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Mercoledì 01 FEBBRAIO 2012
Chirurghi plastici estetici: “Siamo parte lesa”. Depositata querela alla società produttrice e all'ente di controllo delle Pip

“Nello scandalo delle protesi Pip non solo le pazienti, ma anche noi chirurghi siamo parte lesa”. Per questo Aicpe, l’Associazione Italiana Chirurghi Plastici Estetici, ha deciso di depositare al Tribunale di Roma una querela contro la società francese Poly Implant Prothesis, produttrice delle fantomatiche protesi, e l'ente certificatore tedesco T.U.V. Rheinfeld, chiamato ad effettuare i controlli sulle protesi.

“Una querela contro il fabbricante delle protesi Pip e contro chi avrebbe dovuto controllarle, in quantoi chirurghi che hanno utilizzato gli impianti incriminati sono stati oggetto di truffa, alla stregua di tutte le pazienti”, ha affermato in una nota Mario Pelle Ceravolo, vicepresidente di Aicpe.
“Siamo stati ingannati – ha proseguito - da un prodotto regolarmente accreditato con marchio CE e che, all'esame visivo, possedeva caratteristiche fisiche del tutto appropriate e ottimali per i tipi di intervento di mastoplastica che dovevamo effettuare. Abbiamo operato nel rispetto delle norme che regolano la professione medica, osservando le leggi vigenti in tutti gli stati europei”. Anche l'elemento "prezzo", sottolineano i chirurghi, “non ha permesso alcuna valutazione”. Le protesi Pip “avevano un costo paragonabile a quello di altre protesi prodotte da ditte diverse, non sono state scelte sulla base di un costo inferiore ma per le loro caratteristiche intrinseche”, ha aggiunto Pelle Ceravolo. L'utilizzo ultradecennale delle protesi Pip, secondo l’associazione, costituiva “un ulteriore elemento tranquillizzante circa l'affidabilità del prodotto, dal momento che la letteratura scientifica non forniva elementi di segno negativo diversi da quelli delle altre protesi in commercio”.

Al medico che ha collocato protesi Pip “non può quindi essere riconosciuta nessuna colpa in quanto ha utilizzato un prodotto con marchio CE, riconosciuto sia dalla comunità scientifica, sia dagli organismi incaricati del controllo sulla qualità”, sottolinea la Aicpe.
 “Alla base di tutto – secondo Pelle Ceravolo - c'è un problema di inadeguatezza del sistema di controllo e di sorveglianza nei confronti di dispositivi medici come le protesi mammarie. Non sono infatti previsti obblighi di controlli e verifiche da parte dei singoli stati, verifiche che dovrebbero essere effettuate prima della commercializzazione e durante il periodo di utilizzo. E chi avrebbe dovuto farlo, magari prendendo anche delle protesi a campione per analizzarle, non l'ha fatto”.

L’Aicpe invita comunque a mantenere un atteggiamento cauto, basato su dati scientifici e non su ipotesi. “L'allarmismo che si è creato non è giustificato:  è vero che in alcune pazienti si sono verificate delle rotture e delle infezioni, ma non ci sono evidenze scientifiche che mettono in relazione le protesi Pip con il cancro al seno o con rischi diversi da quelli relativi ad altre protesi. Ogni caso – ha affermato il vicepresidente dell’associazione dei chirurghi estetici - deve essere valutato individualmente: raccomandiamo a chi si è sottoposto ad un intervento di rivolgersi al proprio chirurgo di fiducia per monitorare la situazione e prendere le dovute misure di controllo o terapeutiche”. “Come ha dimostrato lo scandalo delle protesi Pip – ha concluso Pelle Ceravolo -, nel campo della chirurgia plastica in Italia c'è bisogno di regole chiare e di maggior tutela per i pazienti e per gli stessi medici”.
 

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