIMMG
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