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Martedì 19 APRILE 2022
Cure primarie. L’Italia non è messa così male

Si è fatto un gran dramma sull’impreparazione del territorio alla pandemia ma negli altri paesi non è andata meglio. In tutta Europa, anzi in tutto il mondo, si deve fare meglio per le cure primarie, ma noi non partiamo da posizioni svantaggiate. Inoltre la spesa italiana per il SSN, in particolare per il territorio, è inferiore a quella di altri grandi paesi, il che fa supporre che la nostra tanto vituperata sanità non sia peggiore delle altre

“E’ ormai noto che Sistemi Sanitari caratterizzati da un’assistenza sanitaria di base (primary care) forte e ben strutturata presentano migliori risultati in termini di salute della popolazione: aumentata efficienza, migliore qualità dell’assistenza, maggior soddisfazione da parte delle persone assistite”. Con questa affermazione si apre il quaderno AGENAS “Analisi Comparata delle Cure Primarie in Europa, un documento interessante anche se sconta una qualche disomogeneità per la difficoltà di raccolta dei dati e una limitazione per l’essere rivolto solo agli aspetti organizzativi e non alla valutazione dei risultati dei diversi sistemi e alla soddisfazione dei cittadini.

L’impressione complessiva è che ovunque si riconosca il bisogno di una sanità territoriale efficace e efficiente e che ovunque la si ricerchi più o meno nello stesso modo, sia pur in un panorama disomogeneo e variegato. La sanità paga lo scotto di aver dedicato attenzione e finanziamenti alla medicina ospedaliera, privilegiando la tecnologia e le specialità più costose.

In tutti i paesi presi in esame si hanno problemi di digitalizzazione del servizio, di comunicazione tra ospedale e territorio, di filtro della domanda, di governance, di risposta ai bisogni della cronicità e ai rischi ambientali. Intorno a ciascun problema si è già molto discusso e ancora si discuterà: mi interessano intanto alcune considerazioni politiche.

La prima è che in Italia non va peggio che altrove. Si è fatto un gran dramma sull’impreparazione del territorio alla pandemia ma negli altri paesi non è andata meglio. In tutta Europa, anzi in tutto il mondo, si deve fare meglio per la PHC, ma noi non partiamo da posizioni svantaggiate. Inoltre la spesa italiana per il SSN, in particolare per il territorio, è inferiore a quella di altri grandi paesi, il che fa supporre che la nostra tanto vituperata sanità non sia peggiore delle altre. Anche il confronto dei regimi di compartecipazione della spesa e delle prestazioni extraospedaliere poste a carico del servizio è quasi ovunque a nostro favore.

Il documento dell’AGENAS affronta i molteplici problemi della Primary Health Care che sono tutti interconnessi e debbono essere risolti insieme. Per quel che attiene ai problemi più settoriali, la questione della medicina generale rappresenta senz’altro il nodo più complesso.

Il primo dilemma è quello del del rapporto giuridico dei medici generali che non può essere impostato solo sul piano organizzativo: occorre conoscere il grado di soddisfazione dei cittadini e la reale capillarità del servizio. Anche la discussione sulla formazione dei MG e degli infermieri territoriali è monca se non si affronta il problema della selezione, cioè della vocazione a un lavoro del tutto peculiare. Infine la governance rappresenta un problema aperto ovunque, escluso forse in Inghilterra, e non ha trovato indicazioni omogenee a livello europeo.

La problematica della medicina generale da un lato è formativa e vocazionale: entro certi limiti l’empatia e la psicologia clinica si possono imparare per affrontare i problemi del cittadino sul piano umano dando per scontato che lo si sappia fare su quello scientifico. Dall’altro è organizzativa: il modus operandi del personale dipende dall’organizzazione della sanità e quindi dal contratto di lavoro.

A questo proposito l’ACN per la medicina generale si fonda ancora sui pilastri del rapporto di fiducia, della retribuzione a quota capitaria, del rapporto ottimale cioè sul numero di medici per ogni comune, dell’accesso a seguito di un corso formativo triennale, del massimale di assistiti. Mantenendo questa base si può costruire una soluzione contrattuale che soddisfi le esigenze della cittadinanza e dell’amministrazione.

L’ACN recentemente firmata indica la strada che il rinnovo, da discutere subito per rispondere alle domande del citato documento, deve perseguire. Occorre il coraggio di decidere le innovazioni necessarie per un reale cambiamento.

Non sono molte ma atte a risolvere le principali questioni: al momento del convenzionamento con una ASL il MG viene inserito d’ufficio in una AFT; queste hanno una valenza giuridica e gestiscono l’assistenza in un determinato territorio; le prestazioni concordate sono tutte obbligatorie; si definiscono i compiti e quindi gli strumenti e il personale; infine gli ambulatori sono aperti almeno 12 h e si garantisce l’assistenza domiciliare utilizzando medici a rapporto orario, a partire dagli ex CA.

Tutto ciò lascia aperte due questioni. Una è che se i politici non si impegnano non si può pensare che una semplice contrattazione tra le parti dia una svolta così decisa. L’altra è che anche la migliore delle soluzioni organizzative non risolve la questione medica, cioè lo sconcerto e la disaffezione strisciante dei medici e di tutto il personale della sanità.

Antonio Panti 

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