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Mercoledì 13 OTTOBRE 2010
Il parto cesareo nei Paesi industrializzati
La frequenza del taglio cesareo nei paesi industrializzati registra da anni un andamento in ascesa. In Italia è passato dall’11% del 1980 al 38% del 2008. Questa percentuale supera di molto la soglia del 10-15% che, secondo la raccomandazione pubblicata nel 1985 dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, garantisce il massimo beneficio complessivo per la madre e il feto3 e si discosta notevolmente anche dagli standard europei riportati nel rapporto Euro-Peristat4 sulla salute materno-infantile pubblicato nel dicembre 2008.
I dati sono stati presentati ieri nel corso della conferenza stampa organizzata da Sigo, Aogoi e Fesmed per presentare la proposta dei ginecologi per il riordino dei punti nascita e del settore materno infantile. Dati da cui emerge che l’Italia presenta a livello europeo la più alta percentuale di cesarei, seguita dal Portogallo con il 33%, mentre negli altri paesi si registrano valori inferiori al 30% che scendono al 15% in Olanda e al 14% in Slovenia.
Si rileva inoltre una spiccata variabilità su base interregionale (vedi allegato a fondo pagina), con valori tendenzialmente più bassi nell’Italia settentrionale e più alti nel meridione: si va dal 23% nella Provincia autonoma di Trento e in Friuli-Venezia Giulia al 62% in Campania.
Infine, si registrano anche differenze intraregionali tra punti nascita di diversa tipologia amministrativa e volume di attività, con percentuali di tagli cesarei nettamente superiori alla media nazionale nei reparti con basso numero di parti e nelle strutture private rispetto a quelle pubbliche (vedi allegato a fondo pagina).
Il 66% delle strutture italiane esegue meno di 1.000 parti l'anno, mediamente, nel nostro Paese più di una nascita su 4 avviene in uno di questi reparti. Il 10,47% avviene invece in centri con meno di 500 parti l'anno, la soglia indicata dall'Organizzazione mondiale della sanità per garantire sicurezza in sala parto.
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