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Lunedì 29 NOVEMBRE 2021
Integrazione ospedale-territorio e regionalismo solidale. Ecco come

Si tratta di ripensare ad un SSN che non perda la sua identità ma che valorizzi principi costituzionali e culturali e che si fondi su di una collaborazione e concorrenza propositiva delle regioni che non possono essere satelliti impazziti ma livelli decisionali e operativi che fanno del confronto interregionale un’occasione di virtuosismo, sotto una guida forte del Ministero della Salute, e in collaborazione con gli Enti locali

Introduzione
La necessità di una integrazione tra ospedale e servizi territoriali è un tema lungamente dibattuto ma rimasto sostanzialmente irrisolto; e questo nonostante sia sempre più evidente come la transizione epidemiologica, con la maggiore prevalenza di patologie croniche, che si accompagnano agli individui per lungo tempo, e il progressivo invecchiamento della popolazione, renda ormai indispensabile una continuità nelle/delle cure per la presa in carico di pazienti che inevitabilmente necessitano di assistenza di lunga durata a diversa intensità di trattamento.
 
Molteplici le cause che hanno finora impedito il classico passaggio dalle parole ai fatti e il necessario cambiamento culturale. Un ruolo causale ha sicuramente rivestito il modello di governance delle strutture sanitarie tipicamente top-down di cui abbiamo più volte discusso.
 
La governamentalità delle aziende sanitarie, imperniata sulla figura monocratica del direttore generale e su due “associati” con compiti di gestione amministrativa, sostanzialmente privi di autonomia decisionale, è fondamentalmente un “governo” degli uomini e non dei processi e dei percorsi assistenziali.
 
Le conseguenze anche esse ormai evidenti: l’istituzione di strutture verticali con a capo dirigenti con scarso o nullo potere (gli apicali o i capi dipartimento) “alle cui dipendenze” sono posti gli altri professionisti (titolari di struttura semplice, di incarichi professionali di studio o ricerca fino al semplice professional) rigidamente inquadrati nei ranghi di un “esercito” sempre più demotivato e sotto scacco dall’incedere degli interventi legislativi e finanziari nonché dall’evoluzione delle patologie, progressivamente impoverito di risorse umane e culturali e privo di reali collegamenti con le altre strutture sanitarie specialistiche e territoriali.
 
Il progressivo depauperamento di risorse
All’impoverimento culturale, legato a percorsi formativi non più in linea con le trasformazioni in atto e ad una formazione continua di tipo rituale e burocratica, una scarsa o nulla competenza manageriale, si è aggiunta l’illusione che i modelli gestionali di derivazione privatistica potessero vincere le sfide della post-modernità. Fattori che hanno fatto da co-protagonista del progressivo depauperamento di risorse finanziarie e umane. La fallimentare stagione di tagli lineari e della riduzione delle strutture ospedaliere, in mancanza di strutture territoriali in grado di garantire uno standard accettabile di cure di prossimità, o la totale assenza di esse in alcune regioni, ha aggravato la crisi che è poi esplosa sotto l’urto della pandemia.
 
La continuità delle cure e la sua declinazione

Il governo in carica ha avviato una stagione di riforme (di cui non sono ancora chiari gli sviluppi) mettendo a disposizione, attraverso il PNRR, consistenti risorse finanziarie. Un passo importante ma non sufficiente; è nostra convinzione infatti che, per rispondere alle sfide poste dalla nuova patocenosi delle malattie, la sanità debba profondamente rimodulare il proprio modello operativo adattando una razionalità di tipo incrementale; una razionalità adattativa e orientata alla gestione dei processi assistenziali e percorsi di cura implementati in uno spazio reticolare e in una dimensione bidimensionale: di tipo orizzontale per l’integrazione tra ospedale e territorio, (inteso in senso largo perché inclusivo delle comunità e degli enti locali) e di tipo verticale per il collegamento funzionale tra strutture a diversa intensità di cure e specialità.
 
Il ruolo dell’ospedale
In questo sistema l’ospedale rimane il centro della intensività assistenziale per l’alta concentrazione di tecnologie, di saperi e competenze tecniche in esse presente. Il suo modello organizzativo, rompendo con i vecchi schemi ormai obsoleti, dovrà orientarsi sempre più verso l’intensità di cure superando la rigida compartimentazione in divisioni e favorendo invece la condivisone degli spazi in cui accogliere le diverse tipologie di pazienti in relazioni alle loro diverse necessità assistenziali.
 
Non solo. l’ospedale, inoltre deve divenire uno spazio aperto alla socialità e alla sostenibilità ambientale anche in termini di produzione di energia e riciclo dei materiali; un luogo di nuova architettura, in cui devono essere presenti servizi per il cittadino, non solo quelli ricoverati e i loro familiari, e in cui la presenza del verde e di spazi aperti svolge una funzione terapeutica ristabilendo una relazione tra il paziente e il paesaggio, il contesto in cui è ubicata la struttura.
 
L’ospedale deve ritornare ad essere il luogo di formazione e insegnamento per tutto il personale che opera in contesti clinici e di cura, medici di famiglia compresi. Esso deve svolgere una funzione di tipo formativo e di promozione delle buone pratiche cliniche e di presa in carico a cui devono uniformarsi ai fini dell’accreditamento, anche gli ospedali privati.
 
La medicina moderna, infatti è nata sul finire dell’800 solo grazie ai proto- ospedali francesi dove l’osservazione di classi di pazienti e l’introduzione dei rudimenti del calcolo statistico ha creato un nuovo sguardo medico orientato all’osservazione della simultaneità dei fenomeni morbosi e alla loro quantificazione; una nuova percezione di fatti morbosi che ha profondamente inciso sul modello nosologico superando quello settecentesco basato sulla medicina delle specie.
 
L’integrazione dei professionisti dei diversi luoghi di cura
L’ospedale rimane il luogo di eccellenza per l’apprendimento del metodo clinico. E’ in ospedale che i professionisti acquisiscono le competenze indispensabili per una corretta gestione dei pazienti e per il trattamento della complessità clinica.
Per tali motivi l’ospedale deve tornare ad essere il luogo dove i professionisti revisionano periodicamente il proprio modo di operare nel contesto clinico anche di tipo ambulatoriale e territoriale rivedendo e adeguando le proprie competenze cliniche
 
L’ospedale è anche il luogo in cui si declina prevalentemente la formazione dei futuri medici di base attraverso un percorso di specializzazione di tipo universitario che deve essere sottratto all’attuale gestione particolarista e decontestualizzata del corso triennale di medicina generale, percorsi che debbono valorizzare anche le medical humanities.
 
Un processo di osmosi tra professionisti che andranno a lavorare in contesti diversi indispensabile per realizzare il primo e forse più importante livello di integrazione: fra le professioni mediche, ponendo così fine alle tradizionali ostilità e scarsa considerazione verso le capacità dei medici di famiglia e il loro ruolo centrale nella presa in carico di pazienti lungodegenti.
 
In questo modello il medico di famiglia deve potere seguire il proprio paziente nel reparto ospedaliero e contribuire con i medici di reparto e tutto il personale preposto a delineare un percorso di cura e follow-up nella fase successiva alle dimissioni in cui dovrà gestire in prima persona il paziente. Un modello in cui tutti i professionisti della salute sono parte integrante del sistema sanitario nazionale.
 
Il modello delle reti cliniche
Il superamento del monadismo autoreferenziale delle aziende sanitarie è la condizione attraverso cui realizzare un modello assistenziale basato sulle reti cliniche.
 
Le reti cliniche infatti sono lo strumento con cui una determinata patologia o problema sanitario (le patologie tempo dipendenti, l’ictus, le demenze i punti nascita le patologie allergologiche etc) viene affrontato in modo sistemico in tutto il territorio regionale pianificando, attraverso parametri predefiniti in sede di Agenas, la sua uniforme messa in opera; definendo numero e tipologie di servizi, la loro distribuzione nel territorio, le dotazioni umane e strumentali. i percorsi assistenziali, le modalità di accesso alla rete partendo dalla medicina di base, nonché la valutazione degli esiti e la loro valutazione nel tempo.
 
Le differenze regionali
Il restyling del SSN passa anche attraverso il superamento, in linea di tendenza programmata, delle differenze regionali e delle relative disuguaglianze di salute, senza cancellare le specificità regionali che sono patrimonio culturale del nostro Paese oltre che principio costituzionale. Anche in questo caso la risposta alle possibili e presenti inerzie dei decisori regionali potrà trovare spazio nella definizione in sede di Agenas delle reti cliniche alla cui realizzazione subordinare le quote premianti di ripartizioni del fondo sanitario.
 
La partnership con regioni più avanzate e propositive può costituire un volano di innovazione a patto che il Ministero della Salute recuperi uno spazio di agibilità politica concreta che finora è mancato utilizzando gli strumenti, già oggi previsti dalla Costituzione, in tema di poteri sostitutivi. Non va demonizzato il virtuosismo regionale ma va generalizzato.
 
Solo favorendo e sviluppando una competizione generativa tra le Regioni e una reale collaborazione nella progettazione e implementazione delle azioni per la salute finalizzate anche al superamento delle crescenti disuguaglianze in sanità sarà possibile superare le differenze regionali che penalizzano i cittadini ma contemporaneamente tutto il Paese e la salute collettiva. Le differenziazioni infatti stanno dentro a standard comuni.
 
Superare le differenze regionali significa anche dotare il Ministero della Salute di reali poteri di intervento che vadano oltre la moral suasion, oggi possibile anche attraverso la neoformata struttura di monitoraggio sull’utilizzo dei fondi del PNNR, per sviluppare una collaborazione interregionale foriera di innovazione organizzativa e operativa che ponga al centro il cittadino e la sua salute che vive e lavora in un dato territorio e interagisce in un dato contesto fatto di risorse materiali, ambientali e culturali. La regionalizzazione è stata pensata storicamente non per dividere ma per compensare delle differenze strutturali.
 
La medicina del territorio
La medicina del territorio rimane il campo privilegiato della estensività assistenziale e della valorizzazione delle reti di prossimità e dei saperi profani
Il territorio deve poter contare su un modello organizzativo integrato in cui l’assistenza primaria è strettamente connessa con la prevenzione e la relativa promozione della salute, con i servizi.
 
Anche in questo caso l’esperienza del COVID 19 può essere esemplare perché ha ampiamente dimostrato come il contact tracing dei pazienti, e la cura dei malati sia possibile solo in un sistema integrato di servizi e interventi, dotato degli strumenti che la telemedicina mette a disposizione per il controllo a remoto e l’attivazione del cittadino rispetto alla propria salute e malattia.
 
L’istituzione delle case di comunità, degli ospedali di comunità, previsti dal PNRR, possono rappresentare un punto di svolta solo se accompagnato da una reale integrazione delle strutture e la messa a punto di protocolli assistenziali che prevedano un percorso pre definito per le diverse patologie.
In questo sistema integrato il medico di famiglia può giocare un ruolo decisivo solo se uscirà anch’esso da quella auto referenzialità del libero professionista che lavora tutto solo nel suo microcosmo, soffocato dalla burocrazia e totalmente isolato dal resto delle altre strutture di distretto e dal contesto.
 
Un percorso di riposizionamento che lo deve inserire pienamente nella rete dei servizi territoriali.
Questo significa anche abbandonare la sterile prospettiva dei microteam puntando invece sulla presenza strutturata dei MMG nelle case di comunità in cui possano operare a fianco in collaborazione con una serie di specialisti in grado di fornire consulenze e confronti, anche di tipo telematico, in tempi reali.
 
Un nuovo modello di partecipazione
Il tema della partecipazione alle scelte pubbliche rappresenta un altro di quei miti razionali utilizzati mimeticamente dalle aziende sanitarie e dalle regioni per ottenere legittimità sociale nel campo istituzionale.
 
Un tema declinato fino all’inverosimile ma mai concretamente implementato. Partecipare infatti significa essere parte del processo decisionale, pur nel rispetto dei rispettivi ruoli, ma soprattutto partecipare alla valutazione degli esiti imponendo i cambiamenti indispensabili per il miglioramento degli outcomes.
 
La partecipazione è inoltre indispensabile nella corretta implementazione delle reti cliniche perché coinvolge i fruitori del servizio che sapranno rappresentare le concrete necessità assistenziali e gli operatori che con il loro contributo potranno delineare le soluzioni migliori per una efficace distribuzione dei servizi e delle relative risorse umane a questi collegate.
 
Quella che proponiamo è dunque una integrazione cognitiva con la creazione di un general intellect che è la vera forza del cambiamento. La definizione di idonei istituti e modalità di partecipazione a livello regionale e di singola azienda deve essere dunque assunto come uno degli obiettivi primari per un rilancio del nostro SSN.
 
Considerazioni conclusive
Si tratta dunque di ripensare ad un SSN che non perda la sua identità ma che valorizzi principi costituzionali e culturali e che si fondi su di una collaborazione e concorrenza propositiva delle regioni che non possono essere satelliti impazziti ma livelli decisionali e operativi che fanno del confronto interregionale un’occasione di virtuosismo, sotto una guida forte del Ministero della Salute, e in collaborazione con gli Enti locali.
 
Una modalità operativa generatrice di azioni e interventi in cui al centro vi sia il cittadino e la sua comunità di appartenenza, in una logica di One Health, di cui i professionisti della salute sono attori forti perché si muovono in una logica integrata.
 
Un SSN che fa della continuità territorio-ospedale, ospedale-territorio il suo punto di forza.
 
Un SSN che valorizza le specificità e le capacità regionali per delineare azioni di salute in linea con le transizioni epidemiologiche, con le aspettative e le esigenze dei cittadini mossi non solo da malattie ma anche da aspirazioni e competenze anche se profane.
 
Un nuovo modo di pensare non solo la salute ma anche l’articolazione regionale affinché si sviluppi un Regionalismo economicamente responsabile e politicamente solidale, cooperativo, a partire dai professionisti della salute fino alla infrastruttura amministrativa. Un regionalismo collaborativo che non esclude là dove necessario e utile anche forme di affiancamento in direzione dell’ottimizzazione del SSN e per il superamento delle disuguaglianze di salute.
 
Roberto Polillo e Mara Tognetti

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