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Martedì 15 MAGGIO 2012
Mortalità a 30 giorni dall’intervento di bypass aorto-coronarico (Bpac) 

L’intervento by-pass aorto-coronarico è indicato per alleviare i sintomi anginosi, quando questi resistono alla terapia medica, e dà risultati migliori delle cure mediche nel prolungare la sopravvivenza dei pazienti con malattia coronarica avanzata. È peraltro una procedura molto diffusa e poco rischiosa: i rischi potenziali sono essenzialmente condizionati da fattori legati allo stato generale di salute del paziente (che riguardano un 5% dei pazienti trattati), ma si stima che in un paziente in buone condizioni generali e senza gravi malattie il rischio di decesso sia intorno al 2%.
È l’intervento cardochirurgico più eseguito al mondo e la mortalità a breve termine può rappresentare quindi un ottimo indicatore della qualità dell’attività delle strutture di cardiochirurgia.
La valutazione si riferisce all’intero processo assistenziale ospedaliero e post-ospedaliero (a 30 giorni dall’intervento) ed è relativa al Bpac isolato, cioè non associato ad interventi sulle valvole o endoarteriectomia. La scelta di considerare gli interventi isolati è legata al fatto che sia il livello di mortalità sia i fattori di rischio sono diversi nel caso degli interventi associati.
Sono stati presi in considerazione i risultati delle strutture con un volume annuo di Bpac > 85. In Italia la mortalità media è pari a 2.78%.
 
Sono solo quattro in Emilia Romagna le strutture con un volume annuo che supera gli 85 interventi. La palma va senza dubbio all’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Bologna, che con dati statisticamente dimostrati, ha una tra le percentuali più basse di tutta Italia (0,6%). È seguita a stretto giro, ma con segno grigio, dalla clinica Hesperia H. di Modena (0,8%). Percentuali certe anche all’Ao Universitaria di Parma (1,2%). Supera invece anche se di poco la media italiana, la Clinica Villa Maria Cecilia a Cotignola (2,8%).
Anche in Toscana sono quattro le strutture valutabili: due con esiti favorevoli: l’Ao Universitaria Careggi di Firenze (1,4%) e l’Ospedale G. Pasquinucci di Pisa (1,5%), entrambe con dati da segno grigio. Scatta l’allarme rosso per l’Ao Universitaria Pisana a Pisa con un tasso di mortalità del 5,9%. Superiore alla media infine l’outcome della clinica Villa M. Beatrice a Firenze con un 3,5% in grigio.
Nel Lazio sono entrati nell’olimpo dei migliori ospedali (anche se in fascia grigia) quattro strutture capitoline: il S. Andrea di Roma con un tasso di mortalità dello 0,8%, l’Azienda ospedaliera San Camillo Forlanini (1,5%), il Policlinico Umberto (2,1%) - che in questo caso, si riscatta dalle non proprio brillanti performance relative all’indice di mortalità a trenta giorni per Ima - e il Campus Biomedico (2,5%).
Esiti sfavorevoli, superiori alla media nazionale, si registrano invece in quattro strutture della Capitale: alla clinica European Hospital (3,7%) e al Policlinico Tor Vergata (3,5%), al Policlino Gemelli 2,8%. Al S. Filippo Neri gli esiti sono comunque inferiori alla media 2,6%.
 

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