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Venerdì 22 NOVEMBRE 2013
Frullini (Fnomceo): "Occorre un programma di formazione sul tema rivolto ai medici"
Il 25 novembre è la Giornata Mondiale dell’Onu contro la Violenza di Genere. Per celebrarla, l’Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri di Roma ha organizzato - presso la propria Sala Conferenze, in Via Bosio 19 A – un incontro di studio sulle “Ferite nascoste” delle donne. Perché nascoste? Perché spesso è più facile non dire. Per vergogna, per pudore, per non accusare persone vicine e legate da un amore, seppur malato e distorto. Nascoste ma evidenti a chi, in qualità di medico del pronto soccorso, medico di famiglia, psicologo, psichiatra, viene a contatto con queste ferite, del corpo come dell’anima.
E proprio tali professionisti devono essere sempre più “attrezzati” a riconoscerle, con gli strumenti adeguati anche in termini di formazione. Per questo, è stato organizzato l’incontro, che vedrà, tutti insieme, gli attori coinvolti, dai medici - dell’Ospedale e del Territorio - ai giuristi, ai docenti universitari, ai giornalisti, alle Istituzioni: saranno presenti anche il Presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti, il Sindaco di Roma, Ignazio Marino, il Direttore Responsabile del Sistema Sanitario Regionale, Flori De Grassi.
In rappresentanza della Fnomceo, interverrà la Coordinatrice dell’”Osservatorio Fnomceo Professione Medica e Odontoiatrica Femminile”, Annarita Frullini, che lancerà una proposta “d’impatto”: un Convegno nazionale, organizzato dalla Federazione a Grosseto nel mese di marzo, proprio su queste tematiche.
A lei l’Ufficio Stampa Fnomceo ha voluto porre alcune domande.
Dottoressa Frullini: come donna e come medico, perché le ferite delle donne rimangono “nascoste”?
Perché le violenze spesso sono consumate nel privato familiare, tra le mura domestiche, e non vengono denunciate. O, se sono segnalate, non vengono poi adeguatamente seguite. Si tratta di violenze indicibili e invisibili, per le quali il sommerso è elevatissimo, e che passano nei servizi sociali e sanitari spesso senza lasciare segni di sé.
Ed è proprio questo clima culturale che va cambiato: si pensi che, in Italia, quasi non esistono studi sulle violenze domestiche, e dobbiamo far riferimento ai dati ai dati pubblicati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità nel giugno 2013. Secondo tali dati, la violenza è ubiquitaria, diffusa in tutte le fasce sociali, con una presenza di oltre il venti per cento in quelle ad alto reddito.
Inoltre, non si tratta solo di violenza fisica: gli abusi psicologici, fatti di storie ripetitive e cumulative, sono ancora più difficili da ammettere e dunque da segnalare, ma portano le vittime a livelli minimi di reattività psichica, ponendole in uno stato di passività e rassegnazione che ha conseguenze anche sul fisico, accelerando i processi di “invecchiamento cellulare” e abbattendo la risposta immunitaria.
E i medici possono accorgersi di tutto questo?
A volte può essere difficile anche per loro. I medici conoscono in teoria i dati sulla violenza, ma spesso rimangono a loro volta coinvolti in meccanismi di razionalizzazione e sottovalutazione. Loro stessi, poi, possono avere scarsa fiducia nelle Istituzioni, nella capacità di prevenzione e di presa in carico delle donne vittime di abusi. Oggi, anche per l’aumentata presenza femminile nella popolazione medica, sono dunque urgenti strategie per la riduzione della violenza, causata da quella asimmetria di genere che ancora persiste nelle relazioni, in quelle private come in quelle sociali.
Ma esistono, a livello internazionale, linee guida, che sono anche sperimentate in alcune realtà, con protocolli di eccellenza...
È vero, ma è difficile applicarle. I nostri medici sono ancora poco “addestrati”, nel loro percorso formativo, a riconoscere i sintomi e gli esiti delle violenze.
Eppure, le evidenze scientifiche che indicano come alcune particolari lesioni siano chiaramente patognomoniche di violenza ci sono, e sono consolidate: proprio a parlare dei traumi facciali come sintomo di traumi da abusi è stata, a Roma, invitata Antonella Polimeni, Direttore del Dipartimento “Testa Collo” dell’Università La Sapienza.
Ma ancora un recentissimo lavoro scientifico ha evidenziato che, su un campione di tremila donne finite in ospedale per delle fratture, a quasi nessuna i medici hanno fatto domande per capire se fossero vittime di abuso. Ebbene: in un caso su sei, una donna che arriva dal medico con una frattura, ha subito violenze domestiche. Come medici, noi diciamo: “questo non deve più accadere”.
Che fare, allora? Come cambiare le cose?
Proprio con quell’operazione culturale di cui parlavo prima. Non basta affidarsi alla buona volontà dei singoli: occorre un programma di formazione su larga scala, che fornisca ai medici gli strumenti per riconoscere chi è vittima di abusi, e affermi il ruolo che i medici stessi, e i professionisti della Salute in genere, possono e debbono avere nella prevenzione e gestione della violenza.
E la Fnomceo, in quanto provider di Formazione e per il suo ruolo di indirizzo deontologico, dispone, oltre che del pieno titolo, di tutti i mezzi e gli strumenti per sostenere questo programma: già per marzo del prossimo anno stiamo preparando un Convegno nazionale su questo tema, per affermare a gran voce che riconoscere e fermare la violenza rientra tra i nostri doveri.
Nell’incontro, sarà anche inserita una sessione sul tema della sicurezza sui luoghi della Sanità, per i medici, gli altri operatori, e i pazienti stessi.
E come sensibilizzare, in concreto, i medici?
Essenziale sarà, su questo tema, creare innanzitutto una rete di comunicazione fra i medici ospedalieri e quelli di base, che hanno una distribuzione capillare sul territorio, e quindi conoscono le persone, le situazioni familiari, gli ambienti di vita.
I medici, una volta formati e sensibilizzati, sapranno raccordarsi con altre Istituzioni, con le Associazioni di genere per facilitare gli interventi nelle reti interistituzionali, per aiutare, ciascuno con le sue specifiche competenze, le donne, nelle diverse fasi della loro storia di uscita dalla violenza.
E non ci sono soltanto le donne, ma anche i bambini, vittime o spettatori di violenza: il trenta per cento dei maltrattamenti ha infatti inizio durante il periodo della gestazione, il settanta per cento prosegue dopo la maternità.
Cosa vuole dire, per concludere?
Quella della violenza di genere sta diventando, al di là dei singoli drammi personali, una vera emergenza di Sanità pubblica, dal peso insostenibile in termini di costi economici, diretti e indiretti (ricoveri, cure, assenze dal lavoro...), oltre che sociali.
Noi medici vogliamo fare la nostra parte, per metterci veramente al centro dei Valori e del Senso della nostra Professione, creando occasioni dove le nostre parole possano rompere, con la forza della semplicità e della verità, il silenzio di quelle donne costrette a convivere non solo con l’impotenza, , ma con l’incapacità stessa di credere di potercela fare.
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