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Venerdì 23 LUGLIO 2021
Governo “bacchettato”
La Corte costituzionale bacchetta il Governo, e quindi il Parlamento per averlo convertito, sulla formulazione del decreto legge «Salva Calabria 2». Quel provvedimento, rubricato al n. 150/2020, c.d. Speranza, che rappresenta la brutta copia dell’altrettanto brutto decreto legge n. 35/2019, c.d. Grillo. Il primo «rovina-Calabria» in ordine di tempo.
E’ quanto deciso dalla sentenza della Consulta n. 168, depositata ieri, redattore Luca Antonini.
In definitiva, il Giudice sancisce due profonde illegittimità costituzionali rilevate nel ripetuto decreto legge 150/2020, convertito nella legge 181/2020.
Lo fa dichiarando incostituzionale l’art. 1, comma 2, sottolineando la mancata rilevazione del prevalente fabbisogno funzionale del nominato commissario ad acta e il conseguente disatteso soddisfacimento dello stesso attraverso l’utilizzo, a suo supporto, di personale esterno. Insomma, la Corte esprime al riguardo una forte rivendicazione di professionalità statali nell’ipotesi commissariale, sulla base del principio dell’insufficienza dell’affidamento delle soluzioni ad un soggetto monocratico sprovvisto delle collaborazioni occorrenti. Da qui la illegittimità costituzionale di imporre alla Regione, per l’appunto commissariata, la messa a disposizione di un contingente minimo, e non già massimo, di venticinque persone, tale da consentire una sorta di prevalenza alla collaborazione professionale regionale piuttosto che a quella statale, giustificativa e garante di un migliore funzionamento riparatorio, che costituisce poi la ratio dell’istituto del commissariamento di cui all’art. 120, comma 2, della Costituzione.
Altro vizio riscontrato dal Giudice delle leggi, tale da far dichiarare la illegittimità dell’art. 6, comma 2, è stato individuato nella mancata previsione e approvazione, in sostituzione al piano operativo commissariale 2022-2023, di un nuovo piano di rientro regionale da perfezionare in un accordo con il Governo da ossequiare in eguale periodo, previa deliberazione consiliare. Con questo ha ribadito la priorità dell’ente regionale nel porsi in via alternativa allo strumento di programmazione commissariale che, nel caso di specie, ha fallito per undici anni consecutivi le proprie programmazioni, sempre inadeguate e ben lontane dalle esigenze reali di salute dei calabresi. In una tale contesto ha messo in difficoltà temporale, quantomeno per la prima annualità, l’erogazione del contributo triennale di solidarietà dei 60 milioni di euro.
Nella sostanza la sentenza assume un rilievo notevole. Attribuisce allo Stato, anche in relazione al suo dovere di rendersi garante dell’equilibrio economico di cui all’art. 81 Cost., l’onere di conseguire l’effetto utile della sua opzione surrogatoria. Quella di aver deciso doverosamente di sostituire, con un proprio commissario ad acta, gli organi regionali incapaci e inadempimenti dell’erogazione dei diritti sociali, sino a rendere inapplicabili le leggi regionali eventualmente ostative del raggiungimento di una tale irrinunciabile mission costituzionale. Uno scopo, questo, cui lo Stato non può disattendere, tanto da impegnare se del caso, le proprie migliori energie e anche adeguate risorse finanziarie, senza però travalicare, al riguardo, il principio di responsabilità finanziaria imputabile alla Regione interessata. Una disponibilità finanziaria ulteriore che non deve comunque mettere in pericolo il punto di equilibrio e che, in quanto tale, impedisca il cronicizzarsi, a danno di tutta la Repubblica, di una condizione di crisi perenne, che risulterebbe lesiva di plurimi principi costituzionali, in primis quello di pareggio di bilancio.
Con una siffatta affermazione, la Corte si è assunta un importante impegno «politico». Quello di condividere una sorta di intervento perequativo straordinario che, nel caso della Calabria, potrebbe assumere anche la destinazione di alleviare sensibilmente la debitoria pregressa.
Ettore Jorio
Università della Calabria
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