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Giovedì 11 OTTOBRE 2012
Faundes (Figo): “Impegnati per ridurre il numero di aborti in condizioni non sicure”

L'aborto “non sicuro”, quello fatto dalle donne che non desiderano una gravidanza in maniera clandestina o in strutture non adeguate, è una delle principali cause di mortalità e morbidità materna. Un problema che potrebbe essere evitato con un servizio sanitario corretto (così come quello delle numerose emorragie e infezioni pelviche che uccidono numerose donne nel mondo): a questo scopo, Figo ha sviluppato nel 2008 la “Prevention of Unsafe Abortion Initiative”, di cui oggi arrivano alcuni risultati interessanti.

Ogni anno nel mondo 19 milioni di donne interrompono volontariamente la loro gravidanza in condizioni non sicure. Di queste, circa il 97% vivono in paesi in via di sviluppo, come quelli dell'America Latina, dell'Africa, dell'Asia Centrale o del Sud-est asiatico. A seguito di queste operazioni, secondo le stime circa 68 mila donne muoiono ogni anno, il 13% di tutte le morti materne, mentre altre centinaia di migliaia sono costrette a convivere con complicazioni a lungo termine, dovute alla procedura non corretta. “Nonostante in molti di questi paesi l'aborto sia legale, come in Sud Africa, oppure soggetto ad alcune restrizioni, come India, per via di uno stigma che ancora accompagna questi interventi non tutti sono praticati in maniera sicura”, ha spiegato Anibal Faundes, chair del gruppo di lavoro Figo sulla prevenzione degli aborti non sicuri. “E a maggior ragione ciò avviene ad esempio in paesi in cui l'interruzione di gravidanza può essere effettuata solo in caso di stupro, come è facile immaginare”.

Il piano di azione sviluppato da Figo grazie a un donatore anonimo prevede diversi livelli di prevenzione: quella primaria, per ridurre il numero di gravidanze indesiderate e di aborti; quella secondaria, per rendere gli aborti inevitabili più sicuri; quella di terzo livello, per il corretto e tempestivo trattamento delle complicazioni dell'interruzione di gravidanza; quella di quarto livello, per ridurre il ripetersi degli aborti in donne che si sono già sottoposte a questo tipo di intervento.

La prima fase dell'iniziativa ha visto l'invito da parte dell'organizzazione a condurre un'analisi dello stato di fatto all'interno dei vari Paese, e in particolare a quelle nazioni in cui il tasso di aborti ogni anno era superiore a 30 casi ogni 1000 donne in età riproduttiva, o in cui il numero di interruzioni non sicure superava 10 ogni mille interventi. In seguito, ognuna delle 44 nazioni partecipanti doveva stabilire un piano d'azione specifico per risolvere i propri problemi. La fase due, ancora in atto, consiste nell'implementazione di questi piani d'azione su base territoriale.

Chiaramente, dunque, le iniziative sono eterogenee e dipendono dalle differenze regionali. Quando alcuni obiettivi vengono raggiunti altri ne vengono aggiunti, proprio a testimonianza della complessità del problema. In generale, in ogni caso, i principali obiettivi sono di quattro tipi:
- ottenere dati migliori sull'aborto, per sensibilizzare policy makers, governi, autorità e professionisti sul problema;
- aumentare l'uso di metodi anticoncezionali moderni, introdurre o migliorare l'educazione ai comportamenti sessualmente responsabili, introdurre o migliorare servizi specifici per gli adolescenti in modo da diminuire il numero di gravidanze indesiderate;
- facilitare il processo di adozione in modo da ridurre il bisogno di ricorrere all'interruzione di gravidanza;
- predisporre servizi adeguati per le donne che vogliono abortire in modo sicuro e migliorare l'assistenza dopo l'intervento (compresa la diffusione della contraccezione per le donne che hanno già avuto un'interruzione di gravidanza e non vogliono figli), con la speranza di riuscire a rendere tutti gli aborti più sicuri.

“Ad oggi molte delle nazioni che partecipano all'iniziativa hanno ottenuto grandi progressi, avendo compreso che l'aborto è un problema importante sia per la salute femminile che per la rilevanza clinica”, ha concluso Faundes. “Oggi continuiamo a impegnarci in questo lungo lavoro per ridurre il numero di interventi non sicuri. Anche se siamo consapevoli che il lavoro non potrà concludersi in breve tempo”.
 

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