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Mercoledì 20 OTTOBRE 2010
Il commento. Medici in pensione a 70 anni? Sì, no, forse.

I primari ospedalieri italiani hanno vinto una loro storica battaglia. Con la legge approvata ieri dalla Camera potranno, su richiesta, restare in servizio fino a 70 anni, come i loro invidiatissimi colleghi universitari. Gli altri sindacati medici rumoreggiano ma, essendo le loro fila composte anche da primari, lo fanno con una certa discrezione. Anche perché, tutto sommato, il diritto di restare in ospedale fino a 70 anni non riguarda solo i primari: la legge approvata parla di tutti i “dirigenti medici e del ruolo sanitario del Ssn”.
Tutto a posto, quindi? Neanche per idea. Perché a leggere bene l’insieme delle norme in vigore che regolano il pensionamento di questa categoria, si scopre che, per chi primario ancora non è, il pensionamento a 70 anni potrebbe restare un miraggio. Costoro, infatti, potrebbero essere addirittura “rottamati” anzitempo dal loro direttore generale in base alla legge 133 dell’agosto 2008, la quale prevede che l’amministrazione pubblica possa a sua discrezione mandare in pensione il personale al raggiungimento dei 40 anni di contribuzione, esclusi per l’appunto i soli direttori di struttura complessa e cioè i primari.
Il paradosso è quindi lampante. Con una legge, quella varata ieri, si introduce per i medici del Ssn la possibilità di lavorare fino a 70 anni rispondendo a una richiesta antica della categoria (o almeno di una parte di essa) ed equiparando così universitari e ospedalieri. Dall’altra, con una legge di soli due anni fa, si favorisce il prepensionamento coatto, per far cassa riducendo il personale, visto che il turn over è di fatto semi bloccato in metà del Paese.
Il medico si trova così stretto tra un diritto, quello dei 70 anni, in contrapposizione a un altro diritto, quello dell’azienda di “rottamare” dirigenti dei quali si ritiene di poter fare a meno.
A rendersi conto dell’impiccio, va detto, furono per primi proprio gli stessi parlamentari che, in un Ordine del giorno fatto proprio dal Governo risalente al 3 marzo scorso (e quindi ben prima del varo della legge) a firma di senatori di maggioranza e opposizione, rimarcavano come “la discrepanza tra le due norme potrebbe comportare un inutile e dispendioso contenzioso tra l’amministrazione pubblica e il personale dirigente medico e del ruolo sanitario” e impegnavano il Governo “a chiarire in via definitiva e ad armonizzare la disciplina in materia di età pensionabile del personale sanitario al fine di evitare sperequazioni all’interno della dirigenza medica e del ruolo sanitario”.
Sarebbe bastato aggiungere un comma alla nuova legge con il quale cancellare la “rottamazione” oppure specificarne, sempre per legge, diverse applicazioni che non stridessero con il nuovo diritto del pensionamento a 70 anni. Ma il legislatore da una parte e il Governo dall’altra non hanno fatto nulla e così non ci resta che attendere l’ennesima circolare interpretativa che probabilmente non basterà ad evitare quel contenzioso a catena che gli stessi senatori denunciavano in quell’Ordine del giorno subito accolto ma altrettanto prontamente dimenticato.
 
Cesare Fassari
 

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