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Venerdì 25 FEBBRAIO 2022
Contratto del comparto a impronta medicocentrica?
Gentile Direttore,
le novità sulla trattativa relativa al contratto sanità sono sorprendenti anche se sembrano passare da alcuni difetti iniziali ad un assetto sempre meno apprezzabile. La forte volontà di cambiamento dichiarata in apertura, lascia spazio ad ipotesi di inquadramento del personale quantomeno azzardate ed evidenzia un’impronta strutturale del contratto addirittura medicocentrica. Sorprende che ai professionisti sanitari l’Aran attribuisca il ruolo di “affiancare” i medici, cancellando oltre 25 anni di storia e la legge 42/99. Con un sol colpo svanisce nella bozza di contratto , l’autonomia e la titolarità delle professioni sanitarie. Nello specifico si apprende la proposta di far valutare i professionisti sanitari titolari di funzione organizzativa, ai dirigenti medici. La questione delle competenze valutative relative ad ogni singolo settore scientifico disciplinare sembrano, per i proponenti, cosa del tutto irrilevante. Una laurea vale l’altra, ma quella del medico è onnicompetente e vale di più (sic!). Al momento nessun intervento degli ordini professionali o di altre istituzioni.
Il sistema di classificazione del personale vede l’ingresso nell’area dei professionisti della salute, del personale ARPA e Istituti Zooprofilattici Sperimentali, nel profilo dei collaboratori. Si assiste quindi ad un passaggio di geologi, ingegneri e agronomi da una parte e di biologi, fisici e chimici dall’altra, tutti dotati di laurea magistrale, in un comparto non dirigenziale.
Insomma la dirigenza in sanità sembra restare a quasi esclusivo godimento della professione medica. Le scelte strategiche delle aziende sanitarie saranno più sbilanciate di quanto già non lo siano. La multi professionalità che dovrebbe vedere l’utente al centro del sistema sanitario, lascerà spazio ad un ritorno al passato con investimenti sempre minori per lo sviluppo delle professioni sanitarie. Naturalmente il danno maggiore sarà a carico dell’utenza.
I requisiti di accesso all’elevata qualificazione permangono più selettivi di quelli richiesti per la dirigenza. Per l’accesso alla qualifica di dirigente necessitano, oltre alla laurea magistrale, solo 5 anni nel profilo professionale di provenienza, in categoria D o Ds, mentre per l’elevata qualificazione si chiedono 5 anni di incarichi di responsabilità (?).
Anche i sindacati ora sembrano agitarsi e lamentano fumosità e scarso impegno circa le risorse economiche essenziali per incrementare i fondi già esistenti e finanziare, ex novo, fondi non ancora realizzati ma ritenuti necessari, com’è il caso dell’area di elevata qualificazione.
Gli incrementi economici, circa 200 euro lordi/mese per un infermiere, non rispettano differenziali tra aree tali da riconoscere la professionalità, la responsabilità ed il livello formativo dei professionisti sanitari. Tra l’altro sono aumenti che non saranno sufficienti nemmeno a tamponare il rincaro delle bollette di energia e gas.
Sul fronte degli incarichi di funzione organizzativa non si comprende invece la decisione di inquadrare tutti coloro che ne sono attualmente titolari, nel livello di complessità media. Forse nelle aziende sanitarie, ora, non esistono incarichi di complessità elevata? In aggiunta non c’è chiarezza sui rendimenti previdenziali dell’indennità di incarico. Saranno del 100%, come auspicabile, oppure no?
L’area di elevata qualificazione, ormai è chiaro, che nascerà vuota con il beneplacito dei sindacati. Ciò afferma implicitamente che oggi all’interno delle aziende sanitarie italiane, nessun professionista sanitario, anche dotato di laurea magistrale, svolga un lavoro che ricomprenda le funzioni previste in tale area. Cosa farà chi entrerà a farne parte resta un mistero.
Un’altra nota dolente è rappresentata dall’istanza di alcune rappresentanze di istituire una sezione contrattuale ad hoc per il personale dell’ARPA e IZA. Si evidenzia una certa resistenza a condividere che tale personale, con laurea magistrale, abbia lo stesso inquadramento dei professionisti sanitari in possesso della sola laurea. Salvo poi evitare di chiarire come mai questa posizione non venga mantenuta anche per tutti i professionisti del comparto per i quali l’Aran richiede una laurea magistrale per ricoprire un incarico.
Risorse economiche a parte, emerge un’architettura contrattuale nuova, anche se inadeguata ai tempi e piuttosto contorta. Da un’altra angolazione, invece, affiora una moltitudine di contraddizioni sul fronte delle rappresentanze che stentano a riconoscere realmente il nuovo ruolo e il nuovo status dei professionisti sanitari e quindi a rivendicare ciò che ormai non è più procrastinabile: una sezione contrattuale separata.
La partita ormai è in chiusura e il tempo stringe. Una via d’uscita potrebbe concretizzarsi in un impegno programmatico, da inglobare nel contratto, sulla creazione nel contratto successivo, di sezioni contrattuali dedicate per il personale ARPA, IZA e Professioni Sanitarie. Certo è che l’esito delle elezioni rsu, ormai alle porte, sarà sensibilmente influenzato da come si chiuderà questo contratto.
Dott Mauro Carboni
Esperto di diritto contrattuale
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