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Mercoledì 09 MAGGIO 2012
Diabete infantile è allarme. Ma ecco come si curerà

Un problema in crescita, che avrà spazio nel Congresso, è quello dell’obesità infantile e delle malattie metaboliche in età evolutiva. Queste condizioni si stanno infatti diffondendo sempre di più non solo tra gli adulti, ma anche tra i più piccini. In particolare, l’incidenza di diabete di tipo 1 e di tipo 2 tra i più giovani sta aumentando così tanto da meritare un’attenzione particolare, diventando uno degli ‘hot topic’ – gli argomenti più caldi – individuati da Sip in questa 68° edizione del Congresso Nazionale.
 
Da una parte ci sono i preoccupanti risultatipresentati al 15° International Congress of Endocrinology e 14° European Congress of Endocrinology che si è appena concluso a Firenze, che ha riportato come non solo si stima che nel 2030 i pazienti diabetici saranno 350 milioni, ma che l’incidenza nei bambini (minori di 15 anni) aumenterà entro il 2020 addirittura del 70% rispetto al 2005. Dall’altra – analogamente – sono pessimi anche i dati sul diabete di tipo 2, con l’aggravante che questo in età giovanile sembra diventare addirittura più aggressivo e pericoloso che per i più grandi. Secondo uno studio condotto dal Massachusetts General Hospital e pubblicato su New England Journal of Medicine, infatti, la patologia nei più piccoli progredisce più in fretta ed è più difficile da curare.
“È spaventoso vedere come risultino gravi le patologie metaboliche nei bambini”, ha spiegato David M. Nathan, uno degli autori della ricerca, che è il primo studio di grandi dimensioni sul diabete di tipo 2 nei bambini. Di questo tipo di lavori, infatti, non si era mai sentito il bisogno prima d’ora, visto che questo tipo di diabete mellito era considerato insorgere quasi esclusivamente in età adulta. Tanto che spesso ci si riferisce ad esso come il diabete ‘adulto’, mentre il diabete di tipo 1 è spesso definito diabete giovanile. La ricerca ha coinvolto 699 ragazzi di età compresa tra 10 e 17 anni e ha dimostrato come i normali farmaci orali, usati come terapia standard, smettevano di funzionare dopo pochi anni di uso e si doveva passare all’uso di insulina per controllare la patologia.
 
Non importa che i bambini siano affetti da diabete di tipo 1 o da quello di tipo 2,dunque: in ogni caso sembrano essere necessarie nuove terapie. In questa direzione potrebbero avere un ruolo importante le terapie cellulari, le cellule staminali e la medicina rigenerativa, che nel congresso sono presentate direttamente da Camillo Ricordi, italiano trapiantato – è proprio il caso di dirlo – a Miami, dove oggi è direttore del Diabetes Research Institute. Il medico, che a ragione è considerato il massimo esperto nel trapianto di insulae  pancreatiche, ha inventato il primo apparecchio al mondo che consente di individuare queste cellule permettendo così di trapiantare solo esse e non l’intero pancreas. Il metodo che porta il suo nome è un intervento meno invasivo rispetto al trapianto dell’organo vero e proprio, che permette ai pazienti che soffrono di una grave forma di diabete di ritornare ad una buona qualità della vita: una volta isolate, le cellule vengono purificate e poi iniettate nel paziente, tramite la vena porta; in questo modo si evita un intervento chirurgico maggiore, si riducono i rischi e si può risolvere tutto addirittura in day hospital.
La tecnica che potrebbe andare incontro a modifiche ulteriori, ed è proprio di questo che parlerà Ricordi nel corso del suo intervento al Congresso. Oggi i ricercatori stanno infatti cercando il modo di ottimizzare la procedura utilizzando anche le proprietà delle cellule staminali, in modo che si possa risolvere il problema del rigetto e dunque delle terapie di immunosoppressione cui i pazienti devono sottoporsi dopo il trapianto. “Siamo abbastanza fiduciosi che la terapia cellulare e la medicina rigenerativa giocheranno un ruolo cruciale nelle terapie per il diabete”, ha fatto sapere Ricordi. “Nonostante bisogna ancora capire quale sia la tipologia migliore di cellule staminali da usare a questo scopo è sicuramente importante che la ricerca vada avanti anche in campo tecnologico, finché non saremo in grado di trovare una fonte di insulina capace di risolvere definitivamente il problema del diabete”.
 
Laura Berardi

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