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Mercoledì 22 DICEMBRE 2021
Da Saitta parole che non coincidono con il suo passato operato di assessore



Gentile Direttore,
periodicamente l’ex assessore alla sanità della Regione Piemonte Antonio Saitta – giunta Chiamparino 2014-2019, quota Pd – torna ad intervenire pubblicamente sull’organizzazione dei servizi sanitari territoriali e ospedalieri. È il caso della recente lettera al Direttore intitolata “Non si può perdere tempo per potenziare l’assistenza territoriale”.
 
Molto spesso nella redazione dei suoi testi, però, l’ex assessore sembra colto da una pesante amnesia rispetto alla gestione della sanità piemontese negli anni del suo mandato, non certo rimpianta dagli operatori del settore e punita alle urne delle elezioni regionali 2019 con la vittoria del Centrodestra, ricordata da molti utenti e loro cari come disastrosa – è il caso di moltissime famiglie di un malato non autosufficiente – e valutata ancora oggi da molti tra i suoi stessi colleghi di partito come disastrosa dal punto di vista politico (di fatto sotto tutela del tecnico Agenas Fulvio Moirano) e della scarsa, per non dire nulla, interlocuzione con i partiti e l’assemblea del Consiglio regionale.

L’ultimo intervento ha del paradossale quanto Saitta indica la via maestra per il potenziamento delle prestazioni territoriali per i malati cronici, anche non autosufficienti. Proprio lui che impugnò di fronte al Consiglio di Stato le ottime sentenze del Tar del Piemonte che confermavano la piena legittimità delle cure sanitarie domiciliari modello Piemonte, cancellando di fatto l’esperienza dell’assegno di cura sanitario con il quale erano presi in carico – con livelli di cura oggi lontanissimi – oltre seimila pazienti solo a Torino.

Ecco la ricetta nelle parole di Saitta: “È sufficiente che si replichi anche per l’assistenza territoriale ciò che è avvenuto per necessità nell’organizzazione dei servizi ospedalieri durante la pandemia: per la prima volta nella storia del SSN l’offerta è stata programmata sulla domanda. Ogni atto di programmazione si è basato sulla realtà epidemiologica sulla quale è stata riparametrata l’offerta. È stata così sconfitta, è stato sottolineato giustamente nel Rapporto OASI del 2021, una delle costanti del SSN per il quale la capacità di offerta era basata sulle dotazioni pregresse”.

Ecco invece, nei fatti, le disposizioni che l’assessore Saitta dava all’inizio del suo mandato, nella delibera 18/2015 “Pianificazione economico-finanziaria e definizione delle regole del Sistema Sanitario piemontese in materia di assistenza alle persone anziane non autosufficienti con decorrenza dall'esercizio 2015”.

A proposito di offerta garantita a fronte della sola domanda e non vincolata ad altri parametri, la delibera affermava la “necessità di mantenere, per assicurare il rispetto di ‘sostanziale pareggio dei bilanci d’esercizio degli Enti del Servizio sanitario regionale’, le liste di attesa, governate dalle Asl sulla base della priorità rilevata in sede di valutazione multidimensionale del bisogno dalla Uvg, quale elemento di garanzia rispetto al ‘limite invalicabile della spesa’”.

Sui 30 mila malati cronici non autosufficienti (che la pandemia ha rivelato a tutti essere persone colpite da più patologie gravissime e necessitanti di interventi sanitari continuativi sulle 24 ore e non “casi sociali”), la delibera precisava: “La soluzione del problema delle liste di attesa non può essere meramente quantitativa sul versantedell'organizzazione dell'offerta e dei volumi della produzione, ma deve coniugare il bisogno espresso con adeguate strategie di governo della domanda, che tenga conto di rigorosi criteri sia di appropriatezza che di priorità delle prestazioni".

Se la domanda eccede l’offerta, insomma, si trova il modo per modificare la domanda (per esempio inserendo degli illegittimi vincoli di carattere socio-economico nella valutazione dei casi, come fanno le Uvg, per negare l’accesso alla prestazione). Così si dichiara non ammissibile al servizio di cure domiciliari o di retta sanitaria in Rsa la platea di persone che eccede l’offerta.

Non pago di tanto, l’assessore Saitta si premurava di precisare nel testo del provvedimento che “l'obiettivo deve essere quello di promuovere la capacità del Servizio sanitario nazionale di intercettare il reale bisogno di salute, di efficientare l'appropriatezza e di rendere compatibile la domanda con la garanzia dei Lea”.

Insomma, modifica della domanda in base a quanto programmato a priori come offerta (via via tagliata) e non certo offerta implementata per rispondere alla legittima domanda di tutela della salute dei malati non autosufficienti.

In questo gioco di prestigio sulla pelle dei malati è siderale la distanza tra l’opera dell’ex assessore Saitta, che con questo e altri provvedimenti ha seriamente minato la sanità piemontese negli ultimi anni specialmente sul fronte della presa in carico dei pazienti non autosufficienti, e le parole con le quali interviene oggi. Confida – crediamo – che nessuno ricordi il suo nefasto operato, ma i documenti parlano chiaro.

Non solo: l’ex assessore Saitta interviene anche sui fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) avallando di fatto la configurazione dell’Ospedale di comunità come struttura “a gestione  infermieristica, per interventi di media/bassa intensità clinica, per degenze di breve durata e prevalentemente finalizzati a ‘facilitare la transizione dei pazienti dalle strutture ospedaliere per acuti al proprio domicilio’”. Gli operatori della sanità che lavorano quotidianamente a contatto con migliaia di malati non autosufficienti sanno che una struttura così configurata è una chimera, ancora meno dotata di presenza medica di una struttura di Continuità assistenziale a valenza sanitaria e capace solo di dare risposte inadeguate al fabbisogno di salute – altissimo – dei malati non autosufficienti.

La Fondazione promozione sociale e il Csa – Coordinamento sanità e assistenza tra i movimenti di base hanno comunicato pubblicamente la loro posizione sugli Ospedali di comunità, invitando la Regione ad aprire solo strutture con presenza clinica garantita, possibilmente con medici che lavorano in équipe.

Infine, va ricordato anche a scanso di repliche future, sul presunto intervento salvifico sui conti della sanità piemontese della Giunta Chiamparino non abbiamo che da ripetere quanto affermato con autorevolezza dall’Ordine dei Medici della Provincia di Torino sulla sua rivista “Torino Medica” n. 1 del 2017. Giorgio Cavallero, presidente dell’Associazione Prospettive Comuni, e Rosella Zerbi, Segretaria dell’Ordine dei Medici di Torino, firmarono allora il coraggioso articolo: “La sanità piemontese da dieci anni è in credito. L’amara storia del piano di rientro” nel quale si dimostrava con dati ufficiali, che il debito regionale non riguardava il settore sanitario, ma che le spese degli altri settori erano state largamente pagate con risorse sottratte alla dotazione del Servizio sanitario. La ricostruzione venne confermata dallo stesso assessore al Bilancio della Giunta Chiamparino, Aldo Reschigna.

Si è scelto di far pagare ai malati il debito di tutti i settori regionali tranne la sanità. Chi oggi pontifica di soluzioni per “non perdere tempo” ne ha utilizzato fin troppo per negare ai piemontesi il fondamentale diritto costituzionale alla tutela della loro salute.
 
Andrea Ciattaglia
Presidente dell'Unione per la promozione sociale OdV

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