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Mercoledì 25 NOVEMBRE 2020
Anelli (Fnomceo): "Nel 2019, cinque aggressioni al giornoi contro gli operatori sanitari e sociosanitari e il 71% delle vittime erano donne"
In tutto 1.850, una media di 5 al giorno: tante le aggressioni denunciate all’Inail nel 2019 dagli operatori sanitari e sociosanitari, secondo l’ultima elaborazione fatta dalla Federazione nazionale degli Ordini dei Medici. Il 71% riguarda operatrici donne. E questa è solo la punta dell’iceberg. Perché comprende, per i medici, solo quelli che sono alle dipendenze del Servizio Sanitario Nazionale.
“Viene tagliato fuori, quindi, tutto un mondo di colleghi, tra cui quelli della continuità assistenziale, che sono facilmente esposti al rischio di subire violenza – spiega il Presidente della Fnomceo, Filippo Anelli -. Inoltre, in molti non denunciano l’infortunio all’Inail, per una sorta di reticenza a portare alla luce inadeguatezze strutturali, o perché sotto choc, o, ancora, per non interrompere il turno di lavoro. Gli episodi reali sono quindi molti di più”.
“I medici, e in particolare le colleghe, sono spesso vittima di violenza – ha detto ancora Anelli -. Una violenza che ora, durante la pandemia di Covid, ha assunto forme diverse, più subdole, ma non meno gravi. Se, infatti, durante il lockdown le aggressioni erano drasticamente diminuite, e i medici e gli operatori sanitari erano mitizzati e considerati eroi, ora sono denigrati, insultati, vittime di episodi vandalici”.
“C’è, dall’altra parte, il ruolo fondamentale del medico che, per primo, riesce a intercettare le vittime di violenza e ad aiutarle – ha argomentato -. Un ruolo previsto anche dal Codice di Deontologia, che impone al medico una tutela particolare nei confronti dei soggetti fragili”.
Anelli riflette poi sul fatto che, in questa seconda ondata Covid, i medici siano passati così repentinamente da eroi a bersagli. “Questo fenomeno ha molteplici cause – ha spiegato -. Sicuramente c’è, in generale, la paura del Covid. Tutte le cose che spaventano, come la morte, vengono rimosse. E se c’è una figura che te le fa presenti, che te le ricorda, come possono essere i medici, gli infermieri, scatta un senso di repulsione, di rifiuto. Da qui gli attacchi sui social, ma anche nella realtà, con automobili incendiate, episodi di vandalismo, minacce. Poi c’è un altro fattore: il fatto che non ci siano terapie ad hoc, ma solo protocolli messi a punto “sul campo”, con gli strumenti che già abbiamo, mette in crisi il falso mito della medicina – e quindi, del medico - come onnipotente, in grado di guarire qualsiasi malattia e di farci essere sempre al massimo delle nostre possibilità. Il Covid ha messo impietosamente in luce come la “Partita a scacchi con la Morte”, giocata dalla Medicina, non sia stata vinta una volta per tutte, ma si continui a giocare per ogni persona, per ogni malattia”.
“Terzo punto critico, la comunicazione. Quella sulle zone rosse, arancioni, gialle, che ha portato a un’errata percezione del pericolo. Mentre, durante il lockdown, il messaggio era univoco, ed indicava la necessità limitare al massimo gli spostamenti e i contatti, ora le Regioni gialle sembrano quasi ‘zone franche’, in cui ci si può comportare come si vuole, anche assembrandosi e dimenticando le più elementari regole di prevenzione. Nelle zone arancioni e rosse, invece, le restrizioni sono vissute come limitazioni della propria libertà. L’intervallo di tempo concesso per gli spostamenti necessari, per tornare, ad esempio, al proprio domicilio o alla propria sede di lavoro, viene visto come l’ultima ora d’aria, l’ultima occasione di stare tutti insieme, prima della reclusione”, ha aggiunto.
“C’è, infine, un’ultima criticità, sempre relativa alla comunicazione, e qui anche noi medici dobbiamo assumercene la responsabilità. In questi mesi, scienziati, virologi, epidemiologi, specialisti sono stati sbalzati improvvisamente dai loro studi, dai laboratori, dagli ambulatori, dalle corsie d’ospedale sulla ribalta mediatica. Senza essere preparati, senza aver avuto il tempo di acquisire e metabolizzare gli strumenti necessari alla comunicazione pubblica. E così sottoliena Anelli - quello che era un giusto e costruttivo dibattito scientifico, che è poi lo scambio di idee che, corroborato dalle sperimentazioni che trasformano le intuizioni in evidenze, oppure le escludono per tentare altre strade, si è trasferito in pubblico".
"E - osserva il presidente della Fnomceo - si è svolto nei talk show, nelle trasmissioni Tv, a colpi di lanci di agenzie, di tweet, di post su Facebook. Questo ha creato, da un lato, una polarizzazione dell’opinione pubblica, con una sorta di divisione in “tifoserie” per questo o quello scienziato. Dall’altro, cosa forse ancor più grave, ha disorientato le persone, portando a una perdita generalizzata di fiducia nella scienza, nella medicina, e nei medici. Occorre quindi una responsabilizzazione di tutti i medici, perché, come del resto è indicato anche dal codice di Deontologia, non espongano teorie scientifiche suggestive, anche utili probabilmente, ma non ancora comprovate, se non nell’alveo del dibattito tra scienziati”.
Molte le iniziative degli Ordini per il 25 novembre, presentate dai componenti del Comitato Centrale: l’Ordine di Torino ha illuminato in rosso la sede; l’Ordine di Venezia ha invitato i propri iscritti ad aderire alla “campagna dei fiocchi bianchi”, indossandone uno sul camice, dal 25 novembre al 10 dicembre, giorno in cui si celebra la Giornata Mondiale per i Diritti umani. Particolarmente toccante l’intervento della Coordinatrice Area Strategica Professione Maria Erminia Bottiglieri, che ha ricordato il percorso di formazione per i medici iscritti all’Ordine di Caserta, da lei presieduto, e che si è inserito nell’ambito di FEEL - Femicide Emergency On European Level - il progetto dell’Unione Europea il cui obiettivo è quello di puntare su una formazione specialistica dei professionisti che sono istituzionalmente deputati a combattere la violenza contro le donne.
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