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Venerdì 18 MARZO 2022
Il Grande inganno della Certificazione Telematica di Malattia
Gentile Direttore,
correva l’anno 2011 e io mi ero da poco abilitato alla professione di Medico-Chirurgo. Capii più o meno subito che la burocrazia, soprattutto quella certificativa, avrebbe occupato molto del mio tempo lavorativo.
Ma mettiamo da parte il rammarico e facciamo un po’ di storia: dal Luglio del 2010 la legge 183 introduce l’obbligo di certificazione telematica per i lavoratori pubblici e privati, ma il sistema diventa operativo solo dal Febbraio 2011 dopo un periodo di assestamento.
Nelle intenzioni e negli annunci dell’allora Ministro Brunetta la certificazione avrebbe finalmente ridotto la piaga dell’assenteismo del settore pubblico, generato ingenti risparmi per lo stato nell’ordine di 500 milioni di euro l’anno, identificato e finalmente colpito i “furbetti del cartellino”.
Risultati raggiunti? Analizziamo nel dettaglio un po’ di dati, facciamo un po’ fact checking.
L’analisi dei dati è già di per sé piuttosto difficile, perché quello che è possibile reperire in rete si riferisce al periodo 2011-2016 ed è raccolto prima da ISTAT, dopodiché i dati passano ad un fantomatico “Osservatorio sulla Certificazione delle Malattie” in seno ad INPS che pubblica fino al 2016 quattro report ancora rintracciabili sul loro sito; anche se parziali, che possono essere consultati cliccando qui.
Primo outcome: riduzione dell’assenteismo nella Pubblica Amministrazione.
Tutti i report pubblicati hanno mostrato un trend crescente nei giorni totali di assenza nella pubblica amministrazione nel triennio 2011-2014 con addirittura un aumento dello 0,8% nel 2014 e del 4,3% nel 2015, fino a raggiungere un “ottimo” risparmio dello -0.03% nel 2016.
Direi che possiamo dichiarare mestamente ENDPOINT NON RAGGIUNTO.
Secondo Outcome: generare ingenti risparmi per lo stato.
Negli annunci iniziali il ministro parlava di 500 milioni di euro annui di risparmio.
Dopo solo un anno nel 2011 a fronte di 22 milioni di occupati (di cui solo 17 milioni di dipendenti) il risparmio per le casse dell’INPS dal certificato telematico si attestava sui 200 milioni di euro annui a detta dello stesso ministro Brunetta e dell’ex direttore Mastrapasqua, generati esclusivamente dal risparmio sul costo dell’invio delle raccomandate.
Se pur piccolo è un risparmio ma c’è un ma...
Nel 2017 viene istituito il Polo Unico per le Visite fiscali a cui viene dato un Budget di 17 milioni di Euro per il primo anno, ma successivamente nei capitoli di spesa ministeriali sembra che vengano allocati fino a 50 milioni di euro l’anno per il funzionamento di questo organo (capitolo spesa 4776 Ministero del Lavoro).
Per comprendere meglio facciamo un rapido calcolo: nel 2013 sono stati rilasciati 17.852.925 certificati, il costo di una raccomandata nel 2014 da 100g era 5,50 euro= Risparmio da invio di cartacei 44.778.243 milioni di Euro, ben lontani dai 200 annunciati.
Secondo ENDPOINT NON RAGGIUNTO.
Terzo Outcome: ripulire le fila della PA dai “furbetti del cartellino”
Utilizzando i dati derivanti dal triennio 2012-2015 ed estratti da Ufficio studi CGIA possiamo vedere come i provvedimenti disciplinari nel solo anno 2015 siano stati 1.690, ma nello stesso periodo vengono redatti ben 12.000.000 di certificati di malattia nel pubblico impiego (i “furbetti” pertanto sono solo un microscopico 0,014%).
I licenziamenti secondari a provvedimenti disciplinari sono stati, sempre nel 2015, la “mastodontica” cifra di 280, ricordiamolo ancora, su 12 milioni di certificati, in sostanza meno dello 0.01% degli occupati.
Terzo ENDPOINT NON VISTO NEMMENO DA LONTANO, altro che raggiungere.
Verificato quindi che lo strumento “certificato di malattia telematico” non ha raggiunto nemmeno UNO dei suoi scopi e lo dimostrano i dati che lui stesso ha generato, cerchiamo di capire come fare a evitare di perdere tempo in una pratica certamente poco utile dal punto di vista clinico.
Con l’avvento della pandemia, molte cose sono cambiate in sanità, anche a livello europeo. Basti pensare che i permessi per malattia in Germania e nel Regno Unito possono essere ottenuti con l’autocertificazione; nella fattispecie in UK il periodo di autocertificazione è passato da 7 giorni a 28 giorni durante il periodo pandemico, per ridurre appunto inutili accessi presso gli ambulatori del Medico di Famiglia (General Practitioner, GP), addirittura il certificato di isolamento sostituiva quello di malattia e si poteva ottenere per telefono al NHS 111 (numero unico nazionale per le cure non urgenti).
Mossa sicuramente più furba ed utile che quella di costringere milioni di lavoratori italiani a intasare sia i centralini del tracciamento, sia quelli della Medicina Generale, per ottenere due fogli diversi per stare a casa.
Le proposte quindi, anche alla luce dei dati sono:
1) Rendere operativa l’Autocertificazione per l’assenza dal lavoro fino a 7 giorni affidando la verifica della malattia al Polo Unico per le Visite Fiscali
2) Calcolare una media di Giorni all’anno totali di permesso di malattia che il lavoratore può prendere in base a stime storiche di assenza di malattia per comparto
Queste semplici mosse permetterebbero di ridurre dell’82,3% le certificazioni di malattia, visto che sempre dai dati estratti nel triennio 2012-2015, oltre l’80% di tutte le certificazioni erano comprese nella fascia fino a 10 gg.
Il Lavoratore comunicherebbe il numero dei giorni di permesso al portale INPS in forma autonoma e il sistema potrebbe da solo scegliere se allocare o no la visita fiscale in base a criteri studiati sui dati, sugli algoritmi o sulle precedenti assenze del lavoratore.
Il risparmio generato dalla riduzione dell’attività certificatoria permetterebbe sulla platea di 42.000 medici di Medicina Generale di liberare circa 11 milioni di ore all’anno che potremmo impiegare invece per curare i pazienti.
Il conto delle ore sale ancora se si inseriscono anche i Medici di Continuità Assistenziale e i Medici di Pronto Soccorso, anch’essi costretti in larga parte a questo obbligo senza senso.
Per concludere in un’ottica di empowerment del paziente e di razionalizzazione degli accessi ai servizi sanitari, costringere mediamente 20 milioni di lavoratori ogni anno (pubblici e privati) ad accedere ad un servizio sanitario per farsi rilasciare una giustificazione di assenza, magari per un solo giorno, per una patologia spesso cronica (un banale esempio su tutti l’emicrania), ben conosciuta dal paziente e molto spesso non obiettivabile dal medico è uno spreco di risorse.
La lista delle patologie non obiettivabili è enorme e chi lavora ogni giorno sa che invece sono spesso queste ad essere più frequentemente le cause di assenza dal lavoro rendendo di fatto la redazione del certificato di malattia un atto contenente l’anamnesi riferita dal paziente con la sola aggiunta del timbro del medico.
E’ arrivato il momento di smettere di fare i controllori di un sistema che dopo 10 anni ha ampiamente dimostrato che non aveva bisogno del nostro controllo.
Dr. Tommaso Barnini
Medico di Medicina Generale
Sesto Fiorentino
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