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La Legge 833 del 1978, istitutiva del SSN, pone tra i suoi obiettivi il superamento degli squilibri territoriali nelle condizioni socio-sanitarie del Paese e l’articolo 32 della Costituzione vuole i cittadini uguali nella esigibilità del diritto alla salute. A distanza di quarant’anni, però, non si registra alcuna reale convergenza e le distanze tra le varie aree del Paese si misurano non solo in km, ma in aspettativa di vita (minore al Sud), tassi di mortalità evitabile (maggiori al Sud), speranza di vita in buona salute (20 anni tra i due estremi), mortalità infantile (doppia al Sud), mortalità materna al parto (maggiore al Sud). Anche nei servizi sociali il divario è enorme, tra i 583 euro spesi per abitante di Bolzano e i 53 di Messina. Le Regioni del Mezzogiorno, mediamente più giovani, ricevono una quota capitaria media inferiore del 2,6% (-45,5 euro) rispetto a quella del Nord e del Centro, a causa di una iniqua ripartizione del Fondo sanitario nazionale, nonostante il lieve incremento dello 0,75% del parametro della deprivazione sociale, recentemente introdotto. La persistenza di inaccettabili diseguaglianze, sia nell’offerta di servizi e prestazioni sanitarie sia negli esiti di salute, particolarmente lungo la faglia Nord-Sud, fa dubitare che possa esserci una sola terapia per entrambe le aree del Paese. “I cittadini di serie A e quelli di serie B” non sono un rischio paventato, ma l’iniqua realtà. Il disegno di legge per l’attuazione dell’autonomia differenziata, presentato dal Ministro per gli Affari Regionali e le Autonomie Roberto Calderoli, attualmente in discussione alla Camera, concede maggiori poteri alle Regioni su 23 materie, tra cui la sanità. Sull’altare degli equilibri di maggioranza viene sacrificato un diritto della persona costituzionalmente tutelato, uno dei pochi elementi di quella “coesione nazionale” caposaldo della comunicazione governativa. Ma in un Sistema sanitario lacerato da importanti differenze, che arrivano a comprendere la stessa erogazione dei LEA, il regionalismo potenziato può fare venir meno definitivamente il concetto stesso di Servizio sanitario nazionale e di politica sanitaria nazionale. Per questa via, il diritto alla salute, uno e indivisibile, verrà declinato in 21 modi diversi, cessando di essere un bene pubblico nazionale per assumere una valenza locale, che diventa così la fonte primaria del diritto. Con una perdita complessiva di coesione sociale ed una accentuazione degli squilibri tra Regioni più ricche e più povere, aggravati dal fenomeno inarrestabile della mobilità sanitaria che ha sottratto in un decennio, secondo la Corte dei Conti, 14 miliardi di euro alle regioni del Sud, ridotte al rango di clienti di quelle del Nord, cui garantiscono la tenuta dei conti. L’obiettivo primo del Ddl Calderoli è, in tutta evidenza, quello di trattenere nelle Regioni, o meglio in alcune Regioni, più gettito fiscale, senza nemmeno indicare una soglia massima di compartecipazione al singolo tributo erariale che esse potranno ottenere in sede di intesa. Le Regioni del Nord, in particolare Lombardia, Emilia Romagna, Veneto, danno oggi allo Stato più di quanto ricevono, a differenza di quelle del Sud. Una differente capacità fiscale delle Regioni finirebbe, però, per avvantaggiare quelle più ricche, le quali potrebbero assicurare ai propri residenti servizi pubblici essenziali migliori, per quantità e qualità, una sorta di LEPs di prima categoria, in violazione del principio costituzionale di uguaglianza dei cittadini. La SVIMEZ ha stimato che, qualora fossero state approvate le pre-intese sottoscritte dal Governo Gentiloni (2018), ne sarebbe derivato un «surplus tra i sei e i nove miliardi a favore delle tre Regioni interessate (Lombardia, Veneto, Emilia Romagna)». Diminuire, però, le disponibilità di risorse a livello centrale mette a rischio la possibilità per lo Stato di assolvere alle sue funzioni non delegabili, e di colmare i divari esistenti in diversi settori, come salute e istruzione. Con il rischio di approfondire una disarticolazione autonomistica in assenza di adeguati interventi di riequilibrio anche di tipo perequativo. Non si possono nascondere dubbi e perplessità, riguardanti la mancanza di prerequisiti per richiedere ulteriore autonomia, così che anche Regioni in piano di rientro possono chiedere di espandere le competenze nella tutela della salute, o lo scarso coinvolgimento del Parlamento, essendo l’intesa di fatto un accordo tra esecutivi. Per la sanità possiamo distinguere due parti: una riguardante la definizione e il finanziamento dei LEPs (Livelli Essenziali delle Prestazioni), vale a dire la soglia costituzionalmente necessaria per rendere effettivi i diritti civili e sociali, che meriterebbe una attuazione accelerata, l’altra contenente le materie non LEPs, contenente non pochi aspetti allarmanti. L’art.1 precisa che l’attuazione dell’autonomia differenziata è subordinata alla definizione dei LEPs concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale. Il combinato con l’articolo 119 della Costituzione («La legge dello Stato istituisce un fondo perequativo, senza vincoli di destinazione, per i territori con minore capacità fiscale per abitante») lascia intendere che l’insufficienza delle risorse regionali per assicurare i LEPs è da colmare senza se e senza ma. A garanzia per i più deboli di avere le stesse risorse per i loro diritti civili e sociali. I LEPs, però, pur essendo fondamentali per allineare la qualità dei servizi delle Regioni del Centro-Sud a quelle del Nord, saranno definiti da una Commissione Tecnica, e non dal Parlamento, promulgati attraverso DPCM impugnabili solo davanti al TAR ma non davanti alla Corte Costituzionale. E restano, al momento, orfani di risorse. Ma si potrà procedere con l’autonomia prima ancora che le risorse siano stanziate, perché il trasferimento delle funzioni alle Regioni potrà essere effettuato dopo la definizione dei LEPs senza attendere la loro attuazione. In altri termini, l’autonomia precede il recupero dei divari tra le varie aree del Paese. Un punto particolarmente critico è rappresentato dal ventaglio dei poteri concessi alle Regioni in materia sanitaria, senza nemmeno prevedere una clausola di supremazia, essenziale, ad esempio, in caso di pandemia. Essi spaziano dalla mano libera su tariffe e tickets, alla gestione dei fondi integrativi, con il rischio del risorgere di un sistema mutualistico-assicurativo, dalla governance delle aziende, con la possibilità di un sistema arlecchino più variegato di quello odierno, all’istituzione a livello di alcune regioni di quel contratto lavoro a scopo formativo per specializzandi e MMG che il Governo si ostina a negare a tutto il sistema nazionale. Preoccupa, soprattutto, l’avvio di una concorrenza selvaggia nell’acquisizione delle risorse umane, data la possibilità di pagarle al di fuori dei vincoli del CCNL e l’autonomia nella regolamentazione dell’attività libero-professionale. Un mercato competitivo per l’ingaggio dei professionisti, nutrito dal dumping salariale e dalle contrattazioni regionali che metterebbero una “pietra tombale sulla contrattazione collettiva nazionale e sul ruolo dei sindacati a carattere nazionale” (GIMBE). Le note dolenti riguardano le modalità di finanziamento dei LEPs. In un sistema che non vuole “aggravi” per la finanza pubblica, sarà difficile comporre la differenza del 25% di spesa sanitaria individuale tra Nord e Sud e rispondere a quel 11% della popolazione che rinuncia alle cure, per problemi economici o tempi di attesa. O colmare, in tempi rapidi, i profondi divari interterritoriali, soprattutto di tipo infrastrutturale, attraverso la realizzazione di efficaci interventi perequativi, cui pure mira il ddl Calderoli (articoli 9 e 10). Quando la Germania affrontò il problema della riunificazione decise di trasferire ingenti risorse da Ovest a Est. In mancanza delle quali, e nella vaghezza del finanziamento del fondo di perequazione, Regioni che in partenza sono al di sotto della soglia minima di LEPs non potranno recuperare terreno, vanificando anche le numerose sollecitazioni europee a favore della crescita dei territori più svantaggiati. Infine, last but not least, la normativa in esame tende a configurarsi all’interno del sistema delle fonti come legge rinforzata e blindata nei confronti del Parlamento. E, per di più, non “aggredibile” nemmeno in via referendaria, ex articolo 75 della Costituzione. Come del resto la stessa legge-quadro, pervasa da frequenti richiami agli «obiettivi di finanza pubblica» e alle norme attuative dell’«equilibrio di bilancio», materie inibite al referendum abrogativo. Non a caso il Governo ha inserito la "legge-quadro" tra i provvedimenti collegati alla manovra di bilancio. Nell’illusione di spendere meno dando servizi migliori, l’accesso alle cure, e i loro esiti, diventano funzione del reddito e della residenza, chi risiede in Regioni “forti” e avrà soldi si curerà, gli altri potranno solo aspettare in liste di attesa che ormai si misurano in anni. La sanità diventerà un bene pubblico per i residenti in una Regione e un bene di consumo in altre. Ma il diritto alla salute non può perdere una dimensione nazionale perché forti sono i rischi per l’integrazione sociale e la stessa unità nazionale derivanti da un sistema in cui i cittadini non condividono più gli stessi principi di giustizia sociale in un ambito rilevante come quello della salute. Per “mitigare” gli effetti collaterali del regionalismo potenziato in sanità si possono individuare tre contromisure: In conclusione, il quadro che viene fuori dal Ddl Calderoli è per taluni aspetti confuso, per altri chiaro, soprattutto sul piano della compressione delle garanzie sociali e dei diritti e sul risultato ultimo che rischia di conseguire: rendere i livelli essenziali ancora più essenziali. In presenza di un elevato deficit e debito pubblico cui è soggetto il nostro Paese, tra i più elevati in Europa, e dell’imminente ripristino delle strettoie del patto di stabilità, appare assai arduo il finanziamento dei LEPs entro il termine ravvicinato previsto. Il pericolo che si cela dietro questa previsione a costo zero è quello di dare attuazione a una riforma autonomistica che, nonostante (o proprio per) l’ambizioso progetto, sarà costretta a conservare il criterio della spesa storica, con l’effetto di cristallizzare le disuguaglianze ancora esistenti nel Paese. Per di più, si introduce un vincolo di subordinazione delle prestazioni alle risorse, in netta contraddizione con una chiara giurisprudenza costituzionale) per la quale «è la garanzia dei diritti incomprimibili a incidere sul bilancio, e non l’equilibrio di questo a condizionarne la doverosa erogazione» (sentenza n.275/ 2016). La Direzione Nazionale di Anaao Assomed ritiene che si stia giocando una partita fondamentale per il futuro del Paese. Trasferire tutte le competenze previste dall’articolo 116 a una o più Regioni, senza che nemmeno esistano evidenze, come rilevato dalla Corte dei Conti, per affermare che ulteriori gradi di autonomia nelle disponibilità economiche e nella gestione delle risorse aumentino il grado di efficienza dei servizi erogati, appare azzardato in una epoca in cui l’Italia ha scelto di delegare, per ragioni di armonizzazione e per avere maggiore peso geopolitico, alcune materie alla competenza sovranazionale dell’Unione europea. In sanità significa sottrarre al diritto alla tutela della salute una dimensione nazionale, mettere in crisi il Servizio sanitario nazionale e anche un’idea unitaria di Paese, di Repubblica e di Stato. Senza contare il rischio di numerosi conflitti costituzionali tra Stato e Regioni. Rafforzare il regionalismo in sanità significa, insomma, insistere su una strada sbagliata e contraria a quella indicata dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella nel discorso di fine 2022: “Le differenze legate a fattori sociali, economici, organizzativi, sanitari tra i diversi territori del nostro Paese – tra Nord e Meridione, per le isole minori, per le zone interne - creano ingiustizie, feriscono il diritto all’uguaglianza.” “Occorre operare affinché quel presidio insostituibile di unità del Paese rappresentato dal Ssn si rafforzi”. L’Anaao Assomed ribadisce la propria contrarietà e opposizione ad un progetto siffatto, auspicando che si voglia evitare il colpo di grazia al welfare state del nostro Paese. O a quel che ne resta. Almeno togliendo la sanità dalle materie delegabili. CENTRO STUDI E FORMAZIONE ANAAO ASSOMED
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Venerdì 19 APRILE 2024
L'autonomia differenziata e la fine del Ssn - Il documento della Direzione Nazionale Anaao
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