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Lunedì 28 FEBBRAIO 2022
Le “Centrali operative territoriali”. Se ne parla poco ma sono uno snodo fondamentale per la riforma

In sigla "COT" dovranno contribuire a migliorare l’efficienza delle prestazioni erogate da medici di medicina generale, da pediatri di libera scelta, dai professionisti della continuità assistenziale e dagli specialisti ambulatoriali in organico nelle aziende della salute. Assicurando un pronto e condiviso accesso della persona bisognosa di diagnosi, di cure e di interventi riabilitativi, ai servizi presenti nel catalogo dei servizi e delle prestazioni essenziali rese dai servizi sanitari regionali

Una importante regola che dovrebbe dominare nella fase di progettazione di nuovi modelli assistenziali territoriali, radicalmente diversi o sensibilmente implementativi di quelli esistenti che fanno fatica a rendere percepibile il loro prodotto, è quella di lavorare in una ragione pratica e non già meramente definitoria. Evitando il più possibile di ricorrere ad un vocabolario che faccia sembrare l’aspettativa, spesso remota, in una realtà oramai prossima.
 
Il nuovo progetto di assistenza sociosanitaria territoriale fonda le radici nel potenziamento del distretto sanitario, che necessiterebbe essere sancito intervenendo legislativamente sugli artt. 3 quater- sexies del vigente d.lgs. 502/92, fissando i neo-principi fondamentali sui quali le Regioni sarebbero chiamate ad aggiornare le loro leggi di dettaglio. Ciò dal momento che lo stesso incide nella sua configurazione erogativa attraverso l’insediamento in esso di importanti strutture e iniziative: le case di comunità (CdC), gli ospedali di comunità (OdC) e le centrali operative territoriali (COT).
 
Di questo importante trittico innovativo, sono da ritenersi prioritarie e fondamentali, per assicurare gli interventi centrati sulla persona umana in risposta ai problemi di salute, singoli e delle comunità di appartenenza, le COT. Iniziative, più o meno strutturali, rappresentative di un modello organizzativo di coordinamento della presa in carico della persona con i servizi e professionisti deputati alla erogazione di tutto ciò che le occorre nel contesto di vita.
 
Il PNRR dà una generosa mano a che se ne realizzino tante nel Paese. Al riguardo, non sono mancate delle attente analisi progettuali sulla loro ideale consistenza, sulla loro attualità ad assicurare un accesso guidato all’erogazione dei Lea occorrenti.
Ecco perché, rispetto alle altre due strutture (CdC e OdC) pronosticate nella loro attivazione per il 2025, le COT dovranno essere rese funzionanti entro il 2023.
 
Da qui, l’esigenza di sviluppare una analisi intesa ad individuare la reale motivazione esistenziale delle Centrali Operative Territoriali, consistente nel renderle funzionali ad assicurare la generazione di un primo rapporto con l’utenza stanziale allo scopo di garantire l’accessibilità integrata all’assistenza sanitaria, sociosanitaria e, perché no, a quella socioassistenziale.
 
La prima impressione che offre l’ideazione di una siffatta iniziativa è quella dell’assegnazione di un ruolo suppletivo o quantomeno supplementare a quello tradizionalmente svolto dal medico di famiglia. Quel professionista, proveniente dalla cultura mutualistica, tenuto a stressare positivamente il compito di umanizzare il rapporto con il suo assistibile che lo ha liberamente scelto e, quindi, accompagnarlo per mano nelle fasi necessariamente successive al suo intervento professionale. Assistibile perché, a differenza di come avveniva con la retribuzione a notula, è fonte di retribuzione erogata in suo favore, attraverso la quota capitaria pro capite, prescindendo dalle prestazioni rese o meno.
 
La COT contribuirà in tale senso a migliorare l’efficienza delle prestazioni erogate da medici di medicina generale, da pediatri di libera scelta, dai professionisti della continuità assistenziale e dagli specialisti ambulatoriali in organico nelle aziende della salute. Avrà modo di assicurare un pronto e condiviso accesso della persona bisognosa di diagnosi, di cure e di interventi riabilitativi, ai servizi presenti nel catalogo dei servizi e delle prestazioni essenziali rese dai servizi sanitari regionali.
 
Il problema sarà poi come organizzare la interconnessione erogativa con le altre due strutture, prioritariamente con le Case di Comunità, ma soprattutto dove ubicarle e come renderle funzionanti. La loro esistenza dovrà infatti essere segnatamente discriminata, tenuto conto del patrimonio erogativo di partenza goduto dai territori interessati, tenuti comunque ad arrivare al 2023, assicurando una buona assistenza alle popolazioni di riferimento, con la loro spesso povertà strutturale, in alcune zone del Paese, fenomeno così negativo da essere causa di morti innocenti.  
 
Ettore Jorio
Università della Calabria

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