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Venerdì 10 AGOSTO 2012
Creatività e coscienza? Ecco le cellule nascoste da cui dipendono. La scoperta su Science

Capacità come quella di pensare o di creare, così come la coscienza, deriverebbero proprio da un specifica popolazione di cellule staminali, riconosciuta da un team statunitense in una parte del cervello. La ricerca oltre ad ampliare le conoscenze sul cervello, aprirà opzioni terapeutiche per schizofrenia e autismo.

Le capacità intellettive più alte? Tutta questione di avere le giuste cellule staminali. Alcuni ricercatori dello Scripps Research Institute hanno infatti identificato una nuova popolazione di staminali dalle quali nascerebbero i neuroni responsabili delle funzioni cerebrali più ‘avanzate’, come la coscienza, il pensiero e la creatività. La scoperta, pubblicata su Science, potrebbe segnare il primo passo per lo sviluppo in coltura di neuroni capaci di curare disordini cognitivi come schizofrenia e autismo.
 
“La corteccia cerebrale è dove si trovano tutte le funzioni più alte del nostro cervello, dove vengono integrate le informazioni, dove risiede la memoria e la coscienza”, ha spiegato Ulrich Mueller, direttore del Dorris Neuroscience Center allo Scripp Research. “Se vogliamo capire chi siamo, dobbiamo capire come funziona quest’area del cervello, dove tutto viene messo insieme per formare l’impressione che abbiamo del mondo”. In particolare, nello studio, il team statunitense ha identificato nel cervello dei topi una specifica classe di cellule staminali che danno vita ai neuroni che vanno a formare lo strato superiore della corteccia cerebrale: a differenza di quanto pensato prima, infatti, non tutti i livelli di questa regione del cervello derivano dalle stesse cellule della glia radiali. “Le funzioni più complesse, come quelle della coscienza, del pensiero e della creatività necessitano di tipi diversi di cellule neuronali, e la questione centrale fino ad oggi era stata come si potesse produrre tale differenziazione nella corteccia”, ha commentato Santos Franco, primo autore dello studio. “La ricerca dimostra che la differenza risiede nelle stesse cellule progenitrici”.
 
Ottenere il risultato ha richiesto un po’ di preparazione. Prima di tutto il team ha creato dei topi nei quali i neuroni dello strato superficiale della corteccia potessero essere tracciati, in modo da capire da dove nascessero e come si muovessero. Per farlo, gli scienziati hanno usato un gene marker, chiamato Cux2, espresso solo in questi livelli della corteccia cerebrale più vicini al cranio, e lo hanno modificato per renderlo fluorescente. È stato così che il team ha osservato che Cux2 era già attivo in una porzione delle cellule della glia, già ai primi stadi di sviluppo del cervello, ovvero a nove o dieci giorni a partire dalla formazione dell’embrione. Seguendo poi lo sviluppo e la migrazione di queste cellule, gli scienziati hanno osservato che andavano a formare quasi esclusivamente i neuroni più esterni.
Per essere sicuri di quello che stavano osservando, gli scienziati hanno anche rimosso queste cellule precursori dei neuroni dello strato superficiale dal cervello embrionale, per osservare come si sarebbero evolute in laboratorio: anche in questo caso, le sole staminali in cui Cux2 era espresso diventavano neuroni dello strato esterno, anche nel caso se ne ‘forzasse’ lo sviluppo precoce. In altre parole, a differenza di quanto si pensava precedentemente, la differenziazione in cellule dello strato più interno o in quelle dello strato più esterno non dipendeva dai tempi di sviluppo, ma esclusivamente da quali staminali progenitrici queste derivassero.
 
“Stiamo facendo enormi passi avanti nella comprensione di come funziona il nostro cervello e di come questo si sia evoluto a partire da quello animale”, ha detto Mueller. E la ricerca, secondo gli scienziati, potrebbe anche aprire la via ad opzioni terapeutiche prima impensabili, poiché in laboratorio non si era mai riusciti a ricreare quei neuroni che formano lo strato più esterno della corteccia cerebrale. “Tutto ciò potrebbe aiutarci a capire come trattare disordini psichiatrici per i quali oggi non c’è cura”, ha concluso il ricercatore.
 
Laura Berardi

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