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Lunedì 07 MARZO 2022
Le ‘fragilità’ della sanità regionale alla Consulta Sanità del PD
Secondo le osservazioni della Consulta fondamentale è innanzitutto l’organizzazione di una forte struttura territoriale. Manai e Budroni: “Gli ospedali potrebbero dedicarsi ad attività d’elezione e raggiungere livelli di competenza che regga il confronto nazionale ed europeo. Un approccio culturale, questo, nuovo sulla sanità, che vede coinvolgere tutto il personale sanitario e la popolazione in generale in una prospettiva progettuale di buona sanità”
“La sanità in Sardegna è in grave difficoltà sia per la pandemia che per la disattenzione della classe politica che governa la Regione. L’accesso alle cure nelle strutture pubbliche è diventato ogni giorno più critico e molti pazienti non si curano oppure devono avvalersi delle prestazioni dei privati a pagamento”. Lo dichiarano a Quotidiano Sanità Stefano Manai, Responsabile Nazionale PD del Coordinamento organizzativo delle Consulte Sanità Regionali, e Mario Budroni, epidemiologo ora in pensione, illustrando per conto della Consulta Sanità del Partito Democratico della provincia di Sassari quelle che, per la stessa Consulta, sono in questo momento le ‘fragilità’ del Sistema sanitario regionale.
“L’organizzazione delle vaccinazioni – spiegano Manai e Budroni - è stata tenuta in piedi da un folto gruppo di medici e infermieri volontari. Gli ospedali e, soprattutto, i Pronto Soccorso non reggono la pressione dei malati di Covid19 e bloccano il resto delle prestazioni. L’assistenza territoriale soffre della riduzione del numero di sanitari e dall’eccessivo carico burocratico”.
Di fronte a questa situazione “complicata e devastante per i danni che produce”, proseguono Manai e Budroni, “la Giunta Regionale decide di copiare un modello d’organizzazione sanitaria della Regione Veneto che ha territori e condizioni socio-economiche completamente diverse dalle nostre; rimette in auge le vecchie otto ASL per moltiplicare le poltrone e gratificare i politici locali, creando conflitti di competenze tra ARES e ASL non ancora risolti. Senza nessun cambiamento di assetto e di funzioni rinomina quindici poliambulatori come case di comunità e due piccoli ospedali come ospedali di comunità. Assistiamo infine alla fuga dalle strutture pubbliche e al pensionamento di molti medici sia ospedalieri che territoriali. Il rischio che sembra prospettarsi è che la Giunta Regionale finisca per creare le case di comunità come contenitori vuoti, senza una vera riforma delle funzioni”.
Riguardo a queste osservazioni, i due delegati della Consulta Sanità PD rilevano: “La considerazione da cui partire per affrontare la crisi del servizio sanitario è la transizione epidemiologica. Questa semplice definizione sta ad indicare la progressiva riduzione del carico di mortalità attribuibile alle malattie cronico-degenerative e agli eventi traumatici. Da circa un secolo è iniziata una profonda modificazione della nostra società. Lo sviluppo economico ha garantito maggiore disponibilità di cibo e abitazioni più confortevoli. Sono diminuiti i lavori pericolosi e usuranti. Le bonifiche igieniche e sanitarie hanno fatto scomparire alcune malattie (es. la malaria). Il livello diffuso di scolarizzazione ha consentito una consapevolezza del rapporto tra salute e comportamenti individuali. Si sta modificando la mortalità per malattie cardiovascolari e tumori. Tuttavia in tutti i paesi sviluppati si registra un aumento di malattie croniche e di comorbidità come diabete, ipercolesterolemia, ipertensione, sindrome metabolica e deficit cognitivi. Come riprova del cambiamento, i camion militari per il trasporto dei deceduti in ospedale a Bergamo sono il segno della difficoltà degli Ospedali a gestire la pandemia in assenza di una assistenza territoriale”.
“D’altro canto - puntualizzano proseguendo Manai e Budroni - l’OMS da diversi anni tenta di promuovere tre modalità d’intervento per migliorare i servizi sanitari. La prima è l’intervento di prossimità: i malati devono essere curati, se possibile, senza essere allontanati dal loro ambiente di vita. La seconda è che le persone più fragili devono essere assistite a domicilio. La terze è la prevenzione. Si deve passare da un modello “passivo” dove l’erogazione dell’assistenza avviene nel momento in cui il paziente percepisce i sintomi, a uno “attivo”, capace di intervenire prima dell’evento acuto. La riorganizzazione ha l’obiettivo di ricondurre ai servizi territoriali l’assistenza primaria, lasciando le patologie acute alle strutture ospedaliere”.
“Se si riuscisse dunque ad organizzare una forte struttura territoriale – concludono i due delegati della Consulta Sanità PD - gli ospedali potrebbero dedicarsi ad attività d’elezione e raggiungere livelli di competenza che regga il confronto nazionale ed europeo. Il primo momento di questa riforma è sicuramente un approccio culturale nuovo sulla sanità che vede coinvolgere tutto il personale sanitario e la popolazione in generale, in una prospettiva progettuale di buona sanità”.
Elisabetta Caredda
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