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Giovedì 31 MARZO 2022
Democrazia e Pnrr
Gentile Direttore,
ha senso porre il problema della democrazia quando si parla di PNRR e di servizi territoriali? Ovvero è possibile progettare, avviare, governare, valutare servizi rivolti alla comunità senza attivare un importante processo di partecipazione?
Nel suo discorso di insediamento il Presidente Draghi ha parlato di “casa come migliore luogo di cura”, il PNRR ha modificato il nome da “case della salute” a “case della comunità”, il DM 71 parla di “valorizzazione della partecipazione di tutte le risorse della comunità nelle diverse forme e attraverso il coinvolgimento dei diversi attori locali (Aziende Sanitarie Locali, Comuni e loro Unioni, professionisti e loro caregiver, associazioni/organizzazioni del Terzo Settore, ecc.)”.
Da questi documenti sembra emergere un principio unificante: le cure territoriali, quelle che entrano nelle case e nelle vite delle persone, quelle che si occupano di una popolazione e non di un gruppo di malati, non possono che essere costruite, giorno dopo giorno, con la comunità e nella comunità. Gli attori convolti e in primis le persone portatrici di bisogni devono essere protagonisti e non attori passivi di modelli organizzativi e pratiche decisi altrove.
Senza la comunità e le risorse in essa presenti non sarà possibile raggiungere l’obiettivo previsto dal DM 71 che “per essere realmente efficaci i servizi sanitari devono essere in grado di tutelare la salute dell’intera popolazione e non solo di coloro che richiedono attivamente una prestazione sanitaria”.
Costruire realmente servizi/distretti/case/ospedali/infermieri di comunità richiede una profonda riflessione sui meccanismi di funzionamento istituzionali della sanità. Il modello gerarchico e prestazionale semplicemente non funziona. Come dice Muir Gray descrivendo quella che lui chiama Population Medicine “bisogna imparare a parlare due lingue, quella clinica e quella del farsi carico dell’intera popolazione”.
E per far questo bisogna costruire servizi agili, flessibili, in continuo movimento e bisogna che i meccanismi decisionali superino le attuali asimmetrie. La salute territoriale funziona se è una civitas, una comunità partecipe e attiva. Solo in questa maniera sarà possibile superare quella che chi si occupa di coesione territoriale e di Aree interne chiama “cecità dei luoghi” ovvero l’applicazione di modelli che non tengono conto dei contesti, delle attitudini, delle risorse e dei bisogni delle diverse comunità.
Una sfida non semplice quella di essere flessibili, in continuo cambiamento ma soprattutto capaci di vera democrazia partecipativa. Ma d’altra parte se vogliamo dare senso concreto a parole come empowerment e community building e costruire veri servizi di comunità non possiamo che accettarla questa grande sfida.
Giorgio Simon
Già Direttore generale Azienda sanitaria Friuli Occidentale
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