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Martedì 03 MAGGIO 2022
Il disagio psichico grave è una cosa seria



Gentile Direttore,
vogliamo dire basta? Domenica 1 maggio, L’Espresso esce con una foto di copertina (solita, come tantissime, senza alcuna originalità, se parliamo di fotogiornalismo) e titolo “Follia in cella”, per parlare, o meglio, per fare sensazione, con il problema del disagio psichico ristretto. Letterale dalla copertina: “Un fotoreporter racconta lo stato di degrado in cui vivono i pazienti psichiatrici in Italia”. L’italiano è italiano, il presente indicativo è il presente indicativo e l’articolo determinativo plurale è articolo determinativo plurale. Risultato? Moltissima mistificazione, semplicemente.

 Ancora una volta si mistifica, si utilizza e si svilisce il problema del disagio mentale grave con manifesta e sconcertante assenza di scrupoli, passando dalla esposizione dei volti alla trafila dei soliti e logori luoghi comuni dei “cattivi” carcerieri e alla sorprendente mancanza di auto-osservazione nell’ammannire una minestra già così nota e vista, così scontata, così banale nella sua esibita e ambigua “vicinanza” ai malati psichici.  Vicinanza, si badi bene, di pochi giorni, ore, quanto basta per la foto di copertina e un articolo di un settimanale (con il quale, a scanso dei soliti equivoci, normalmente mi trovo in assonanza).

Ma chi, ancora, può seguire, con serietà, il giornalista (e non solo, purtroppo) che si addolora di fronte a dure realtà, e si dispera, e accusa, e poi se ne va, ma gli restano pur sempre dentro “gli occhi spalancati di Gennaro che si guarda allo specchio”?  Gli restano dentro, sì, forse, ma per quanto?   Sinceramente, per quanto?

Basta. Basta usare la psichiatria per dare patenti di buoni e cattivi, di civili e incivili.  Come sarebbe venuta una copertina con la foto di uno delle centinaia e centinaia di operatori della salute mentale che quegli occhi li vede tutti i giorni, e continua a vederli e, soprattutto, a loro cerca sempre di dare delle risposte? E a loro non si sottrae, mai?   Né vorrebbe né potrebbe. Quella foto sarebbe stata meno adatta per una copertina; semplice.   Eppure, avrebbe rispecchiato la realtà della stragrande maggioranza di invisibili operatori che fanno del loro lavoro mal pagato una grande parte della propria vita, che hanno deciso che con Gennaro non lavorano solo questa settimana, ma fino a quando sarà necessario. E di Gennaro ne hanno moltissimi.  E che danno risposte a pazienti, familiari, comuni, cittadinanza, politica…

Basta. Basta ricalcare sempre posizioni di retroguardia e soprattutto accusare i servizi di salute mentale di “non credere alla legge Basaglia”, servizi che non hanno pause, che sono sempre stati aperti anche in pandemia, che banalmente non possono non farsi carico della maggior parte della patologia mentale e che, è utile ricordarlo, sono comunque l’ultimo e unico terminale di tutte le situazioni gravi, difficili, impossibili, pericolose.  Quando tutti gli altri, uno alla volta, gettano la spugna o spariscono, o semplicemente non possono…

E’ ovvio precisare che con questo immenso bisogno non sempre le cose si fanno in modo sufficiente e senza errori, ma l’articolo dice cosa molto diversa, comunica che “è” un fare di errori e volontarie negligenze, e questo non è accettabile.

Non si contano i disegni di legge, i richiami, i documenti dove si evidenziano le difficoltà nella gestione del disagio psichico, e perché no, anche proprio il tema da cui parte l’articolo di L’Espresso, quello dei malati psichiatrici autori di reato; documenti che partono (sono obbligati dall’ovvio a partire) sempre dall’assunto che “si devono potenziare i Dipartimenti d Salute Mentale”. 

Caro Direttore, diamo la notizia che questo non avviene, che la spesa per i disturbi mentali è stabilmente poco più della metà di quanto definito come necessario (5% della spesa sanitaria totale), e che, a fronte di tutto ciò, i servizi psichiatrici pubblici non si sono mai fermati né risparmiati, né sono stati e sono esenti da sacrifici personali di uomini e donne che hanno continuato a impegnarsi anche in situazioni di estrema difficoltà e, diciamolo, talvolta di grande pericolo, ed è capitato che ci rimettessero anche la vita, oppure la salute.  E da ultimo, informo, che quasi tutti sono radicalmente appassionati al mestiere e alle persone che curano.

Sì, ma raccontare tutto ciò sarebbe stato molto più difficile, lungo, articolato, poco cool. Fors’anche noiosetto?.., e vuoi mettere la differenza di appeal con l’articolo (trito, vecchio, parziale, tendenzioso anche nel momento in cui raccontasse qualche realtà, lo ripeto) col volto che urla de L’Espresso di domenica 1 maggio?

Antonio Amatulli
Psichiatra Direttore del Dipartimento di Salute Mentale e Dipendenze della ASST Brianza (MB)

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