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Sabato 31 GENNAIO 2015
Chi è Sergio Mattarella. La biografia di Giorgio dell’Arti

Palermo 23 luglio 1941. Politico. Avvocato. Dall’ottobre 2011 giudice della Corte Costituzionale (eletto dal Parlamento in seduta comune al quarto scrutinio con 572 voti). Eletto alla Camera nel 1983, 1987, 1992, 1996, 2001, 2006 (Dc, Ppi, Ulivo, Margherita). Ministro per i Rapporti col Parlamento nel governo De Mita (1988-1989), dell’Istruzione nell’Andreotti VI (1989-1990), vicepresidente del Consiglio nel D’Alema I (1998-1999), ministro della Difesa nel D’Alema II (1999-2000). Conclude la sua carriera parlamentare con la caduta del governo Prodi nel 2008. Candidato al Quirinale dal Pd nel gennaio 2015. «In confronto a Mattarella, Forlani è un movimentista» (Ciriaco De Mita).
 
• Figlio di Bernardo Mattarella (Castellammare del Golfo 15 settembre 1905 – Roma 1 marzo 1971), politico democristiano che tra gli anni ’50 e ’60 è stato più volte ministro. È fratello minore di Piersanti, altro politico democristiano ucciso il 6 gennaio del 1980 dalla mafia mentre era presidente della Sicilia. Ha fatto parte della Gioventù Studentesca di Azione Cattolica e della Federazione Universitaria Cattolica Italiana, insegnando anche Diritto parlamentare all’Università di Palermo. Alle elezioni politiche del 1983 venne eletto alla Camera dei Deputati con la Dc: faceva parte della corrente dei morotei, quella di Aldo Moro e di Benigno Zaccagnini (quella più a sinistra). Fu incaricato dall’allora segretario della Dc, Ciriaco De Mita, di occuparsi in quelli anni del partito in Sicilia e appoggiò la candidatura di Leoluca Orlando a sindaco di Palermo. Rieletto alla Camera nel 1987, continuò a collaborare politicamente con De Mita e fu nominato ministro dei Rapporti con il Parlamento (governo Goria), confermato anche l’anno dopo nel governo De Mita.
 
• Alle 9 di sera del 26 luglio 1990 si dimise da ministro dell’Istruzione del governo Andreotti, assieme a Carlo Fracanzani (Partecipazioni Statali), Riccardo Misasi (Mezzogiorno) e Mino Martinazzoli (Difesa) quando fu approvata la legge Mammì sulle tv che favorì Silvio Berlusconi: «Ci siamo dimessi. Riteniamo che porre la fiducia per violare una direttiva comunitaria sia in linea di principio inammissibile e inopportuna in questo semestre» (l’annuncio del ministro Mattarella).
• Dopo l’inchiesta Mani Pulite, è uno dei principali rappresentanti del rinnovamento della Dc, su cui influisce anche in qualità di direttore del quotidiano del partito, Il Popolo, dal 1992 al 1994. Lo sbocco del processo è la nascita del Partito Popolare.
 
• Nel ’95, si oppose a Rocco Buttiglione che era pronto ad allearsi con Silvio Berlusconi («Vuole uccidere il partito»). Qualche mese più tardi, fu uno dei primi nel centrosinistra a sottoscrivere la candidatura a premier di Romano Prodi [Sara Bianchi, S24 4/10/2011].
 
• Famoso per la vecchia legge elettorale (Mattarellum) che, adottata dal 1994 al 2001, prevedeva collegi uninominali e un sistema maggioritario per il 75 per cento degli eletti: «La gente rimpiange sempre di più quelle norme. Consentivano un rapporto diretto con i candidati, selezionavano meglio la classe politica, mettevano i cittadini nella condizione di scegliere veramente» (a Marco Galluzzo).
 
• «Il destino volle che fosse proprio quella legge, sotto il ciclone di Tangentopoli, a far crollare il partito di Mattarella, la Dc. Ma lui fu uno dei pochi che sopravvissero alla Prima Repubblica, perché l’unica macchia che erano riusciti a trovargli era una vecchia storia di buoni benzina regalatigli da un costruttore siciliano (assoluzione piena, “il fatto non sussiste”) (Sebastiano Messina).
 
• Definì l’ingresso di Forza Italia nel partito popolare europeo «un incubo irrazionale». Sara Bianchi: «Ma l’attacco più duro aSilvio Berlusconi resta quello lanciato assieme a Nicola Mancino, quando ammonirono l’allora leader di Forza Italia a “non strumentalizzare l’eredità di Alcide De Gaspari”, in occasione della commemorazione per il 45 anniversario della morte dello statista». Era il 1999.
 
• Da ministro della Difesa abolì il servizio militare obbligatorio.
 
• Lasciato il Parlamento, entra nel Cpga, il Csm dei giudici amministrativi. Poi la Corte Costituzionale «che è la più bella poltrona che ci sia. Candidato dal Pd, fu eletto il 6 ottobre 2011dal Parlamento in seduta comune. Essendo però incerti i numeri, il Pd, per sicurezza, precettò perfino una puerpera di appena due giorni, ordinandole la tassativa presenza in Aula. La ragazza, allora ancora ignota ai più, era Marianna Madia. La scheda della fatina fu quella decisiva per l’elezione. Mattarella ebbe giusto 572 voti, uno più del quorum» (Giancarlo Perna).
 
• Fa parte del gruppo che ha scritto il manifesto fondativo del Partito democratico (con Giorgio ToniniSalvatore Vassallo,Michele Salvati, Pietro Scoppola e Roberto Gualtieri), poi coordinato dello stesso Pd per il codice etico.
 
• «“Mattarella? Ma se lei va a domandare ai deputati chi è, le risponderanno: chi, il cugino dell’onorevole Mattarellum?”. Forse ha ragione Pino Pisicchio, che conosce bene i suoi colleghi parlamentari: a Montecitorio lo conoscono in pochi, l’uomo che potrebbe diventare il dodicesimo presidente della Repubblica. Perché in Transatlantico lui non si fa vedere da sette anni, e da allora qui dentro è cambiato quasi tutto: a cominciare dalle facce dei deputati. Però si fa presto a descriverlo. Avete presente Renzi? Bene, Sergio Mattarella è il suo esatto contrario. È uno che ama il grigio, evita le telecamere, parla a bassa voce e coltiva le virtù della pacatezza, dell’equilibrio e della prudenza. Ma sotto quel vestito grigio e dietro quei modi felpati c’è un uomo con la schiena dritta, un hombre vertical capace di discutere giorni interi per trovare un compromesso con l’avversario, ma anche di diventare irremovibile se deve difendere un principio, una regola o un imperativo morale. Come fece la sera del 26 luglio 1990, quando – con un gesto che ancora oggi Berlusconi ricorda – si dimise da ministro della Pubblica Istruzione perché Andreotti aveva posto la fiducia sulla legge Mammì, quella che sanava definitivamente le tre reti televisive del Cavaliere. Si dimisero in cinque (c’erano anche Martinazzoli, Fracanzani, Misasi e Mannino) ma fu lui a spiegare quel gesto di rottura senza precedenti, e lo fece a bassa voce e senza usare un solo aggettivo polemico: “Riteniamo che porre la fiducia per violare una direttiva comunitaria sia, in linea di principio, inammissibile…”. Poi, quella sera, incrociò Martinazzoli e gli chiese: “Hai consegnato la lettera di dimissioni?”. “Certo, l’ho appena fatto”. “E hai fatto una fotocopia?”. “No, perché?”. “Perché Andreotti è capace di mangiarsela, la tua lettera, pur di farla scomparire…”» (Sebastiano Messina) [Rep 29/1/2015].
 
• «Sergio il Tenace, il Calmo, l’Anti-eroe, come lo descriveva Giampaolo Pansa in un lungo ritratto su Repubblica del 7 febbraio 1989, ventisei anni fa. All’epoca Mattarella era ministro dei Rapporti con il Parlamento del governo De Mita. Uno dei colonnelli della sinistra Dc, l’ultimo dei morotei, lo raccontavano i giornali. “Viso da ragazzo sotto i capelli bianchi. Pacato, tenace, senza ansie da potere né sbandamenti faziosi. In politica è tenacissimo e insistente, come la goccia che cade”, scriveva Pansa. “Lui sorride, e nel sorriso si legge la risposta: talvolta la goccia è più efficace del torrente in piena. “I piccoli passi sono importanti almeno quanto i grandi movimenti che suscitano clamore…”. Diceva tante cose Mattarella in quella lontana intervista: “I partiti sono sempre più asfittici e lontani dal loro retroterra sociale. I quadri selezionati spesso risultano mediocri. O riusciamo a rompere il sistema, inserendo nei partiti energie nuove, raccolte dalla società, oppure i partiti moriranno”. Osservo il limpido fervore di Mattarella e mi vien da pensare: mio Dio, che illuso”, concludeva Pansa. “Mi chiedo come reggerà fra i carriaggi, le truppe, le grandi armate, i compromessi di potere, i pateracchi, i cinismi, le piccole viltà. Poi, di colpo, mi ricordo di suo fratello Piersanti: si fece uccidere, a Palermo, per dar sostanza a tante giuste illusioni. E allora concludo: sì, meglio aspettare, meglio sperare”» (Marco Damilano).
 
• Fratello di Piersanti, il presidente della Regione Sicilia assassinato dalla mafia mentre andava a messa il 6 gennaio 1980: «Sergio, che aveva assistito impietrito all’omicidio, soccorse il fratello che morì tra le sue braccia in ospedale. In quell’istante decise di raccogliere il testimone e continuare la tradizione politica cominciata col padre Bernardo (1905-1971), moroteo, più volte ministro nel dopoguerra, gran notabile che convisse senza urti con la mafia. Contrariamente a Piersanti che, infatti, ne fu ucciso e di Sergiuzzo che dell’antimafiosità ha fatto il suo vessillo corredandola di altre virtù: moralità politica, trasparenza, severità dei costumi» (Giancarlo Perna).
 
• Vedovo, tre figli: Bernardo, Laura e Francesco.
 
Giorgio Dell’Arti
Catalogo dei viventi 2015 (in preparazione)
Scheda aggiornata al 31 gennaio 2015
 
Da: Corriere.it

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