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Mercoledì 13 GIUGNO 2012
IL COMMENTO. In sanità spendiamo pochissimo. Ma i tagli non si fermano

I risultati del nuovo rapporto del Ceis sulla sanità italiana, presentato oggi a Roma, sono clamorosi.
A parità di potere d’acquisto, scopriamo infatti che per la sanità lo Stato e le Regioni, spendono per ogni italiano un quarto in meno (esattamente – 25,9%) di quanto spendono la Germania e la Francia e gli altri tre Paesi dell’Europa a 6 (Belgio, Lussemburgo, Paesi Bassi). E la stesso accade anche se prendiamo in considerazione la spesa privata (in questo caso il gap è del 26,1% in meno).

In sostanza, a forza di tagli e Piani di rientro, ai quali si è aggiunta la crisi economica generale che porta le famiglie a pensarci due volte prima di spendere un Euro, anche se per la propria salute, gli italiani spendono molto meno dei francesi e dei tedeschi.
Le cose non vanno meglio se allarghiamo il confronto agli altri Paesi della “vecchia” Europa, la cosiddetta Europa a 12 (che comprende anche Spagna, Danimarca, Irlanda, Portogallo, Grecia, Regno Unito). Rispetto a loro il gap è minore, ma si assesta sempre sul – 17,9%, prendendo a riferimento la sola spesa pubblica, e al - 18,7% considerando anche la privata.
Dopo mesi di attacchi alla spesa sanitaria e alla sua “crescita incontrollabile”, colmati nella previsione di un taglio pesante attraverso una spending review che pone il comparto sanitario tra quelli più a rischio di riduzioni di spesa, questi dati dovrebbero far riflettere il Governo, tutto, e il neo commissario Bondi incaricato di sforbiciare a destra e a manca.

In molti diranno: “D’accordo, ma ci sono ancora molti sprechi, soprattutto nelle regioni storicamente spendaccione”.  Anche ammesso che sia vero - e io, più che di sprechi, comincerei a parlare di soldi spesi male, il che vuol dire riallocare le risorse in modo appropriato e non tagliarle strozzando Regioni e Asl già in difficoltà -  resta il fatto che i dati presentati oggi dal Ceis sono inequivocabili: in Italia per la sanità spendiamo pochissimo.
Tagliare ancora la spesa sanitaria italiana, dopo aver constatato come non sia vera la tesi di un sistema con le mani bucate, rappresenterebbe a questo punto una scelta politica che, come tale, andrebbe spiegata ai cittadini, senza celarsi dietro il paravento di manovre ragionieristiche di revisione “tecnica” della spesa.
Tagliare ancora le risorse per l’assistenza sanitaria vuol dire infatti privare milioni di cittadini di servizi essenziali per la loro salute. Servizi per i quali paghiamo oneri fiscali altissimi allo Stato e alle Regioni. Come dire che il taglio inizierebbe ad assomigliare sempre più a una vera e propria “appropriazione indebita” dei soldi dei cittadini da parte dello Stato. Cittadini che pagano le tasse per avere servizi, possibilmente efficienti, e ai quali andrebbe comunque chiesto il “cosa fare” dei loro soldi, prima di avviare politiche di revisione della spesa tanto generali, quanto generiche nelle loro effettive ricadute. 

Ma non basta. Il risultato più incredibile di altri eventuali tagli alla sanità, sarebbe infatti quello di rinunciare alle potenzialità straordinarie di sviluppo economico per il Paese che si potrebbero realizzare invertendo l’approccio tradizionale che ha considerato fino ad oggi la sanità solo come spesa e mai come risorsa. Lo diciamo da tempo che il comparto sanitario dà al Paese più di quanto costa in termini di Pil e che una politica di investimenti nel settore potrebbe accrescere ulteriormente il valore aggiunto in termini di ricchezza prodotta dalla filiera salute e dal suo indotto. Ma evidentemente neanche questo Governo di super tecnici universitari sembra cogliere quest’opportunità ben presente in Paesi come la Germania, la Francia, il Regno Unito, il Giappone e gli stessi Stati Uniti.

Cesare Fassari
 

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