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Sabato 01 DICEMBRE 2012
Lila: “Quando il nostro paese si impegnerà veramente contro l’Hiv?”
I dati sull’epidemia di Hiv/Aids in Italia sono stati pubblicati appena ieri dall’Istituto Superiore di Sanità: per la prima volta i dati si riferiscono alla dimensione dell'epidemia in tutte le regioni italiane, indicando un lieve miglioramento nel trattamento della sieropositività e della sindrome che ne deriva, seppure con alcune gravi lacune. Lacune che oggi la Lega Italiana per la Lotta all’Aids cerca di mettere in luce, chiedendo fermamente al governo e alle istituzioni di agire di conseguenza. “L’Italia è un paese a incidenza medio-alta – dicono nel comunicato diramato oggi – quando ci si renderà conto delle necessità che questa condizione comporta, e dunque si agirà di conseguenza?”
Secondo i dati del Centro Operativo Aids dell’Iss, l’incidenza della malattia nel 2011 in Italia è stata di 1,3 casi per 100.000 residenti, un dato che insieme a quello del numero di decessi per anno continuano a diminuire. In particolare sono stati diagnosticati 5,8 nuovi casi di HIV positività ogni 100.000 residenti. Eppure, più della metà dei casi segnalati con una nuova diagnosi era già in fase avanzata di malattia, con una conta di linfociti già troppo bassa. Allo stesso tempo, poco più di un quarto delle persone con Aids in Italia ha eseguito una terapia antiretrovirale prima della diagnosi. Troppo poche, secondo l’associazione. “Confermata la stima di circa 4mila nuove infezioni l'anno (la cifra data è minore ma sottostimata, come afferma lo stesso ISS), con 5,8 nuovi casi di positività all'Hiv l'anno ogni 100mila residenti (ma in diverse regioni sono oltre 8), l'Italia si conferma un paese a incidenza medio-alta”, commentano gli esperti Lila.
Due sono le principali criticità della cura in Italia: le diagnosi tardive e la modalità di infezione. “Entrambe sono legate direttamente alla qualità dell'informazione e dei servizi rivolti alle persone”, aggiungono. “I Late presenters, persone che arrivano alla diagnosi di positività all'Hiv in uno stato di compromissione, inconsapevoli di avere da tempo contratto il virus, sono stati il 54 per cento nel 2010, e il 56,4 per cento nel 2011. Un dato costantemente in aumento, che riguarda tutte le popolazioni (eterosessuali, uomini che hanno rapporti omosessuali, consumatori di droghe per via endovenosa). In Italia la maggioranza delle persone arriva al test Hiv non in seguito a un comportamento a rischio, ma praticamente per caso, o perché si manifestano sintomi di una compromissione già avanzata, o in relazione a controlli medici dovuti ad altri percorsi clinici”.
Diagnosi tardiva, infatti, non significa soltanto "non aver fatto il test". Indica invece un problema molto più grave, ovvero che la percezione del rischio di contagio è scarsa, se non assente. E questo si traduce in mancata prevenzione, per una patologia che può essere evitata semplicemente: con l'uso del preservativo.
Come a livello internazionale anche in Italia la situazione dei bambini è forse quella più inquietante. “Le nuove diagnosi da Hiv in cui la causa di infezione è stata la trasmissione verticale, da madre a figlio, sono state 11 nel 2010 e 19 nel 2011, per un totale di 30. Sono state 39 le diagnosi per persone con meno di 15 anni (14 nel 2010 e 25 nel 2011, i figli di stranieri sono 9 in tutto), e ben 15 di queste sono state per bambini con meno di 2 anni”, aggiungono gli esperti Lila. “Un dato allarmante e stupefacente, in un Paese in cui il test Hiv dovrebbe essere ormai di routine per chi aspetta un figlio, perché i genitori possano accedere alle opportune terapie e i bimbi nascere sani”.
In particolare, la questione maternità coinvolge ovviamente le donne in prima persona. Ben il 3 per cento del totale delle nuove diagnosi da Hiv accade in gravidanza. Un dato che, ancora, può significare scarsa consapevolezza e prevenzione. Altrettanto si può dire del fatto che oltre il 10 per cento delle donne Late presenters ha avuto la diagnosi in gravidanza.
Alla luce di questi dati, Lila si è appellata con fermezza alle istituzioni e al governo, tramite le parole di un comunicato stampa apparso sul sito dell’associazione: “Ci chiediamo quando verrà il giorno in cui l'Italia si impegnerà a tutelare la salute dei suoi cittadini, rivolgendosi a giovani, donne, omosessuali con un linguaggio idoneo e senza pruriti. Quando la prevenzione verrà considerata per quello che è, ovvero accesso a informazioni e preservativi per tutti. Quando parlerà in maniera diretta alle popolazioni più vulnerabili invece di promuovere messaggi e azioni fumosi, per niente mirati, incompleti, paternalisti, ipocriti. Quando affronterà pubblicamente i temi discriminazione e stigma, che colpiscono le persone sieropositive e l'intera popolazione scoraggiando il ricorso a test e prevenzione. Quando, in tempi di spending review, capirà che un'infezione evitata fa risparmiare non solo sofferenze, ma anche denaro”.
Concludendo poi il comunicato con una sola parola, ma eloquente tanto quanto le precedenti domande. Semplicemente: “Quando?”
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